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Libri & Editori
Lisa See racconta le tradizioni perdute di una società matrifocale

Lisa See si conferma una scrittrice di alto livello con il suo romanzo edito da Longanesi Le madri di vento e di sale, dove narra la dura vita delle haenyeo (donne pescatrici) e che cosa significhi davvero gestire una società matrifocale. Il libro è anche un accurato affresco storico dell’isola di Jeju, nella Corea del Sud, tra colonialismo, guerre e scontri civili, fino all’arrivo della globalizzazione e del turismo di massa.   

È semplicemente stupendo questo romanzo che Lisa See, già nota al pubblico internazionale grazie a bestseller come Fiore di neve e il ventaglio segreto o La ragazza di giada o ancora Come foglie di tè, ha pubblicato nel febbraio del 2022 in Italia grazie a Longanesi. Una storia che deve essere letta concedendole il giusto tempo, perché è coinvolgente e ricca di stimoli per una vera crescita intellettuale, ma allo stesso tempo si rivela talmente intensa da necessitare di un approccio corretto da parte del lettore: non è, insomma, un libro da divorare in pochi giorni, senza soffermarsi sui dettagli. Protagoniste di questo affascinante viaggio in terre sconosciute sono le haenyeo, termine che significa – in maniera alquanto riduttiva – donne pescatrici. In realtà, occorre leggere l’intero romanzo per scoprire che cosa si intenda davvero per haenyeo, dal momento che queste figure femminili contengono in sé una lunga serie di caratteristiche ben lontane dall’immaginario collettivo occidentale. Basti pensare che sono state persino oggetto di uno studio scientifico per via della loro resistenza unica al mondo alle basse temperature, dal momento che sono in grado di immergersi a grandi profondità in acque gelide – in tutte le stagioni e per intere giornate – in apnea. Il loro lavoro consiste infatti nel raccogliere le creature del mare, quelle che si muovono nascoste nei fondali o vivono attaccate agli scogli: molluschi, abaloni, polipi, alghe, stando però sempre attente a non sconvolgere l’equilibrio dell’oceano.

Se è vero che buona parte della fascinazione di Le madri di vento e di sale deriva dal coraggio, dalla forza fisica e dall’audacia di queste donne pescatrici, gioca però un ruolo altrettanto fondamentale la tradizione che le circonda, specie quella di un tempo, ormai sempre più minacciata dall’avanzare della globalizzazione e dalla distruzione dell’ambiente originario. Il culto delle dee – anche queste per lo più di genere femminile –, i riti della sciamana, il rapporto con la morte (sempre dietro l’angolo), il rispetto per gli antenati, ma anche il modo di vestire, di mangiare, di condividere la giornata di lavoro, di organizzare la casa e la famiglia. Ed è qui che il romanzo aggiunge un ulteriore elemento di estremo interesse, ovvero la descrizione veritiera, oggettiva e non edulcorata, né politically correct, di una comunità matrifocale come pochissime ne esistono in tutto il pianeta. Vale la pena sottolineare il fatto che l’autrice non utilizza mai il termine matriarcale bensì matrifocale, perché un conto è una società comandata esclusivamente da donne, un altro è il porre al centro della famiglia, del gruppo, del villaggio e del popolo stesso le figure femminili, senza tuttavia essere disposti a dar loro il vero potere. L’ambientazione di Le madri di vento e di sale, edito da Longanesi, è l’isola di Jeju, che si trova nella Corea del Sud: un paradiso un tempo incontaminato di estrema bellezza, in cui per secoli l’uomo ha vissuto in perfetta sintonia con la natura, rispettandone i doni e i pericoli, seguendone i cicli, conoscendola in profondità poiché parte integrante della propria esistenza. Paradiso che purtroppo dagli anni Trenta in poi è diventato fonte di contesa tra cinesi, giapponesi, americani e altre influenze esterne per via della sua posizione strategica. Come se questo non bastasse – o forse sarebbe meglio dire come conseguenza di tutto ciò – nell’isola scoppiarono enormi contrasti interni e sanguinose guerre civili tra gli stessi coreani che rivendicavano la propria indipendenza ma appoggiavano fazioni diverse, fino a sfociare nel tragico Incidente del Tre Aprile, quando persero la vita migliaia di persone. Una ferita che spezzò a metà intere famiglie e che impiegherà secoli prima di riuscire a rimarginarsi.

Le madri di vento e di sale
 

Oggi tramandare la storia delle haenyeo, le loro credenze e la loro vita comunitaria – caratterizzata dalla donna incaricata di lavorare e di provvedere al nucleo familiare, senza che però le venga mai garantito il diritto di prendere le decisioni importanti o le venga assegnata una maggiore autorità rispetto a chi porta i pantaloni – si rivela importantissimo a mano a mano che sta andando scomparendo, a causa di un “progresso” che porta lontane le giovani, verso lavori meno faticosi e pericolosi, oltre a modificare così a fondo l’isola da renderla infine (come tutto, del resto) una privilegiata meta turistica per ricchi vacanzieri. È proprio per non perdere questo straordinario mondo diverso da quanto siamo abituati a conoscere che Lisa See si è messa sulle tracce delle haenyeo, delle loro storie, dei fatti accaduti in Corea e a Jeju dal 1938 sino al 2008: un arco temporale lungo il quale si snoda la vita di Young-sook, la protagonista di questo grande affresco corale. L’autrice ci racconta così una storia di fantasia, che trae spunto dalle numerose ricerche storiche svolte, dalle interviste fatte ai personaggi realmente incontrati (tra cui alcune haenyeo ancora vive), dalla visita dei luoghi e dei musei che ne custodiscono il passato, dalla lettura di articoli, libri e molto altro materiale recuperato grazie ad anni di studio.

Cover inglese Le madri di vento e di sale
 

«Come traspare da tutto il romanzo, Jeju è molto diversa dal resto della Corea – scrive l’autrice nella nota finale – La lingua, per esempio, differisce dal coreano standard. Il dialetto di Jeju ha una pesante inflessione nasale e molte parole hanno terminazioni brusche, quasi a evitare che si perdano nelle brezze agitate dell’isola. (…) La natura matrifocale dell’isola si manifesta nel fatto che è dimora di diecimila spiriti e divinità, la stragrande maggioranza delle quali dee». Ma il legame speciale che si instaura tra le donne dell’isola emerge anche dalle conversazioni attorno ai bulteok, una volta rientrate a terra dalle profondità marine; chiacchiere incentrate spesso sulla bassa opinione nei confronti degli uomini, il cui principale compito è quello di badare ai figli, mettere qualcosa in tavola la sera e filosofeggiare di alti sistemi nella piazza del villaggio, spesso accompagnandosi con abbondante vino di riso. Nonostante il ruolo fondamentale della donna, infatti, chi è ammesso all’istruzione sono solo gli uomini, gli stessi che hanno anche il diritto di ereditare case, terre e animali: la moglie si occupa sì del lavoro e della sussistenza economica della famiglia, ma sempre nell’ottica di permettere al marito di istruirsi. Un sistema che quindi, ben al di là di quanto si possa pensare quando si immagina una società fondata sulle donne, presenta molte pecche e contraddizioni, perché la realtà non è quasi mai all’altezza dell’utopia.

Se non vi avesse incuriosito abbastanza la tematica delle haenyeo, le terribili sofferenze che dovettero sopportare, l’evoluzione di un Paese in eterno conflitto e l’ampia descrizione delle tradizioni, delle leggende, degli usi e dei costumi di questo popolo, ricordiamo che Le madri di vento e di sale è prima di tutto la storia di una donna e della sua famiglia, nonché il racconto di un grande amore, di una travagliata amicizia e di un conflitto interiore tra senso di colpa e rabbia non meno grave di quello che si consuma all’esterno. Tra le pagine di questo libro ci sono così tanti aspetti emozionanti, curiosi, poco conosciuti e stimolanti da renderlo una delle migliori opere uscite negli ultimi anni, giustamente divenuto un bestseller internazionale da non perdere.

Lisa See
 

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