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Equity crowdfunding, ecco come cambierà
I risultati dell’equity crowdfunding in Italia, sono stati, per ora, al di sotto delle aspettative: sono 7 finora le società finanziate in un anno e mezzo. In tutta Europa, invece, si sta assistendo a un vero boom, includendo anche paesi come Spagna, Svizzera e paesi Scandinavi (per non parlare delle solite UK, Francia e Germania).
E’ tutta colpa della scarsa predisposizione degli italiani agli investimenti di rischio? In realtà, chi ha a che fare ogni giorno con l’equity crowdfunding punta decisamente il dito contro alcuni vincoli imposti dal regolamento Consob.
La quale Consob, peraltro, ha deciso di dare una scossa alla situazione e lo scorso 19 giugno ha avviato una consultazione pubblica preliminare, della durata di tre settimane, per acquisire evidenze e osservazioni da valutare in occasione della prossima revisione del regolamento delegato sull’equity crowdfunding.
Ciascuno sarà dunque invitato a dire la sua. Ma il tema non è semplice e l’Associazione Italiana Equity Crowdfunding (AIEC), che raccoglie 11 delle 14 piattaforme autorizzate, ha rilasciato un documento con una serie di soluzioni che possono essere recepite facilmente e in breve tempo da Consob.
Abbiamo chiesto a Fabio Allegreni, partner di Crowd Advisors, che ha contribuito alla stesura del documento, di aiutarci a capirne meglio i punti salienti.
Perché l’Associazione delle piattaforme sente il bisogno di modificare l’attuale regolamento?
L’Italia è stata la prima a dotarsi di un quadro regolamentare sull’equity crowdfunding, ma, come molti hanno osservato sin dall’inizio, Consob, peraltro con lodevole intento, si è focalizzata troppo sulla tutela dell’investitore, ritenendo che il profilo finanziario di chi avrebbe investito in startup sarebbe stato molto molto basso. Nella realtà dei fatti, come dimostrano sia i casi italiani di successo che quelli europei, si tratta molto spesso di profili più sofisticati rispetto alla “signora Maria”. Il risultato di questa iper tutela è che gli adempimenti formali richiesti per investire sono talmente complessi da risultare scoraggianti.
Quali sono in particolare i principali limiti della normativa attuale?
Il primo e più rilevante è la cosiddetta “soglia Mifid”. Secondo una normativa europea che regola l’intermediazione finanziaria, la cosiddetta Mifid, recepita in Italia nel TUF, chi investe in qualsiasi tipo di titolo, soprattutto se si tratta di investimenti rischiosi e illiquidi, deve essere profilato dall’ente che fa da intermediario tra chi lo acquista e chi lo vende. Ciò avviene attraverso la compilazione di un questionario (profilazione MIfid) che chi investe deve firmare, oltretutto con firma scritta.
Nel caso dell’equity crowdfunding, l’investitore che vede su una piattaforma una società interessante e vuole investire, clicca per farlo, ma, prima, deve recarsi presso l’intermediario convenzionato con la piattaforma (quasi sempre una banca), sottoporsi al questionario, firmarlo, tornare a casa e, se ne ha ancora voglia, fare il bonifico. In realtà Consob deroga da questa farraginosa procedura gli investimenti al di sotto di €500. Tale soglia, appunto la soglia Mifid, è però troppo bassa, in quanto, come dicevo prima, sia in Italia che in Europa, gli investimenti medi si attestano su importi tra 4 e i 10 mila Euro.
AIEC propone di abolire la soglia o, quanto meno di alzarla a 10 mila Euro, e, inoltre, di togliere qualsiasi limite annuale (per essere sotto-soglia un privato ora non può investire più di 1000 euro l’anno in totale…).
Perché proprio 10 mila Euro?
Gli Italiani possono esportare fino a 10 mila euro senza particolare autorizzazioni. E così possono investire tranquillamente fino a quell’importo su piattaforme straniere. Paradossalmente, per uno straniero, invece, dovendo sottoporsi alla procedura Mifid italiana, che gli impone firme fisiche autenticate e contatti con uno sportello bancario italiano, è praticamente impossibile investire online su una piattaforma italiana. Alzando la soglia a 10 mila, almeno, parificheremmo le opportunità.
Ci sono altre norme del regolamento che AIEC ritiene particolarmente limitanti?
Sì certo. Tra le altre, ne citerei una che aggiunge molto poco in termini di tutela dell’investitore, ma che rende la vita molto difficile alle imprese e alle piattaforme.
Affinché la raccolta vada a buon fine, almeno il 5% deve essere sottoscritto da un investitore professionale o da un incubatore certificato. La ratio è che se un’entità esperta in investimenti mette dei soldi in un’iniziativa, allora l’investitore “retail” è più rassicurato.
I cosiddetti “investitori professionali” sono fondamentalmente banche, sim, sgr, fondi pensione ecc… i quali, anzitutto, hanno logiche di investimento completamente diverse dai privati e, inoltre, non investono mai piccoli importi (il 5% corrisponde tipicamente a cifre comprese tra 5 mila e 20-25 mila euro), in quanto i costi di due diligence per investimenti azionari rischiosi e illiquidi sono molto elevati e i processi decisionali molto complessi.
La base di questa norma è stabilita dalla legge primaria e quindi Consob non la può abrogare. Ma ha l’autorità per intervenire in almeno un modo: allargare la qualifica di investitore professionale nel caso specifico dell’equity crowdfunding. In Spagna, per esempio, il regolamento appena approvato stabilisce che investitore professionale è colui che guadagna almeno 50 mila euro l’anno. La nostra ratio (e quella spagnola), in questo caso, è che se qualche business angel intende investire in una o più startup ciò costituisce di per sè una qualificazione dell’investimento assai maggiore che non quella di una banca o di una SIM che non hanno mai investito in startup né mai lo faranno.
Consob, una decina di giorni fa ha lanciato una consultazione pubblica proprio sul regolamento. Cosa ne pensa?
E’ sicuramente un fatto estremamente positivo. Significa che Consob, alla luce soprattutto dei risultati non brillanti dell’equity crowdfunding in Italia, molto positivi invece nel resto d’Europa, sta facendo un esame di coscienza e chiede a tutti coloro che ne hanno interesse di dare il proprio contributo. Mi auguro si traggano rapidamente delle conclusioni e che, altrettanto rapidamente, Consob voglia e possa recepirle.
Fabio Allegreni, laureato in Economia Aziendale all’Università Bocconi, è un imprenditore e consulente web e mobile. Dopo aver lavorato in Accenture e Coca-Cola, fonda, nel 1998, una start-up che viene poi acquisita nel 2000 da WebNext S.p.A. (Gruppo Sper). E’ consulente nei media digitali dal 2002 e ha affiancato sia grandi gruppi media che start-up con l'obiettivo di valorizzarne gli asset sfruttando la convergenza di mobile, web, social network e e-commerce. Da alcuni anni si occupa anche di fund raising per la startup-up con una forte focalizzazione sugli strumenti alternativi, tra cui il crowdfunding. |