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Dati internazionali e fake news. L'aiuto arriva da un istituto italiano
Nasce l’Osservatorio Internazionale di CESPI sulla pandemia. Intervista a Marco Zupi
Contro le fake news sui dati internazionali un aiuto da un grande Istituto di ricerca italiano. Nasce l’Osservatorio Internazionale di CESPI sulla pandemia.
Ne parliamo con il direttore scientifico Marco Zupi.
1) Dottor Zupi anche un grande centro di ricerca internazionale fa una scelta coraggiosa per aiutare l’Italia a capire meglio cosa sta succedendo. Ci spiega perché avete creato l’Osservatorio internazionale Covid 19?
I dati sono un elemento essenziale per descrivere e cercare di comprendere i fenomeni, il che dovrebbe contribuire a favorire scelte appropriate nella gestione della pandemia del Covid-19. In particolare, nel momento in cui, a metà febbraio, in Italia si registrava il primo caso di trasmissione secondaria del Covid-19 a Codogno, ci è sembrato utile contribuire a descrivere quello che stiamo vivendo da una prospettiva globale, in modo cioè complementare ai dati che giornalmente ci arrivano alle 18.00 dal Dipartimento della Protezione Civile sulla situazione provinciale, regionale e nazionale in Italia.
Esistono fonti autorevoli e qualificate che cercano di sistematizzare quotidianamente i dati su scala mondiale, anzitutto l’Organizzazione mondiale della sanità, il Centro europeo dell’UE per la prevenzione e il controllo delle malattie e - in tempo reale - il Centro CSSE presso la Johns Hopkins University. Noi utilizziamo giornalmente i dati di queste e altre fonti autorevoli, predisponendo grafici e tabelle che descrivono l’andamento della situazione, a corredo di un breve diario giornaliero che riassume l’evoluzione del virus a livello internazionale, raccogliendo segnalazioni che ci arrivano da collaboratori in Africa, Asia e America latina, oltre che da notizie sui giornali esteri. Non solo le pandemie o i cambiamenti climatici, ma anche la conoscenza è un bene pubblico globale. E se le pandemie sono per definizione mondiali, nel senso che sono in grado di raggiungere tutti i paesi (oggi siamo a oltre duecento paesi e territori raggiunti dal Covid-19), tuttavia l’accesso alla salute di qualità può risultare differente per segmenti di popolazione, marginalizzando ulteriormente i più poveri e marginalizzati. Allo stesso modo l’accesso all’informazione e conoscenza è un bene prezioso da condividere per evitare che si allarghi la forbice delle disuguaglianze.
2) Il governo italiano ha proposto la creazione di un osservatorio sulle Fake news che circolano sull’emergenza. Una buona ragione per cercare notizie da centri di ricerca come il vostro. Anche voi nel raccogliere i dati trovate tante notizie distorte?
Sì, io distinguerei due problemi. Da un lato c’è il problema di fonti, ancorché autorevoli e ufficiali, che forniscono dati parziali, con errori di immissione, quasi inevitabili quando si tratta di raccogliere e sistematizzare una quantità enorme di dati in brevissimo tempo. E questo tipo di problemi ed errori lo abbiamo riscontrato anche nelle diverse batterie di dati delle fonti più autorevoli citate. A questo si aggiunge un problema di mancata standardizzazione del tipo di indicatori utilizzati dai diversi paesi, e prendo come esempio il caso del tasso di letalità che dovrebbe indicare la percentuale di decessi sul totale di contagiati: all’interno dell’UE – in cui ci immagineremmo una standardizzazione piena dei sistemi di rilevazione dei dati epidemiologici – ci sono grandi differenze, differenze che aumentano su scala mondiale e tutto ciò rende incomparabili in termini rigorosi i dati su scala mondiale, oltre che fuorvianti certe interpretazioni affrettate.
Altra cosa è invece la diffusione di fake news che certamente prospera e trova facile ascolto in questo contesto, in termini di messaggi incontrollati veicolati (per esempio tramite video virali su Internet o via smartphone) più che in termini di manipolazione di serie di dati, alla ricerca di notorietà o di lettura chiara e semplificata – complottistica o meno – di quel che ci appare incerto, complesso, correlato a molteplici determinanti. La scorciatoia di letture nette e sensazionalistiche come sono le fake news aiuta a rassicurarci, confortandoci per aver trovato il bandolo della matassa, la spiegazione sorprendente a qualcosa che crea ansia come la diffusione del Covid-19. Si può parlare di censura e fake news a proposito di informazioni di alcuni governi pubblicate ad arte per rassicurare la popolazione o, all’opposto, per giustificare misure restrittive delle libertà? Direi di sì, ma in assenza di prove si rischia di alimentare, con illazioni, il circuito delle notizie false se si citano casi specifici. Ecco, la cosa importante che distingue dati provenienti da centri come l’ECDC è che si tratta di un team di epidemiologi che sottopone a screening fino a 500 fonti pertinenti internazionali per raccogliere gli ultimi dati, sulla base di un processo di verifica della fonte e convalida finale secondo standard molto meticolosi. Potranno esserci errori, ma il loro è un lavoro essenziale per contrastare l’incapacità di discernere fonti autorevoli da che alimenta fake news.
3) Nella sua presentazione dell’osservatorio lei parla di anomalia italiana nella gestione della pandemia nei dati della pandemia. Cosa significa?
Parlavo di anomalia quando, a inizio marzo, l’Italia cominciava a registrare una tendenza del tasso di letalità – citato prima – a crescere rapidamente e ininterrottamente, a un livello presumibilmente molto maggiore di quello degli altri paesi. Tale tendenza, in effetti, si è confermata nei giorni successivi e ancora oggi l’Italia registra un tasso maggiore (siamo arrivati al 12,5%) rispetto a quello di altri paesi, anche europei e anche a parità del numero di contagiati. Allora scrivevo che si potevano formulare alcune ipotesi, non necessariamente escludentisi, ma aggiungevo che nessuna era immediatamente verificabile con certezza come causa determinante prevalente. Ancora oggi direi che è così; occorrerà del tempo e maggiori informazioni dettagliate per verificare con maggiore precisione quali siano le spiegazioni; certamente, la mancata adozione di standard internazionali nella costruzione degli indicatori è emerso come un problema serio. Del resto, anche il diverso andamento della diffusione del contagio nelle diverse province italiane è un dato di fatto, come pure la diversa diffusione per età dei contagiati tra territori e nel tempo, su cui possiamo al momento formulare solo ipotesi.
4) Proviamo a capire meglio a grandi linee cosa emerge dai dati e dal diario quotidiano che fate da tutto il mondo se sia possibile oggi fare una fotografia. In primo luogo, emergono differenze nella nostra cara vecchia Europa fra paesi e paesi nella gestione della pandemia? Perché per chi legge l’informazione giornalistica parrebbe di sì.
Leggendo i dati da una prospettiva globale, mi sentirei di sconsigliare il richiamo retorico alla specificità nazionale (“siamo un modello per gli altri paesi”, “siamo un popolo straordinario”, molto comune ovunque in periodi di “guerra”), come anche una opposta tendenza alla esterofilia e alla presunta efficienza dimostrata in altri contesti. In gran parte dei paesi dell’UE, al netto delle diversa tempistica nella diffusione del Covid-19 (con l’Italia che ha anticipato di alcuni giorni l’andamento in paesi come la Spagna), direi che – oltre al problema della mancanza di dati standardizzati – ci sono stati comuni errori iniziali di sottovalutazione, fasi più o meno lunghe di adattamento e allineamento nazionale su misure di contenimento e autoisolamento (il cosiddetto lock-down), l’insufficiente attenzione alle case di cura per anziani di cui abbiamo letto soprattutto in Italia e in Francia; si tratterà, poi, di capire meglio le differenze territoriali tra paesi e all’interno dei paesi in termini di rispetto delle misure adottate, come anche quelle relative alle scelte governative di imporre o meno l’uso delle mascherine come dispositivi di protezione individuale obbligatori, oppure quelle di realizzare un numero maggiore o minore di test su casi sintomatici e asintomatici (punto su cui, in Europa, si è distinta per prima l’Islanda, con la decisione di realizzare test su campioni molto ampi della popolazione, comprese molte persone asintomatiche). Ovviamente, in ambito UE è emerso fortunatamente solo marginalmente il problema di governi – è il caso dell’Ungheria, con il primo ministro nazionalista e conservatore, Viktor Orbán – che decidono, con l’avallo del Parlamento, di avvalersi di pieni poteri in nome di un’azione più efficace per contrastare il Covid-19, sollevando forti critiche e preoccupazioni in Europa e tra le opposizioni. Resta l’impressione, per quanto riguarda l’Italia nello specifico, di una gestione molto difficile di una crisi inedita, condotta con sobrietà e senso etico dello stato da parte del Ministro della salute, attento a salvaguardare la salute di tutti; come pure c’è l’impressione di un cambiamento di abitudini senza precedenti che hanno interessato tutti noi indistintamente e che lasceranno tracce, più o meno latenti nel futuro. Per tornare all’Europa, direi che, alla prova dei fatti, sarà molto importante capire nei prossimi giorni e settimane l’allineamento o meno dei diversi paesi membri dell’UE in relazione al passaggio alla cosiddetta fase 2, ovvero il graduale ripristino di condizioni di normalità e riavvio di attività economiche. È a tutti noto che la grave recessione determinata dalla pandemia spinge a riavviare appena possibile i motori della crescita economica, dovendo fare i conti con dati strutturali e di stabilità finanziaria diversi (punto su cui si è determinata la frattura in seno all’UE su Corona-bond e MES-light), ma è noto anche che tutelare la salute di tutti e salvare vite umane deve restare la prima priorità, come hanno recentemente riaffermato durante una conferenza stampa congiunta il direttore generale dell'OMS e il direttore generale del Fondo monetario internazionale (FMI). Non deve sfuggire, dunque, il rischio di trade-off tra obiettivi di ripresa economica e obiettivi di tutela della salute di tutti.
5) Seconda questione. Quale appaiono dai vostri dati la situazione e le strategie degli Stati Uniti e della Cina ?
Non è facile rispondere a questa domanda. È certo che la politica per contrastare la diffusione del Covid-19 rappresenta uno strumento di confronto politico, economico e strategico nel tentativo di ridefinire a proprio vantaggio l’ordine globale e rafforzare la leadership internazionale delle due superpotenze. La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina trova sicuramente un nuovo terreno di confronto nella propaganda in corso. L’impressione è che la Cina, al netto di presunte manipolazioni di dati che vengono imputate al suo governo, stia vincendo al momento la battaglia della narrazione sulla capacità nazionale di contenere il virus, in virtù della sua risolutezza e capacità dello stato di controllare e disciplinare i comportamenti individuali. All’opposto, gli Stati Uniti scontano l’incapacità dell’amministrazione Trump di intuire immediatamente la portata del problema, di adottare una linea chiara e non contraddetta nel tempo sulla risposta da dare alla pandemia, evidenziando le debolezze sottostanti delle istituzioni statunitensi, i conflitti tra governo federale a amministrazioni locali (li contrasto, per esempio, con il governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo) e la scarsa preparazione del sistema sanitario a fronteggiare una tale crisi, esponendo la popolazione meno abbiente a gravissime conseguenze. L’azione diplomatica e di cooperazione internazionale cinese, come dimostra il caso della delegazione di medici in visita in Italia e la fornitura di materiale non solo all’Italia ma anche agli stessi Stati Uniti (l’invio di mille respiratori per gli ospedali di New York) sono efficaci dal punto di vista comunicativo, oltre che sostanziali. Bisogna, però, aggiungere due elementi: anzitutto, in situazioni emergenziali come la pandemia in corso, ordinamenti statali come quello cinese sono inevitabilmente più efficaci in tempi rapidi nel garantire il rispetto delle misure adottate e garantire la sicurezza e il controllo della situazione, sacrificando il valore delle libertà e dei diritti individuali. Inoltre, questo confronto strategico e l’attuale spazio d’azione per la Cina (che registra per la prima volta nessun nuovo decesso nelle ultime 24 ore per Covid-19) e le difficolta attuali degli Stati Uniti (in piena emergenza, con numeri di nuovi contagi e decessi per Covid-19 senza precedenti, dinanzi a un clima di contrasto politico pre-elettorale) si collocano in un’arena particolare, in cui la Cina non può cinicamente passare all’incasso della partita giocata, perché la sfida al Covid-19 è ancora oggi principalmente combattuta in Occidente; il virus, fortunatamente, è diffuso molto poco nei paesi in via di sviluppo e sono questi ultimi il terreno su cui si confrontano anzitutto le due super-potenze in termini di alleanze strategiche.
6) Come Cespi questa è una iniziativa a sé stante nel panorama delle vostre ricerche oppure questa emergenza e soprattutto il lungo e oggi ignoto dopo emergenza sta portandovi ad una nuova proposta di azioni per il futuro prossimo in questa direzione?
Al momento mi sentirei di trarre una lezione di indirizzo per il futuro, per quel che riguarda l’attività del CeSPI, ed è di continuare a valorizzare il patrimonio intessuto, consolidato e accresciuto nei decenni, di partenariato con istituti di ricerca e università di Africa, Asia, America latina e Caraibi. Le sfide sono sempre più globali, a cominciare da pandemie, ma anche cambiamenti climatici o movimenti di richiedenti asilo e rifugiati sono qui a ricordarcelo; al contempo, ogni giorno si crea una straordinaria quantità di informazioni e dati unici, di cui non possiamo controllare la veridicità, distribuiti con una velocità senza precedenti a un pubblico in costante crescita. La combinazione di questi due elementi in campo richiede un’attenzione crescente a promuovere conoscenza e informazioni ai cittadini, che hanno l’opportunità di avere più voce in capitolo, ma che rischiano di essere più vulnerabili che mai, sommersi da informazioni contraddittorie e poco verificate. Penso che il compito di sprovincializzare lo sguardo, aiutando i decisori politici e i cittadini a leggere i fenomeni nella loro dimensione globale, non facendo recitare la parte ancillare e quasi esotica come in passato alle fonti, qualificate ma eterogenee del cosiddetto Sud del mondo, capaci di produrre analisi accurate altrettanto quanto gli analisti europei, sia un servizio prezioso su cui il CeSPI più di altri investe da decenni e continuerà a investire.
La crisi attuale ha mostrato in modo evidente ed esplicito il profondo grado di interazione e interdipendenza che esiste fra paesi e ambiti/settori. Nessuno sarà immune da un effetto immediato (in primis sanitario) o mediato (economico, finanziario, politico…) di questa crisi. Nessuno è oggi in grado di anticipare gli effetti che si avranno nei prossimi mesi. La capacità di studiare e tracciare possibili scenari all’interno di un contesto sempre più intrecciato e complesso rappresenta una delle principali sfide rispetto alle quali il CeSPI ha semrpe cercato di confrontarsi e attrezzarsi. La rete di Osservatorio che sono stati creati in questi anni (fra cui anche l’Osservatorio Covid-19) ha proprio come obiettivo quello di avere degli strumenti di analisi puntati su alcuni temi o alcune aree geografiche specifiche, consentendo di cogliere e anticipare traiettorie e scenari futuri resi ancora più indecifrabili dalla crisi ancora in corso.