Medicina

Perché dormiamo? Scoperto lo scopo del sonno: dormiamo per dimenticare

Perché si dorme? Si dorme per dimenticare i ricordi che non servono. Dimostrato il ruolo del sonno nel riequilibrio sinaptico

Perché si dorme? Dormiamo per dimenticare ciò che non ci serve. Confermata la teoria della omeostasi sinaptica che svela a cosa serve dormire

 

A cosa serve dormire? Nel corso degli anni, gli scienziati hanno creato un sacco di idee sul perché dormiamo. Alcuni hanno sostenuto che si dorme per risparmiare energia. Altri hanno suggerito che il sonno offre l'opportunità eliminare le tossine dal nostro cervello. Altri ancora sostengono che gli animali dormono per nascondersi dai predatori e difendersi da loro. 

 

Perché dormiamo? Sonno e memoria: si dorme per ripulire la memoria

 

Un paio di articoli pubblicati sulla rivista Science offrono prove per un’altra risposta alla domanda “perché si dorme?”: dormiamo per dimenticare alcune delle cose che impariamo ogni giorno. Per imparare, dobbiamo far crescere le connessioni, o sinapsi, tra i neuroni nel nostro cervello. Questi collegamenti consentono ai neuroni di inviare segnali l'uno all'altro in modo rapido ed efficiente. In queste connessioni noi memorizziamo nuovi ricordi.

Lo studio è stato realizzato dal gruppo di ricerca di Luisa De Vivo, Chiara Cirelli e Giulio Tononi all'Università del Wisconsin, a cui ha collaborato anche Michele Bellesi dell'Università Politecnica delle Marche.

 

Ecco perché si dorme? Dormiamo per dimenticare i ricordi che non ci servono. L'importanza del sonno nel processo della memoria

 

La ricerca ha dimostrato la tesi sollevata già alcuni anni fa, nota nell’ambiente come ipotesi omeostasi sinaptica, ovvero che le sinapsi, potenziate notevolmente durante la veglia, durante la fase del sonno si depotenziano tornando dunque ad un livello normale e pronte nuovamente per recepire nuovi stimoli una volta svegli.

La ricerca al momento condotta sui roditori dove la maggior parte delle connessioni tra neuroni (sinapsi) si rimpicciolisce in media del 20% nel sonno, ma potrebbe presto trovare un corrispettivo nell’essere umano.