Milano
Astrattismo ai confini del pensiero: le opere nascoste di Domenico Pellicanò
Un corpus di circa cinquecento tra dipinti, disegni e guazzi rivela un suggestivo tesoro segreto nella produzione dell'artista milanese
Astrattismo ai confini del pensiero: le opere nascoste di Domenico Pellicanò
"Etonne-moi", stupitemi: così il fondatore dei Balletti russi Sergei Diaghilev rispose ad un giovane Jean Cocteau in cerca di una più autentica ispirazione per la propria poesia. L'arte è infatti stupore e rivelazione almeno tanto quanto è forma e sostanza. Fenomeno estetico ma anche percorso interiore. E questo senso di stupore è quello che suscitano oggi le opere astratte di Domenico Pellicanò. La sorpresa e la meraviglia per la scoperta di un corpus comprendente centinaia di lavori su carta, su tavola e su tela, che gettano una luce nuova e inedita sull'attività del maestro originario di Reggio Calabria ma milanese d'adozione, artista la cui reputazione si è consolidata negli anni in Italia ed ha travalicato i confini nazionali grazie ad un linguaggio inconfondibilmente personale e ad una ricerca espressiva di straordinario vigore svolta nel campo della figurazione.
Pellicanò è infatti noto prevalentemente come sofisticato rinnovatore degli archetipi del mito classico, cantore della gesta degli eroi antichi ma anche acuto e sensibilissimo osservatore di paesaggi mediterranei. Non più solo questo. C'è un Pellicanò più privato, un Pellicanò sino ad oggi segreto. Un Pellicanò che ha varcato la soglia del non figurativo per esprimersi attraverso opere di natura astratta. Un percorso sviluppato parallelamente nel tempo e che l'artista sino ad oggi aveva scelto di custodire per sè, come un diario di viaggio non necessariamente destinato a contemplazione pubblica e condivisione. Ora di fronte a questi lavori, siamo posti innanzi ad una immediata consapevolezza: non si tratta in nessun modo di estemporanee divagazioni o disimpegnati divertissement. Lo dimostra una semplice constatazione empirica: tra oli, disegni, gouaches, acquarelli, il corpus astratto di Pellicanò giunge a costituire una ragguardevole collezione di circa cinquecento opere. Un campo di indagine espressiva quindi esplorato con costanza e dedizione, una urgenza estetica ascoltata e coltivata con cura e approfonditamente.
Codice primitivo
Pellicanò, ogni opera è un atto iniziatico
C'è in questi lavori il medesimo rigore dei dipinti più noti dell'artista, vi è all'opera il medesimo anelito che porta da sempre Pellicanò ad inseguire e alimentare una luce di verità negli stupefacenti immaginari di cui è sia testimone che artefice. Troppo elevata è in lui la cognizione dell'importanza della missione che l'artista è chiamato a svolgere: non c'è opera il cui compimento possa essere preso con leggerezza. Quanto è dunque diverso lo stupore generato dal lavoro di Pellicanò rispetto a quanto persegue con euforica pervicacia tanta parte dell'arte contemporanea. C'è una strada - assai battuta - che passa infatti attraverso il coup de theatre, l'effetto speciale, l'iperbole, la provocazione chiassosa. Cosa si cela dietro lo scandalo? Spesso null'altro che il suo stesso rumore di fondo. Altra la meraviglia perseguita dalle opere di Pellicanò, che preferisce interpellare i nostri sensi e l'intelletto recuperando la lezione dell'enigma. Ogni sua opera è un atto iniziatico, soglia da varcare con sguardo e cuore ben aperti perchè costituisce l'accesso ad una dimensione diversa i cui codici interpretativi non sono esposti in bella vista ma sono da decifrare lasciandosi immergere nella corrente dell'ispirazione dell'artista, facendosi guidare e trasportare dai segni disseminati qua e la lungo il percorso. Pellicanò evoca e allude. Illude? E' almeno dai tempi di Parmenide che i filosofi - confortati oggi nella loro intuizione anche dai neuroscienziati - ci ammoniscono: è il nostro mondo, quello che noi chiamiamo "realtà", ad essere illusione.
Il silenzio del musicista
Ed è forse questa consapevolezza ad aver guidato la mano di Pellicanò quando nel silenzio del suo studio ha cominciato ad accarezzare l'ipotesi di abbandonare il figurativo. Ci ripetiamo: per un artista che ha sempre esaltato la capacità simbolica e significante delle donne e degli uomini protagonisti delle sue opere, figure utilizzate come totem o steli di Rosetta per condurre il discorso verso un luogo altro, il passaggio all'astrattismo non è altro che la possibilità di approfondire la propria indagine sublimando ancora di più gli strumenti a disposizione. Siano dunque solo linea e colore a squarciare il velo di Maya. Che si tratti di una ricerca che mantiene ben saldi i legami con le opere di Pellicanò, che ci sono state sino ad oggi più familiari, lo lascia comprendere del resto una analisi anche solo sommaria di questi disegni e questi dipinti che abbiamo definito "segreti". L'identità stilistica e concettuale è forte ed inequivocabile perchè figlia di un linguaggio forgiato in decenni di ricerca espressiva che ha costituito e definito l'autorialità di Pellicanò.
Una personalità artistica talmente profonda, originale ed unica nel panorama contemporaneo da consentire all'artista di essere autenticamente se stesso qualsiasi sfida espressiva decida di affrontare. E come dunque ogni volta invariabilmente accade, ecco che a prima vista l'osservatore rimane abbagliato dalla lucentezza ed esuberanza cromatica delle opere, dal vitalismo di scelte radicali e prive di compromessi alla base della stesura per ampie aree uniformi dei rossi, degli ocra, dei verdi, dei rosa. La tavolozza non si discosta dunque dalle palette delle opere figurative, che nel loro dichiarato antirealismo cromatico già presentivano dunque una opzione astrattista.
Ma non sfugge all'osservatore come nell'equilibrio del dipinto ad emergere sia poi sempre - sedimentatasi la sensazione di estasi orgiastica provocata dai colori - l'egemonia del segno, autentica architrave di ogni opera di Pellicanò. E' la linea ad imporsi come principio regolatore. A indicare con il proprio ritmo il percorso da seguire. Abolito ogni tratto curvo e sinuoso, in queste opere domina incontrastata la linea retta. L'incastro di angoli e spigoli crea figure geometriche in vivace dialogo tra loro. Si inseguono e sorreggono a vicenda. Queste composizioni sono tutte caratterizzate da un irresistibile senso di dinamismo. Ma tale attitudine al movimento non è quella propria di un naturale afflato vitalista. Tutt'altro. Più simili a misteriosi labirinti, tali strutture forgiate nella linea e nel colore rappresentano inequivocabilmente un atto mentale, la manifestazione di un intelletto all'opera, l'invenzione di una idea. E' questo il terreno su cui intende misurarsi l'arte di Domenico Pellicanò. Dipingere il pensiero, e addirittura il suo confine, come eloquentemente l'artista ha intitolato uno dei suoi disegni, è una sfida che dunque porta non solo ad abbandonare qualsiasi riproduzione del reale: è possibile ed anzi a questo punto necessario rinunciare anche alla rappresentazione che del reale può dare la nostra mente, per avventurarsi nel puro e incontaminato regno delle Idee. Un'impresa - e opere - di rigore e di bellezza matematiche. Ecco il percorso che ha condotto Pellicanò all'astrattismo.
Il confine del pensiero
Pellicanò e l'astrattismo: il “folle volo” oltre l'umano
"Risveglio primordiale", "Armonia del suono", "Il riscatto del penitente", "Sogno esoterico". Sono questi alcuni dei nomi che l'artista ha voluto dare alle proprie creazioni astrattiste. Siamo nel Regno dell'Idea e del pensiero, lo abbiamo detto. La realtà non è bandita. Ma allo stesso l'attenzione non è rivolta alla materia, alla fisicità, alle necessità ed alle contingenze di ciò che è transeunte e si consuma ad ogni attimo. E sembra di cogliere l'indizio di una suggestione, legata alle più profonde motivazioni che animano l'arte di Pellicanò. Come noto, attraverso decenni di indagine l'artista ha sempre messo al centro del proprio universo espressivo l'Uomo. Ogni sua opera, un tentativo di aggiungere un nuovo elemento di conoscenza della natura umana, della sua intima essenza, del suo apparentemente insondabile destino. Un esistenzialismo illuminato e denso di citazioni, complice la consapevole e profonda passione di Pellicanò per il potere della narrazione.
Spesso l'artista ha attinto dal mito greco, ma nel tempo ha saputo individuare e valorizzare archetipi altrettanto potenti in altre mitologie. L'Antico Testamento, ma anche - ad esempio - il mondo del circo. Protagonisti personaggi tragici e comici, umili e divini, che con le loro azioni, le loro storie, drammi e dolori, la loro semplice presenza sono in grado attraverso l'abile reintepretazione di Pellicanò di divenire vivida testimonianza del vivere umano. Il nuovo Umanesimo di Pellicanò, pienamente proiettato nella contemporaneità per via dell'assoluta attualità delle sue scelte espressive, ha sempre riservato alla figura umana il cruciale ruolo di intermediaria verso la dimensione dell'assoluto. Ma i più attenti osservatori della sua arte avevano notato una significativa evoluzione nel recente ciclo delle "Invenzioni". Nel quale l'affresco di storie e personaggi allestito dall'artista aveva conosciuto una ulteriore sublimazione. Le figure umane protagoniste delle opere sembravano sul punto di abbandonare ogni connotazione fisica per trasformarsi in pura energia e dinamismo. E' possibile dunque oggi ipotizzare che dietro a tale scelta fosse al lavoro la spinta suggerita proprio dagli esiti dei lavori astratti che - lontani dai riflettori - già stavano maturando nello studio di Domenico Pellicanò.
Sogno esoterico
Ma si può andare addirittura oltre. Se nel ciclo delle "Invenzioni" l'artista pone le basi per un superamento della figura umana, nelle sue opere astratte pare alludere tout-court alla possibilità di un superamento dell'Umano. Possiamo interrogare il nostro destino guardando dritto davanti a noi, alla scintilla divina ed all'abisso del nulla, senza un Virgilio, una guida che ci conduca? Può il rito compiersi senza sacerdoti o vestali? Tale è sempre stata la funzione dei soggetti protagonisti dei racconti di Pellicanò. "Né dolcezza di figlio, né la pieta/ del vecchio padre, né ’l debito amore/ lo qual dovea Penelopé far lieta,/ vincer potero dentro a me l’ardore/ ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto/ e de li vizi umani e del valore". Così Ulisse a Dante. Attraverso le sue opere astratte, l'artista pare volere in qualche modo prendere le misure per tale "folle volo", per l'attraversamento di colonne d'Ercole oltre le quali si staglia la promessa di un mondo nuovo, inesplorato e gravido di portenti. Conoscenza e stupore, motori che per taluni spiriti costituiscono il fondamento stesso dell'esistenza e ne forgiano il destino.