Milano

Bonini (Cgil): Smart working si o no? Serve un nuovo modello di sviluppo

Secondo il segretario della Cgil, Massimo Bonini, il modello di sviluppo milanese va ripensato perché ha basi fragili

Bonini (Cgil): Smart working si o no? Serve un nuovo modello di sviluppo

(IMPRESE-LAVORO.COM) - Milano – Sulla validità o meno dello smart working, oltre all’intervento del sindaco di Milano Beppe Sala, va registrata la presa di posizione sui social del segretario della Cgil Massimo Bonini. “Il tema non è smart working si o no ma il tema è quale modello di sviluppo vogliamo, crediamo e pensiamo se guardiamo a Milano dopo la pandemia”, chiarisce Bonini. “Come va ripensata la città e l’area metropolitana? Noi siamo certi che il modello vada ripensato e riformato. Anche se pieno di successi il modello di sviluppo milanese, l’abbiamo sempre detto, si alimentava su basi fragili. Condizioni di reddito e di lavoro troppo diseguali, differenze centro-periferia troppo ampie, la vetrina e il retro bottega, inquinamento, costo vita e casa insostenibili. Solo alcuni esempi. Siamo stati i primi a parlare di Milano a 2 velocità. E’ qui che bisogna agire per ridurre le distanze e le differenze di condizione di vita. Anche se non fosse arrivato il Covid. Se guardiamo al futuro semplicemente tentando di riempire bar e ristoranti commettiamo un errore. È un pensiero che ha il fiato corto. Per due ragioni: Primo, la pandemia ha dimostrato che basta un niente per distruggere quanto costruito dal dopo Expo in poi. Abbiamo bisogno di creare modelli che si difendano meglio da quanto ancora potrebbe accadere in futuro. Servono modelli di sviluppo con basi solide. Non buttiamo via nulla ma investiamo anche in altro con più convinzione. Secondo, in questi anni si è chiesto a tutti di cambiare/innovare. Lo sforzo deve riguardare tutti davvero (non solo per i lavoratori) e credo che chiunque oggi, ad ogni latitudine dell’economia o del sociale, debba ripensare i propri modelli. Usciamo dalla retorica? Quali imprese, in questi anni, sono state davvero capaci di innovare, ripensare i modelli e assumere? Poche. Lo ammettono anche le associazioni datoriali e autorevoli università. Allora tutti devono essere coinvolti nei processi di cambiamento e innovazione, non solo alcuni. Per farlo serve investire in formazione e politiche attive per accompagnare e orientare i lavoratori nel mercato del lavoro. Politiche vere, serie, concrete. E qui Milano può fare la sua parte per tracciare la strada al Paese. Si parla da troppo tempo e ancora non abbiamo fatto niente. Proprio le innovazioni, intense come capacità di cambiamento, possono aiutare. Certo che se le aziende pensano di avere soldi per rimanere uguali a prima faremo poca strada. Rimango fermamente convinto che siano le innovazioni pensate per tempo a creare occupazione e non quelle che arrivano per gestire emergenze (crisi economiche o pandemie che siano). In questi mesi abbiamo visto giovani imprenditori ripensare anche i modelli della ristorazione. Hanno ripensato il loro modello di business prima del virus e non per il virus. Questi sono i processi da sostenere e non chi pretende soldi per fare tutto esattamente come prima. Allora serve progettare. Progettare insieme i nuovi modelli con la partecipazione di lavoratrici e lavoratori, parti sociali e istituzioni. Insieme. Davvero insieme, cercando la strada senza semplificazioni e scorciatoie con la pretesa sempre di qualcuno che indica la via e tutti poi si devono accodare. Insieme vuole dire discutere più volte e anche litigare ma per raggiungere gli obiettivi che vogliamo condividere serve fatica. Non sempre velocità. Servono confronti. E allora per ridurre le disuguaglianze, migliorare la qualità dell’aria e della vita di Milano, per fare innovazione creando occupazione di qualità e non precaria, per creare nuovi modelli di sviluppo sostenibile occorre parlarsi, litigare e trovare la strada, sempre insieme. Che ci piaccia o no. Come sempre siamo disponibili a faremo la nostra parte”, conclude il segretario della Camera del Lavoro.

 

 
 
 






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