Milano

Benedetto: "Gli equilibri geopolitici ed economici mondiali sono cambiati"

di Carlo Traggia di Baio

Il professore della LIUC di Castellanza: "Servono realismo e nuove relazioni internazionali"

Benedetto: "Gli equilibri geopolitici ed economici mondiali sono cambiati"

Intervistiamo il professore Gianfranco Benedetto, docente di relazioni internazionali e analisi storico politiche alla Libera Università Cattaneo di Castellanza (LIUC), analista in importanti istituti europei ed USA, consulente strategico e geopolitico di diverse sia pubbliche che private, presidente del comitato scientifico culturale della associazione internazionale Aristocrazia Europea, persona molto riservata e schiva, amante del mare del Golfo del Tigullio e delle passeggiate in montagna.

Questa epidemia avrà riflessi sulla guida del sistema internazionale?  Si parla già di nuova geopolitica del Covid.

Il XXI secolo, nei suoi due  primi  decenni, trova ancora in posizione primaria gli Stati Uniti ma con un diverso competitor,  la Cina che, in poco più di venticinque anni, si è trasformata da paese essenzialmente agricolo in seconda potenza mondiale attraverso un inedito mix di comunismo-capitalismo, e una  economia dirigista  guidata in modo ferreo dagli eredi politici di Mao Tse Tung.

L’aspirazione di Pechino è divenire il nuovo leader del sistema internazionale, il nuovo dominus, sostituendosi agli Stati Uniti. La gravità dell’attuale  infezione virale sta avendo non soltanto pesanti ripercussioni sul sistema produttivo della Cina che, realisticamente, con il suo essere  una locomotiva saprà fronteggiare e recuperare in breve tempo,  ma potrebbe indurre  un profondo ripensamento da parte di tanti investitori esteri nel continuare i loro rapporti economici con Pechino.

Negli imprenditori esteri segni di malessere vi sono  da tempo  dovuti  sia alla non particolare qualità dei prodotti cinesi, sia alla distanza  dai grandi mercati europei e americani che richiede lunghi tempi di trasporto e di attesa. Produzioni che, talvolta, hanno dovuto arrestarsi perché dalla Cina non arrivava un componente.  Questo disagio è stato  tenuto  sotto traccia o accettato con un certo disagio per il basso costo del lavoro esistente nel paese asiatico ma ora l’epidemia  può rappresentare la tradizionale goccia che fa traboccare il vaso, obbligando a ripensare la dipendenza dalla Cina. Un esempio è rappresentato  da non pochi gli imprenditori tessili italiani che da tempo hanno riportato nel nostro paese le loro  attività in passato  trasferite in Cina.

Si vedrà nelle prossime settimane se la pandemia dilagherà  nei paesi africani dove le condizioni di vita e le strutture sanitarie sono precarie. In caso affermativo  il gigante asiatico ne avrebbe notevoli ripercussioni dovuti ai  grandi investimenti per lo sfruttamento di materie prime in  paesi quali la Nigeria, il Sud Africa, la Repubblica democratica del Congo, lo Zambia, l’Angola. Intensi  gli scambi commerciali creati  con Etiopia, Kenya, Uganda, Gibuti, essenzialmente per l’elevato  numero di potenziali consumatori. Numerosi i grandi progetti infrastrutturali finanziati da Pechino che hanno visto la migrazione di oltre duecentomila lavoratori cinesi in Algeria, Angola, Nigeria, Zambia, Etiopia.

Per divenire paese guida del sistema internazionale non sono sufficienti le disponibilità economiche. Occorre anche l’accettazione della maggior parte degli stati. Infatti, il leader non si  autonomina, semmai sono gli altri che gli riconoscono qualità e capacità  superiori.

L’epidemia cosa ci ha insegnato? Cosa è emerso nei reali rapporti tra gli Stati?

Nei settantacinque anni dal termine del secondo conflitto non si era mai verificato un evento capace di incidere così profondamente sulle società e  sulle  istituzioni politiche ed economiche istituite durante questo periodo.  Le  devastazioni belliche  spinsero le classi dirigenti di allora a voler creare organizzazioni che rappresentassero un nuovo collante tra i popoli, una dimostrazione tangibile della volontà di incamminarsi su un percorso di solidarietà, di vicinanza, di comunanza.  Quanto accaduto nell’ultima decade di febbraio 2020 e la prima settimana di marzo ha, invece, mostrato quali siano i veri rapporti tra i governi, cosa vi è realmente dietro le strette di mano, i sorrisi, le pacche sulle spalle che i leader si scambiano e ai quali cercano di dare molto rilievo.   

Non vi sono state consultazioni o coordinamenti immediati  tra i governi, e qui mi riferisco soprattutto all’ Unione Europea che, per i suoi trattati fondanti e i legami che dovrebbero esistere tra i suoi membri  avrebbe dovuto mostrare ben altra solidarietà al suo interno.   Il nostro  è stato il primo paese europeo ad avere avuto  un consistente focolaio e per primi  è stato deciso l’adozione dei  provvedimenti del caso.  Alcune testate giornalistiche estere hanno deriso quanto accadeva in Italia, tradizionalmente considerata uno dei  “parenti poveri” dell’Europa, credendo che l’infezione sarebbe rimasta un problema essenzialmente nostrano.  Anche qualche governo,  con modi ovviamente più garbati, si è accodato a  quanto scritto dai quotidiani, con ciò mostrando il reale sentire verso il parente povero, nonostante le tradizionali pacche sulle spalle e le strette di mano.

Conferma, quindi, la convinzione che i rapporti tra gli Stati abbiano una buona dose di ipocrisia.  

Negli ultimi giorni  di febbraio 2020 l’UE ha iniziato a discutere del diffondersi dell’infezione soltanto perché il ministro della Salute italiano ha sollecitato e ottenuto un incontro con i suoi omologhi europei. Ancora una volta, strette di mano ma, in sostanza, l’UE si è mossa con grande lentezza, in ordine sparso, e ciascun governo ha essenzialmente prestato attenzione agli eventi epidemiologici del proprio paese.  Ogni stato dell’UE  ha sperato che il contagio rimanesse fuori dai propri confini, un problema prima cinese e poi italiano. Il “parente povero” ha iniziato a riguadagnare  stima quando il contagio ha iniziato a dilagare ponendo  tutti i  paesi sul medesimo piano di difficoltà i quali, a quel punto, hanno deciso  l’applicazione dei medesimi  provvedimenti di igiene pubblica disposti da Roma.

La pandemia ha rappresentato the profound feeling che poggia  sulla  tradizionale ipocrisia,  regina indiscussa dei rapporti tra le nazioni.

Quindi, come si sono mossi i governi?

Con superficialità sottovalutando i quotidiani spostamenti attraverso i continenti di decine di migliaia di persone, soprattutto quelle provenienti dalla Cina, permettendo l’ingresso di questi ultimi nei paesi europei sulla scorta della sola rilevazione della temperatura corporea dimostratasi una verifica del tutto insufficiente.

Vienna, in modo autonomo, è stato il primo paese, in ordine di tempo, a istituire rigidi controlli alla frontiera con l’Italia, non informando Roma ma dandone semplice notizia all’ambasciatore italiano nella capitale austriaca. Intorno alla metà di marzo la Germania ha di sua sponte  adottato analoga decisione  alle proprie frontiere con la Francia, la Svizzera, l’Austria. Improvvisamente la regolamentazione di Schengen si è vaporizzata. Non è forse vero che i trattati bilaterali e multilaterali sono visti ormai come vincoli irritanti, pastoie fastidiose da osservare finché conviene? Il collasso delle regole mostra il decadimento dell’ordine e costituisce un pericolo reale per la stabilità dei rapporti tra le nazioni che sono sempre più precari per le incessanti polemiche.

Un breve commento sulle istituzioni monetarie?

Anche le istituzioni monetarie europee hanno mostrato il vero volto.  Il 27 febbraio la presidente della BCE Lagarde, con molta superficialità,  solennemente dichiarava  che l’epidemia non avrebbe richiesto alcun provvedimento della Banca Centrale Europea. Il  12 marzo, dinanzi all’allarmante diffondersi dei contagi,  era invece costretta a fare marcia indietro cambiando versione ma commettendo un secondo errore affermando “Non siamo qui per chiudere lo spread. Nessuno dovrebbe attendersi che sia la Bce in prima linea  nella risposta al coronavirus”. Notizia che generava  uno spaventoso tonfo nelle borse, con risparmiatori e investitori preoccupati da queste ferali dichiarazioni che hanno determinato un diluvio di ordini di vendita. Le forti proteste di alcuni governi e  le pesanti ripercussioni finanziarie nelle borse europee hanno successivamente indotto altri leader, più assennati, come la Presidente della Commissione, a rassicurare i mercati.

Riesce a dare una breve analisi sugli USA?

Il presidente Trump è in piena campagna elettorale. Difficile che saranno rinviate  le elezioni a novembre, anche se ad oggi nessuno può sapere quale sarà la condizione epidemiologica tra diversi mesi. Il presidente americano, mentre in Italia iniziava a manifestarsi in tutta la sua gravità il diffondersi epidemico affermava, con grande certezza, che gli Usa non avevano nulla da temere. L’America sarebbe rimasta immune dal contagio e, comunque, è il paese in cui lavorano i migliori scienziati che avrebbero trovato rapidamente la terapia nel caso il virus vi fosse giunto. Parole poco profetiche considerando che gli Sati Uniti sono divenuti il paese con il numero di ammalati e di deceduti in assoluto più elevato al mondo.

La grave crisi sanitaria ed economica creata dalla pandemia preoccupa molto il presidente Trump. Il grave stato in cui si trova il paese, i ritardi con cui sono state decisi i primi provvedimenti sanitari, i milioni di disoccupati, i contrasti con i governatori degli Stati, potrebbero influire sulle decisioni elettorali. La contromossa politica è incanalare la rabbia degli americani verso la Cina e il suo colpevole silenzio. D’altro canto Trump sa che il candidato democratico Joe Biden è debole, non può disporre dei mass media di un presidente in carica e inoltre Trump, a differenza del più garbato Biden,  ha un  eloquio diretto, rude, efficace per l’americano medio.

Qual è la sua opinione sull’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità?

L’OMS, che nella pandemia avrebbe dovuto avere un ruolo direttivo ha, invece, scelto una posizione più defilata. Avrebbe potuto, forse con un direttore generale e dei dirigenti più decisionisti,  sollecitare i governi ed essere  organismo di raccordo per una azione congiunta. Una situazione sanitaria di dimensioni globali e di tale gravità avrebbe dovuto indurre  una sua più incisiva presenza o, almeno, tentare,  invece di limitarsi a burocratiche regole e agli aspetti tecnico-sanitari. Le capacità di azione di questa organizzazione andrebbero  riviste considerando che il Covid-19  potrebbe non essere la sola pandemia che potrà presentarsi. I dubbi su una  sua auspicata maggiore incisività sono forti in quanto molti stati  non vogliono interferenze nelle proprie decisioni interne per cui bisognerebbe rivedere le regole dell’operatività dell’OMS. Ad esempio,  non è  potuta intervenire sulle compagnie aeree che continuando a trasportare infetti da un luogo all’altro della terra hanno enormemente facilitato la diffusione dell’infezione virale. Solo quando sono stati i passeggeri a ridurre i loro viaggi o vi sono state precise  disposizioni governative è stato finalmente  decisa la riduzione o la soppressione dei voli.

Sembrerà una domanda retorica ma quali sono le sue percezioni per il futuro?

Dobbiamo essere realisti, capire che dovremo opportunamente modificare modelli produttivi e modelli sociali nell’accezione più ampia,  per convivere nel migliore dei modi con questa infezione. Occorrerà determinazione e sacrificio per un certo periodo. Anche perché l’epidemia, come ci dicono i virologi,  non dovrebbe avere vita lunghissima. I virus, solitamente,  mutano la loro struttura molecolare divenendo meno aggressivi.  E questo dovrà darci fiducia per andare avanti.

Il professore Benedetto fa il modesto, ma fra i pochi privilegiati che hanno il suo numero di telefono privato vi sono diplomatici, militari e politici che lo chiamano per avere consigli e contatti internazionali.







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