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Philip Roth: in libreria per Einaudi la biografia scritta da Blake Bailey
La biografia di Blake Bailey racconta senza compromessi la vita del grande scrittore americano
Philip Roth. La biografia di Blake Bailey, già autore delle biografie di John Cheever e Richard Yates, ci guida con abilità attraverso la vita di uno dei più grandi scrittori della seconda metà del Novecento
È uscita da poco in libreria per Einaudi Philip Roth. La biografia, scritta da Blake Bailey, già autore delle biografie di John Cheever e Richard Yates. Roth è quasi unanimemente riconosciuto come uno dei più grandi scrittori della seconda metà del Novecento, un traghettatore del romanzo nel nuovo millennio. Autore molto prolifico, ha scritto ben 31 romanzi – tradotti in tutte le lingue, hanno venduto milioni di copie in tutto il mondo – ed è conosciuto ad ogni latitudine, protagonista di polemiche e gossip, vincitore di ogni possibile premio o riconoscimento letterario (tranne il Nobel, entrando di conseguenza nel ben più esclusivo club di “quelli a cui non hanno voluto dare il Premio Nobel).
È sempre un’esperienza singolare leggere la biografia di uno scrittore: un testo letterario che parla di un creatore di testi letterari. Secondo Nabokov ogni scrittore è un affabulatore, parte giullare parte prestigiatore, capace di modellare specchi all’interno dei quali si riflettono luoghi, personaggi, relazioni: immagini – non cose –, riflessi stratificati sulla superficie dello specchio, profondità fittizia. La biografia di uno scrittore non è forse un nuovo specchio, sulla cui superficie si riflettono poi tutti gli specchi creati dallo scrittore stesso? Ecco, il rischio è sempre quello di perdersi in un labirinto, una galleria di specchi, o viceversa di creare un’immagine semplificata, stereotipata dell’uomo di cui si parla; rischio ancor maggiore se si pensa che Roth è stato un maestro dell’inganno narrativo, un istrionico esperto del camuffamento e del ventriloquio: ogni suo romanzo è un acrobatico incrocio di vita e invenzione, carico di ironiche sfide e provocazioni rivolte all’ingenuo lettore. Detto ciò, la biografia di Blake Bailey rende giustizia a Philip Roth, sia allo scrittore che all’uomo. L’autore, infatti, ci accompagna, senza quasi farsi percepire nella narrazione, attraverso la vita e le vicende di quest’uomo complesso, pieno di contraddizioni e conflitti senza farne un’apologia, né un trionfale elogio funebre.
Già il monumentale formato del tomo pubblicato da Einaudi dà l’idea dell’immenso lavoro portato avanti da Bailey, il quale è stato in grado di completare la biografia solo tre anni dopo la scomparsa di Roth, riuscendo a intervistare e a confrontarsi con l’autore – fu Roth stesso ad affidargli l’incarico nel 2012 –, a visionare il suo archivio personale e ad accedere a migliaia di altre testimonianze, documenti, filmati.
Nipote di immigrati ebrei, appartenente a una famiglia di classe sociale medio-bassa, Roth ha un’infanzia felice a Newark, nel New Jersey, che resterà sempre il suo luogo del cuore e di cui parlerà in molti dei suoi romanzi. La mamma Bess non è affatto soffocante e prevaricatrice come la madre di Alex Portnoy, uno dei suoi alter ego narrativi; al contrario, è una donna amorevole e premurosa, tanto che nessun’altra figura femminile nella vita di Roth riuscirà a reggerne il confronto. Il padre Herman, venditore assicurativo, è un impiegato infaticabile che trasmetterà questa disciplina del lavoro al figlio. Al college Roth scopre la narrativa e inizia così a scrivere le sue prime opere, per lo più di satira; abbandona quindi la facoltà di legge – sarebbe indubbiamente stato un ottimo avvocato delle cause perse – per dedicarsi alla scrittura e allo studio.
“Letteratura di giorno, donne di notte”, questo è il piano; ma come spesso accade, la vita ha in serbo altro. Così, a 23 anni Roth incontra Margaret Martinson, una bionda shiska (ovvero donna non di origini ebraiche), ragazza turbolenta e problematica con due figli da un precedente matrimonio. Roth è all’epoca un astro nascente del panorama letterario americano, vincitore del National Book Award nel 1959 con Goodbye, Columbus; Maggie, temendo di poter essere lasciata, architetta un piano per convincere Roth a sposarla: si procura un test di gravidanza positivo e strappa a Roth la promessa di matrimonio se avesse abortito. Seguono tuttavia anni traumatici per la coppia, fatti di litigi, separazioni, invidie, calunnie, fino a quando – dopo ben tre anni – Roth scopre di essersi fatto ingannare ingenuamente da un falso test di gravidanza e un falso aborto. Nemmeno a dirlo, iniziano le procedure per il divorzio. L’inganno subìto sarà un trauma che Roth proverà invano ad esorcizzare nel corso della sua intera esistenza. Il destino gli riserva però una nuova sorpresa: Maggie, che sta riducendo sul lastrico l’ex marito, muore all’improvviso in un incidente stradale; qualche settimana dopo viene pubblicato Il lamento di Portnoy e Roth diventa simultaneamente libero, ricco, famoso. L’altra faccia della medaglia è che da quel momento in poi una parte della critica e dell’opinione pubblica inizierà ad attaccarlo tacciandolo di antisemitismo, di essere “un uomo che odia sé stesso” e – ovviamente – di misoginia; accuse dalle quali sarà costretto a difendersi fino alla morte e su cui lo stesso Bailey si sofferma spesso, per sottolineare quanto abbiano pesato nella vita dello scrittore.
La seconda catastrofe matrimoniale arriva molti anni dopo, con l’attrice britannica Claire Bloom. La loro è una lunga, bellissima storia d’amore durata vent’anni, piena di momenti felici, complicità e sostegno reciproco, ma con un pessimo finale. Roth e Anna – la figlia che Claire ha avuto da un precedente matrimonio – non si sono mai piaciuti: il primo cerca di tenere la figliastra il più lontano possibile da sé e da Claire, la seconda ha uno strano ascendente sulla madre e infaticabilmente scredita Roth agli occhi di quest’ultima. Inevitabile, quindi, che le tensioni crescenti finiscano per sgretolare dall’interno il rapporto tra lo scrittore e l’attrice. Bailey racconta aneddoti divertenti e scabrosi al riguardo, come il seguente: Roth è in cura presso un centro psichiatrico per una forte depressione che lo ha portato a formulare propositi suicidi; Claire lo va a trovare, ma il loro incontro è talmente opprimente che finisce ricoverata anche lei, ovviamente in un’altra camera. La parte peggiore della storia è indubbiamente la rottura tra i due: azioni legali, accuse, sensi di colpa, bugie, ma soprattutto un libro autobiografico – Leaving a Doll’s House – in cui Claire dipinge a tinte fosche l’ex marito e il loro matrimonio. Ancora una volta, Roth dovrà fare i conti per sempre con l’immagine di sé che emerge dal libro: misogino, egoista e traditore (probabilmente il volume è tra le cause della mancata vittoria del Nobel).
Oltre alle sfortune matrimoniali, Roth è costantemente alle prese con malattie, interventi chirurgici, crisi depressive e disorientamenti psichici indotti dai farmaci che assume per alleviare il dolore cronico alla schiena. Con il passare degli anni il suo motto diventa: “la vecchiaia non è una battaglia, è un massacro”. Nonostante ciò, tra una difficoltà e l’altra riesce con caparbietà e una disciplina sovraumana a scrivere libro dopo libro; continuano anche ad arrivare premi importanti e chiaramente si susseguono relazioni più o meno durevoli con donne in genere molto più giovani di lui. La biografia scritta da Bailey non è però un resoconto piccante delle relazioni sentimentali del grande scrittore americano, ma ci offre anche degli scorci poco conosciuti sui suoi lati più virtuosi. Ne citiamo alcuni: nel periodo della guerra fredda Roth cura personalmente una collana di 17 volumi – Writers From the Other Europe – grazie alla quale brillanti ma sconosciuti scrittori dell’Europa dell’est vengono pubblicati in Occidente; concepisce inoltre un fondo sovvenzionato da scrittori americani per offrire sostegno economico a colleghi dissidenti dell’ex-Cecoslovacchia (tra essi Milan Kundera e Ivan Klima); infine, lascia una buona parte della sua eredità alla Biblioteca di Newark per trasformarla in un polo culturale all’avanguardia, senza considerare che in innumerevoli occasioni non esita ad aiutare amici e conoscenti in difficoltà.
Commovente è la descrizione degli ultimi giorni dello scrittore: sofferente sul letto d’ospedale e prossimo alla fine, Roth è circondato da una piccola folla di giovani ammiratori, di ex fidanzate, vecchi e nuovi amici provenienti da ogni epoca della sua vita. Non solo ha ormai accettato l’idea della morte con estrema lucidità, ma se ne va con la serenità di chi non ha conti in sospeso, come se avesse lui stesso scritto il copione di questo finale e assista da spettatore privilegiato all’ultima scena di un’opera grandiosa che si svolge intorno a lui. Indubbiamente si scriverà ancora molto a proposito di Philip Roth, sia per quanto riguarda le contraddizioni dell’uomo sia per il valore letterario delle sue opere; sembra evidente che le due cose siano intrinsecamente legate. Quando Bailey domandò a Roth perché creasse degli alter ego letterari che lo facevano apparire sotto una pessima luce, egli rispose: “Perché no? La letteratura non è mica un concorso di bellezza morale”. Questa biografia sarà senza dubbio il punto di partenza per nuove discussioni, sia per i lettori appassionati che per la critica: è infatti fonte preziosissima di aneddoti, curiosità, interviste, testimonianze e foto dall’archivio personale del grande scrittore.