Milano
Blocco stipendi, Corte dei conti Lombardia solleva la questione di legittimità
Il militare aveva contestato il mancato computo a fini pensionistici degli aumenti stipendiali che sarebbero dovuti maturare durante tale periodo
Blocco stipendi, Corte dei conti Lombardia solleva la questione di legittimità
In accoglimento del ricorso promosso a giugno 2018 dallo Studio Legale Saccucci & Partners, la Corte dei conti della Lombardia ha sollevato la questione di legittimità costituzionale delle norme sul blocco degli adeguamenti retributivi 2011-2015, nella parte i cui non si prevede la valorizzazione ai fini pensionistici delle classi e degli scatti retributivi.
Profilo critico della normativa, infatti, è la manifesta violazione del divieto di discriminazione ex art. 3 Cost., nella parte in cui la misura contestata provoca effetti deteriori esclusivamente in relazione ai soggetti collocati in quiescenza durante il blocco retributivo o prima del 1° gennaio 2018.
Blocco stipendi, Corte dei conti: 'Dubbi di legittimità costituzionale'
Con sentenza del 21 settembre 2018, la Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti per la Regione Calabria ha integralmente accolto la domanda di ricalcolo della pensione presentata dallo Studio S&P nell'interesse di un Colonnello della Guardia di Finanza. Secondo l'avvocato Saccucci sono stati “evitati danni ingiusti e permanenti grazie ad un’applicazione costituzionalmente orientata delle norme”. Il militare - cessato il servizio nel periodo del blocco degli incrementi retributivi nel pubblico impiego (2011-2015) – aveva contestato il mancato computo a fini pensionistici degli aumenti stipendiali che sarebbero dovuti maturare durante tale periodo.
Decise le argomentazioni avanzate dall'avvocato Saccucci e dall'avvocato Magnano di S&P che hanno fatto sì che la Corte dei Conti calabrese ritenesse che un effetto “cristallizzante” della sospensione degli aumenti stipendiali sul trattamento previdenziale – proprio come quello subito dal ricorrente – configurerebbe una protrazione ad infinitum del blocco retributivo e, pertanto, una manifesta violazione dei principi enunciati dalla Corte costituzionale in particolare nelle sentenze n. 304/2013, n. 310/2013 e n. 154/2014 con specifico riferimento alla legittimità costituzionale di tale blocco.
Il giudice contabile ha, quindi, ritenuto necessaria e praticabile un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n. 78/2010 tale da scongiurare il prodursi di un sacrificio permanente (non più costituzionalmente giustificabile) ai danni della categoria di soggetti in questione.
La base pensionabile degli ufficiali delle forze armate e dei corpi militarizzati - per effetto del blocco degli aumenti retributivi nel pubblico impiego sancito dall'art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n. 78/2010 per gli anni 2011-2014 (poi prorogato sino al 31 dicembre 2015) - è stata calcolata senza considerare l’intero servizio effettivamente prestato ma secondo la posizione professionale “cristallizzata” al momento immediatamente precedente al blocco. Dunque, per quel periodo, nessun adeguamento retributivo, con conseguenti irreversibili effetti negativi sulle posizioni soggettive degli ufficiali in congedo. Lo Studio S&P ha promosso numerosi giudizi nell'interesse di ufficiali della Guardia di Finanza, dell’Esercito e dell’Aeronautica Militare dinanzi alle sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti competenti per territorio, per lamentare l’irragionevole attribuzione di un trattamento pensionistico che, erroneamente, non tiene conto degli incrementi stipendiali e delle progressioni di carriera maturati durante il blocco retributivo.
Come è noto, la Corte Costituzionale ha già avuto modo di precisare che – al ricorrere di particolari condizioni di crisi finanziaria – il legislatore può adottare interventi che incidono sul trattamento economico dei pubblici dipendenti; tuttavia, ciò solo a condizione che i sacrifici imposti abbiano carattere eccezionale, non arbitrario e temporalmente limitato. La misura imposta ai danni dei ricorrenti, al contrario, si pone in aperto contrasto con tali principi: infatti, se è vero che le disposizioni contestate hanno comportato un sacrificio temporaneo sul trattamento retributivo spettante agli stessi, è altrettanto vero che – al contrario – gli effetti sul trattamento pensionistico risultano, di fatto, permanenti, ingiusti e, pertanto, costituzionalmente illegittimi.
Ulteriore profilo critico della normativa, anch'esso oggetto di ricorso, è la manifesta violazione del divieto di discriminazione ex art. 3 Cost., nella parte in cui la misura contestata provoca effetti deteriori esclusivamente in relazione ai soggetti collocati in quiescenza durante il blocco retributivo e per quelli cessati dal servizio dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2017 (per effetto del d.lgs. n. 94/2017), mentre nessun effetto produce sui soggetti cessati dal servizio a partire dal 1° gennaio 2018.