Milano
Allagamenti e urbanizzazione, la spirale che Milano e l'hinterland devono spezzare
Intervista a Gianfranco Becciu (Politecnico di Milano): "L’unica strategia è controllare che l’urbanizzazione proceda parallelamente al governo dei deflussi"
Allagamenti e urbanizzazione, la spirale che Milano e l'hinterland devono spezzare
Milano, torna il rischio allagamenti? Ogni volta che le precipitazioni abbondanti investono la città, gli abitanti del capoluogo lombardo si preoccupano per la minaccia dell’esondazione dei fiumi Lambro e Seveso. Ma qual è il reale stato dell’arte delle minacce di allagamento e soprattutto a che punto sono le soluzioni di gestione del rischio idrico a Milano e dintorni? Affaritaliani.it Milano ne discute con il professor Gianfranco Becciu, docente al Dipartimento di Ingegneria Ambientale del Politecnico di Milano, dove insegna Costruzioni Idrauliche.
Professore, quali sono le principali problematiche legate al rischio allagamento in una città come Milano?
Il discorso è articolato, il rischio di allagamento in una città è associato a problematiche diverse. Esiste un rischio fluviale, associato a Milano a fiumi come Seveso e Lambro: quando piove in maniera intensa e prolungata, l’aumento della portata supera gli argini. Se questo accade in aree urbane, c’è un’indubbia condizione di rischio. Questa probabilità aumenta sia in relazione alla maggiore frequenza di piogge intense e prolungate sia al fatto che i corsi d’acqua urbani vedono il loro alveo modificato. Il Seveso, arrivando a Milano, si convoglia dentro un canale sotterraneo di capacità limitata e un convogliamento associato alla sua geometria. Ogni volta che la capacità di convogliamento è superata, la zona di Niguarda e potenzialmente fino a Isola e Garibaldi è a minaccia di allagamento.
Esistono altre condizioni non legate direttamente ai fiumi?
In città ci sono altre condizioni di rischio associate a un allagamento pluviale. L’acqua che si forma all’interno delle città al momento dell’urbanizzazione e dell’impermeabilizzazione dei suoli, che dovrebbe essere drenata dalle reti artificiali come le fognature può crescere talmente tanto in quantità da non consentire a queste ultime di raccoglierle in maniera continua e convogliarle allo scarico a valle. Questo rischio dipende dal regime delle precipitazioni e dal fatto che l’urbanizzazione si evolve molto più velocemente di quanto noi siamo in grado di adeguare le reti fognarie. Questo per ragioni sia economiche che tecniche: l’urbanizzazione estende incessantemente l’area impermeabilizzata. La densificazione aumenta di velocità in periferia e per mantenere l’equilibrio tra quantità d’acqua drenata e capacità di drenarle dovremo continuamente aumentare la dimensione delle reti fognarie. Tutto ciò ha dei limiti di spesa e imporrebbe continui lavori di adeguamento.
Spesso, del resto, a essere riconoscibili sono determinate aree che ogni volta si allagano…
Molte strade rimangono allagate a lungo in vari punti, si formano delle grandi pozzanghere e spesso negli stessi punti. Questo deriva da un’errata o insufficiente procedura di posizionamento delle feritoie stradali, ovvero dei punti in cui le acque di deflusso superficiali entrano nelle fognature o nelle altre aree di drenaggio sotterranee, che a Milano sono numerose. Questo è un altro ordine di problema che riguarda la manutenzione e la progettazione urbana.
Come si può gestire il rischio in questo contesto?
Quest’ultimo rischio è gestionale e strutturale. Per gestire i primi due rischi possiamo utilizzare strategie differenti. Per il rischio fluviale l’innalzamento degli argini e degli alvei e il ripristino delle aree naturali d’espansione dei bacini sarebbero la scelta ottimale. Ma queste ultime spesso sono utilizzate per l’espansione cittadina: il corso del Seveso, tombinato in città, a Milano è stato utilizzato per l’urbanizzazione. E spesso le aree sono utilizzate per costruire ambienti urbani, rendendo difficile tornare indietro. Certamente la manutenzione dei corsi d’acqua e la rimozione di residui lapidei e legnosi che nelle piene si depositano riducendo la capacità di deflusso dell’acqua può aiutare. Possiamo poi lavorare sui punti di restrizione dell’alveo, evitando che diventino dei colli di bottiglia e in cui la possibilità di esondazione aumenta. Inoltre, c’è la possibilità di costruire vasche di laminazione come quella del Parco Nord o le altre previste nel sistema idraulico a monte della città.
Queste strategie sono efficaci alla prova di una crescente urbanizzazione?
Queste strategie diventano man mano inefficienti nel tempo di fronte al crescere dell’urbanizzazione. Se tutti i centri a monte di Milano attorno Seveso e Lambro si ingrandiscono, impermeabilizzano e condizionano lo sviluppo dei fiumi anche queste strategie di controllo delle piene, anche con opere grandi e costose, caleranno di efficienza. Pensiamo solo a quel che successe negli anni Cinquanta a Milano: per diminuire la frequenza di allagamenti, si pensò di costruire il canale scolmatore a Nord-Ovest della città che entrò in funzione solo negli anni Ottanta. Quel canale avrebbe dovuto risolvere definitivamente il problema ma il fatto che l’urbanizzazione sia andata avanti per oltre vent’anni aveva cambiato la situazione idraulica. E il canale fece sentire i suoi effetti solo per pochi anni, poi il problema delle esondazioni del Seveso tornò alle stesse condizioni di prima. Ormai gli allagamenti non sono più un fatto eccezionale, ma un fenomeno che mediamente si ripete tre o quattro volte l’anno e quell’opera si è dimostrata insufficiente per il cambio di clima e sistema idraulico. E lo stesso succederà con le vasche del Seveso e altri corsi d’acqua.
Come agire in maniera lungimirante per dare una risposta a questi problemi?
L’unica strategia che possiamo applicare per una politica gestionale lungimirante è controllare i bacini fluviali a monte, ovvero controllare che l’urbanizzazione proceda parallelamente al governo dei deflussi superficiali. Una politica del genere è applicata da molti Paesi da tempo, aumentando la quantità di pioggia che si infiltra nel terreno con opere specifiche, dalle pavimentazioni permeabili a pozzi costruiti appositamente, aumentando le superfici verdi in aree urbane e sopra i palazzi e sfruttando tutte le possibilità di invaso a disposizione in aree controllate. Queste strategie, dette nature-based solutions, mirano a compensare le alterazioni del ciclo idrico naturale dovute all’urbanizzazione. In Asia questo concetto viene declinato col termine di “città-spugna”, tessuti urbani capaci di assorbire la pioggia limitandone la trasformazione in deflussi superficiali. Riducendo la frequenza e l’estensione degli allagamenti. In Italia negli ultimi dieci anni sono state sviluppate una serie di normative sulla varianza idraulica e idrologica che mirano a far sì che gli interventi urbanistici, non vietabili in assoluto, tengano conto anche di questi aspetti, aprendo la strada a una compensazione per ogni forma di espansione urbana, evitando che si aggravi il rischio di allagamento.
Come è messa Milano e come i comuni dell’area nella gestione di questi processi?
Sulle strategie generali, Milano penso sia un po’ in ritardo, dato che sta iniziando solo adesso a realizzare alcuni di questi interventi. Anche perché la rete fognaria di Milano resta generalmente efficiente, e senza il rischio di allagamento fluviale i rischi legati a fallimenti della rete di drenaggio sarebbero ridotti. La rete fognaria di Milano non è di per sé un problema, convoglia i flussi verso valle e i depuratori essendo anche in grado di accumularli temporaneamente come una grande vasca sotterranea. Probabilmente per questo Milano, anche rispetto ad altri centri, ha meno necessità di interventi di compensazione idraulica e di drenaggio urbano sostenibile. Invece, nei comuni della cintura dove le fognature sono più recenti e meno in grado di gestire l’aumento del rischio di allagamento si stanno realizzando nuove opere anche con i fondi del Pnrr, in parte destinati a questo tipo di problemi.