Milano

Banlieu a Milano: la polveriera delle periferie e l'esempio (in negativo) di Parigi

di Mauro Indelicato

Per il sociologo Pippo Russo quanto sta avvenendo al Corvetto di Milano ricalca fenomeni già visti a Parigi dal 2005. La città ora sarà in grado di evitare di commettere gli stessi sbagli? L'intervista

Banlieu a Milano: la polveriera delle periferie e l'esempio (in negativo) di Parigi

I disordini al Corvetto aprono uno squarcio sulle profonde inquietudini nel tessuto sociale e politico milanese. L'apprensione è per uno spettro che aleggia. Ovvero la prospettiva che  la città considerata come la più europea d'Italia abbia fatto propri anche tutti gli aspetti più negativi delle metropoli del Vecchio Continente. Milano cioè, adesso potrebbe conoscere da vicino quei disordini e quelle violenze viste negli ultimi due decenni nelle periferie europee. E fare da teatro agli stessi scenari osservati nelle banlieu parigine oppure nei ghetti di Londra e di Stoccolma.

Milano come Parigi?

Del resto, gli scontri del Corvetto hanno avuto un'origine molto simile a quella che ha dato il via ai disordini parigini del 2005, i primi in grado di svelare a livello internazionale le profonde problematiche delle periferie transalpine. In quel caso, a generare le violenze è stata la morte di due ragazzi in fuga da un controllo della polizia e rifugiatisi imprudentemente all'interno di una cabina elettrica.

A Milano, tutto ha avuto origine da un inseguimento delle forze dell'ordine terminato con un incidente e la morte di Ramy Elgaml. Quest'ultimo, esattamente come i due ragazzi morti 19 anni fa in una banlieu parigina, era di origine nordafricana. E il punto è proprio questo: ci si chiede da più parti se, a questo punto, la questione legata all'integrazione (mancata) di parte dei migranti giunti negli ultimi anni possa portare alla stessa situazione esplosiva vissuta altrove, soprattutto in Francia.

“La dinamica è molto simile – conferma ad Affaritaliani.it  Pippo Russo, ricercatore di Sociologia dell'Ambiente e del Territorio presso l'Università di Firenze - Semplicemente qui in Italia questo fenomeno sta arrivando con ritardo rispetto alla Francia o ad altri Paesi europei, ma il contesto è quello”. Il ritardo è dato, in primo luogo, dall'eredità storica: “La Francia – ha spiegato Russo – ha ereditato una forte ondata migratoria già negli anni passati dai Paesi un tempo ricadenti all'interno del proprio impero coloniale”.

Al contrario, l'Italia non ha avuto una forte tradizione coloniale, specialmente dopo la seconda guerra mondiale, e dunque soltanto adesso si stanno osservando quei fenomeni presenti già da tempo altrove: “Noi abbiamo avuto un'immigrazione più legata alla globalizzazione”, ha infatti voluto sottolineare il sociologo.

Una tensione sociale latente

La morte di Elgaml ha rappresentato la goccia in grado di far traboccare il fatidico vaso. Da tempo i quartieri del capoluogo lombardo sono letteralmente seduti su un'autentica polveriera sociale: “Poteva accadere un anno fa oppure fra qualche mese, ma prima o poi sarebbe successo – ha proseguito Russo – In certe zone c'è una tensione sociale latente da diverso tempo”. Il perché è dato soprattutto dalla marginalizzazione della popolazione più povera e vulnerabile: “Un tempo queste sacche di marginalità riguardavano soprattutto quei quartieri che ospitavano gli emigrati arrivati a Milano e nel nord Italia dal sud – fa notare il sociologo – Adesso questo fenomeno riguarda chi arriva dai Paesi nordafricani e, più in generale, dall'estero e non è riuscito a integrarsi”. La mancata integrazione porta con sé in dote tensioni e incomprensioni ed è proprio in questo contesto che, di fatto, si innescano quelle micce sociali in grado di generare violenza.

“La repressione? Non è l'unica arma”

L'Italia però potrebbe avere un potenziale vantaggio. Aver infatti assistito con ritardo ai fenomeni già visti nelle altre periferie europee, vuol dire conoscere già oggi le più estreme conseguenze di un'integrazione rimasta ferma al palo. Dunque, il nostro Paese potrebbe avere gli strumenti per intervenire in tempo e prevenire le più nefaste criticità: “Ma la repressione – specifica Russo – non è l'unica arma. Sì, punire chi si rende complice di atti di vandalismo è un passo, non può essere l'unico”. Serve, secondo il sociologo, il dialogo. Occorre cioè fare in modo che i vari attori impegnati sul campo, dai singoli cittadini alle associazioni e agli enti, si parlino: “Il problema è legato alla sicurezza, ma è anche di ordine sociale e culturale”, ha proseguito Russo.

Il problema delle periferie italiane

C'è poi un altro elemento da considerare: l'Italia ha da sempre avuto problemi con le sue periferie, non soltanto da quando la marginalizzazione riguarda i migranti. Basti pensare ai casi passati di assalti e vandalismi successivi a blitz della polizia o delle forze dell'ordine in quartieri dove, al sud come al nord, la criminalità organizzata ha storiche radici. “Questo conferma ancora di più – ha concluso Russo – che esiste, in primo luogo, un problema di marginalizzazione delle periferie e non solo economica”. Le città del Belpaese cioè hanno sempre convissuto con zone franche e quartieri ghetto. A questi problemi, oggi si aggiungono anche quelli più legati a una mancata integrazione.

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