Milano

Bonometti: "Colpire la Lombardia significa colpire l'industria italiana"

di Paola Bulbarelli

Intervista al presidente di Confindustria Lombardia Marco Bonometti: le intimidazioni il Covid, la crisi del fatturato, la nuova ideologia anti-imprenditoriale

Bonometti: "Colpire la Lombardia significa colpire l'industria italiana"

L’amicizia con Sergio Marchionne non l’ha mai sbandierata come se fosse una medaglia da applicare sulla giacca. Marco Bonometti, deux ex machina della Omr, Officine Meccaniche Rezzatesi, amministratore delegato della Omr Holding spa (componenti e assiemi meccanici automotive) e anche presidente di Confindustria Lombardia, tiene ben stretti i rapporti personali ma non ha remore quando deve mettersi l’elmetto per tutelare la categoria che rappresenta, quella degli industriali. La sua vita è l’azienda e tutte le persone che ci lavorano. Fa parte del suo dna, di quello straordinaria eredità umana che gli hanno lasciato i suoi genitori, Carlo Bonometti e Silvana Tirini, due rocce che hanno gettato le basi di quel che è oggi l’azienda di Rezzato, nata cento anni fa dai fratelli Francesco e Battista Tirini decisi a  fondare la loro impresa. Da allora è passato un mondo e essere imprenditore oggi, non è certo uno dei mestieri più semplici.

Ci spiega il suo lavoro?

“Prima di tutto fare l’imprenditore non è mai stato facile. Ci sono alti e bassi determinati da più fattori ma in questo momento la difficoltà è stata accelerata dalla pandemia che non ha fatto altro che evidenziare le difficoltà e i limiti che ci sono sempre stati a fare questo mestiere in Italia”.

E’ quindi più difficile farlo nel nostro Paese?

“Senza dubbio. Perchè viviamo in un paese che non ha messo al centro il fare impresa, accentuando l’ostilità con il macigno della burocrazia che non ti permette di portare avanti il tuo mestiere.  

Negli altri paesi iniziare una attività è una cosa molto semplice, da noi ancora prima di iniziare trovi dei freni e delle complicazioni. L’Italia, paese di trasformazione perché non ha le materie prime, ha però la grande peculiarità di sapere bene come lavorare i metalli o prodotti altamente tecnologici perché comunque l’inventiva, il design, la creatività italiana si contraddistingue in tutto il mondo. Ma non si creano le condizioni normali, non dico ottimali, per fare e qualsiasi attività diventa sempre più difficile. E aggiungo un altro elemento molto importante. Nel dopoguerra c’era l’entusiasmo, la voglia di costruire, la fiducia in quello che si faceva. Oggi l’altro elemento deterrente è la mancanza di fiducia e di prospettive del nostro paese non solo nel contesto europeo ma internazionale. Il nostro paese ha poca credibilità sia per il Paese che siamo guardando alle  istituzioni, alla burocrazia, alla non certezza del diritto. Un giorno si dice una cosa e il giorno dopo si cambia, sono tutti elementi che sono un freno per chi vuole intraprendere una attività”.

Le promesse di sburocratizzazione sono alla base di ogni campagna elettorale ma poi mai nulla avviene. Che consigli si sente di dare perché qualcosa si smuova?

“Abbiamo fatto delle proposte concrete negli ultimi anni passando proprio dalla semplificazione e facendo un’analisi delle procedure e delle possibilità di sburocratizzare. Solo a produrre le documentazioni  per ottenere le autorizzazioni nei vari comparti in Italia ci vogliono anni e poi magari non le ricevi mai. Se qui non si cambiano le regole del gioco non si va avanti. Sono anni che  certe riforme vanno fatte. Ma qualsiasi governo che si ritroverà a governare sarà impotente. Dall’altra parte questa cultura anti impresa serpeggia tra la maggior parte della classe politica che è alla ricerca di voti popolari, quelli che portano consenso e probabilmente l’impresa non aiuta a questo. Sono state fatte scelte sbagliate e come imprenditori abbiamo già detto da tempo che devono essere prese delle misure a sostegno dell’impresa. Con questo non chiediamo soldi a pioggia o dei favoritismi. Vogliamo essere messi in condizioni di poter competere a livello internazionale alla pari dei nostri concorrenti. Il costo dell’energia è, a esempio, fra i più elevati in Europa e per quanto riguarda il costo del lavoro abbiamo i costi più alti e gli stipendi più bassi. Non esiste un paese dove non si sviluppa il mercato interno. Noi sosteniamo che per farlo bisogna aumentare il potere d’acquisto che significa passare dal cuneo fiscale. Non bisogna fare migliaia di iniziative. Facciamone poche e intelligenti”.

Ad esempio?

“Abbiamo detto che vanno incentivati i prodotti a interesse nazionale. Se andiamo a dare incentivi sulle macchine elettriche vuol dire che andiamo a incentivare i produttori stranieri perché purtroppo noi non siamo ancora pronti. Nonostante tutte le iniziative che abbiamo proposto, questi ultimi governi non hanno recepito l’importanza dell’impresa. Anche oggi continuano a chiacchierare e, di fatto, all’impresa non hanno dato niente. Il progetto di rilancio del governo vede la parte preponderante delle risorse in sostegno degli investimenti delle opere delle società pubbliche, poi le famiglie e l’impresa non esiste. Non è mai stato fatto un progetto sulle politiche industriali in Italia a parte l’industria 4.0 di cui adesso si riempiono tutti la bocca ma di fatto non c’è un contenuto, una proposta concreta. Abbiamo chiesto di avere certezza nella durata di certe leggi e provvedimenti, purtroppo quello che stiamo verificando è che le cose continuano a precipitare. Non possiamo andare avanti avanti a tenere la cassa integrazione così come è concepita oggi”.

Nell’immaginario collettivo la figura dell’imprenditore è ancora quella del vecchio padrone e quindi guardata con molto scettiscismo.

“Lo dicevano anche i papi che l’industriale è l’uomo mandato dalla provvidenza. Oggi la figura dell’industriale è quella di una persona coraggiosa che ha avuto intuizione, talento e ha saputo creare le condizioni per poter far crescere la propria azienda e i propri territori. Oggi vogliamo far capire all’opinione pubblica l’importanza dell’azienda perché è dimostrato che senza l’impresa i territori non crescono, le comunità non si sviluppano, non si fanno le famiglie, non si fanno i figli. Proprio perchè l’azienda è portatrice di benessere e crea la ricchezza per poi essere suddivisa. L’imprenditore non è una figura astratta, è una persona che ha un volto, un nome e dietro di sé ha altri volti, altre persone. Oggi le imprese sono come grandi famiglie e quindi bisogna sfatare quella figura frutto di una ideologia dove contrapponeva il capitalismo al lavoro ed è un rischio che oggi stiamo correndo ancora. Sta tornando questo concetto ideologico. Non so da chi può essere spinto o sostenuto però è chiaro che nei momenti di difficoltà, di crisi e di disagio sociale nascono queste forme di protesta, vengono cavalcate per creare destabilizzazione a favore di qualcuno”.

E arriviamo quindi alle azioni di minacce arrivate a lei, al presidente Confindustria di Bergamo Stefano Scaglia e ora anche a Giuseppe Pasini, presidente Confindustria di Brescia. Perché questo clima di odio intorno agli industriali?

“Avevo ricevuto una missiva con una pallottola e altre missive rivendicate dal gruppo proletario lombardo e dalla colonna brigatista Walter Alasia. Ormai è sotto gli occhi di tutti che questa cultura anti impresa è diffusa in larga parte del nostro paese”.

C’è una certa concentrazione in Lombardia, però.

“Si è manifestato in Lombardia perchè questa è stata la Regione più colpita dalla pandemia. E’ quella dove si è creato più sconforto, più destabilizzazione dovuta a questo evento straordinario che purtroppo ha colpito pesantemente. C’è stata una certa contrarietà al fatto che la Lombardia nonostante fosse stata così colpita non ha abbassato la guardia e ha cercato subito di reagire a questa situazione critica. La Lombardia è il motore dell’economia italiana, e non dimentichiamoci che il 30% del pil è fatto in Lombardia così come il 40% delle esportazioni. Colpire la Lombardia voleva dire  colpire l’industria italiana. Attenzione però, perché il clima di disprezzo che si è creato verso l’impresa e verso gli industriali non aiuta di certo a risolvere i problemi che l’economia e la società stanno vivendo. Quando noi evidenziavamo questa situazione sono stati certi componenti della società che hanno criticato, non vorrei che la diffusione di queste critiche e di questo odio abbia portato a gesti inconsiderati. Comunque nonostante queste situazioni gli imprenditori hanno resistito e stanno reagendo in maniera positiva. Purtroppo dobbiamo notare che c’è un elemento fondamentale come la fiducia a venire meno. Dobbiamo far sì che anche gli ultimi coraggiosi e definirei anche temerari, oggi non perdano questa fiducia e la speranza di ripartire e recuperare il terreno perso”.

Pensa che alcuni industriali vogliano mollare?

“No, non manca né la forza né il coraggio d’andare avanti. Già nel 2019 eravamo entrati in una fase di recessione anche dovuta alle scelte sbagliate o non fatte dalla politica. La pandemia ha dato un colpo fortissimo. E ci troviamo di fronte al fatto che le aziende non riescono da sole a superare questa situazione. O meglio la maggior parte delle aziende si trova in grosse difficoltà  sia per mancanza di liquidità ma soprattutto di lavoro. Dovremmo tutti cercare di trovare una comunità d’intenti mettendo al centro il lavoro che vuol dire occupazione, creazione di ricchezza e rimetter nelle condizioni le nostre aziende di esser competitive e andare a conquistare quote di mercato sui mercati internazionali”.

Qual è la situazione attuale, numeri alla mano?

“I primi sei mesi dell’anno abbiamo registrato una perdita di produzione del 20%, un calo dei fatturati del 22% ma quello che è più importante è il crollo dell’export che è sempre stata la punta di orgoglio e la soluzione ai problemi dell’industria visto il mercato interno così asfittico, diciamo che il fatto che l’export sia calato del 10% generalmente su tutto il territorio vuol dire che le nostre aziende non sono più competitive e non riescono più a prendere gli ordini sui mercati. Oltre al fatto importante della credibilità perchè non sempre ci siamo mossi in maniera coerente vivendo momenti di indecisione sulle scelte dell’azienda, creando nei confronti dei nostri interlocutori dubbi sull’affidabilità delle nostre imprese. Oggi si sta lavorando molto anche su questo fronte. Il governo dovrà cercare di recuperare la credibilità all’estero per quanto riguarda l’industria italiana”.

Tra quanto si potrà rialzare la testa?

“Questa situazione che è eccezionale, non prevede di recuperare nel breve termine. Ci vorranno almeno uno due anni. Noi potremo cercare di creare di nuovo crescita nel 2022, ora non ci sono i presupposti. Per questo sollecitiamo iniziative e provvedimenti concreti e urgenti che mettano l’impresa al primo posto velocemente perché il tempo gioca una partita importante in questi momenti”.

Omr è una azienda a carattere famigliare da sempre, sono 100 anni che è nelle mani della famiglia Tirini prima e Bonometti poi. Pensa che sia un valore aggiunto?

“Le aziende carattere famigliare, e tutte quelle che si possono considerare delle grandi famiglie, fanno la differenza. Vedono nell’azienda la possibilità di creare un futuro per le persone che ci lavorano, per i figli, per lo sviluppo dei territorio. Per questo vanno salvaguardate perchè hanno dimostrato nelle difficoltà di reagire meglio delle multinazionali dove venivano solo prese in considerazione scelte economiche senza preoccuparsi delle eventuali conseguenze sia per i collaboratori che per i territori. Per questo sosteniamo che un profitto è essenziale per le imprese perché se aziende creano profitto possono sostenere lo stato sociale e aiutare le varie iniziative culturali, sportive, sociali. Se non c’è profitto non c’è ricchezza da distribuire.

Dobbiamo sfatare che l’imprenditore è attaccato al denaro che è uno strumento e non deve essere il fine. Tanto è vero che in questa fase critica abbiamo toccato con mano la generosità e la disponibilità che le imprese e gli imprenditori hanno avuto verso il bene comune che era quello di darsi una mano, di aiutare quelli che erano più in difficoltà ma soprattutto di creare le condizioni per poter assistere quelli colpiti dal Coronavirus”.

Ha mai pensato di quotarsi in Borsa?

“E’ nel nostro futuro ma dovrà essere tutto rivisto perché sono cambiate le condizioni dopo questa esperienza del Covid. Son cambiati il mondo, i riferimenti, il modo di produrre, l’approccio finanziario e quello con i mercati. Il progetto della quotazione significa mettere nelle condizioni l’azienda di crescere, svilupparsi e garantire una continuità nel tempo al di là delle persone”.

Lei è sempre stato un imprenditore libero, essere quotati in Borsa non limita la sua libertà?

“No, perché ormai le aziende che riescono a rimanere sul mercato si sono date una organizzazione tale per cui sono trasparenti e il comunicare quello che l’azienda fa è diventato un fattore di successo positivo perché è uno strumento di coinvolgimento di tutti gli stakeholders, di tutti gli attori economici interessati all’impresa”.








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