Milano

Campo largo, Pizzul (Pd): "Coinvolgere anche Renzi e Calenda"

di Nicolò Rubeis

L'ex capogruppo dem in Lombardia Fabio Pizzul: "Il Pd non può essere autosufficiente. Ma aggregare non significa essere gregari"

Campo largo, Pizzul (Pd): "Coinvolgere anche Renzi e Calenda"

"Le elezioni in Sardegna confermano che il Pd non può essere autosufficiente. Ma aggregare non vuol dire essere gregari" secondo Fabio Pizzul, ex capogruppo dem in Regione Lombardia. "Dobbiamo avere la capacità di fare alleanze, senza legarsi mani e piedi al M5s" commenta in un'intervista ad Affaritaliani.it Milano. In un eventuale campo largo "bisogna fare di tutto per coinvolgere anche Renzi e Calenda" per Pizzul, convinto che oggi il Pd guidato da Elly Schlein sia ancora un partito che dà spazio alle varie sensibilità: "L'area riformista e cattolica si sente a casa. Rispetto alle spigolosità iniziali, tutti quanti hanno la possibilità di dire la propria".

Pizzul, quindi uniti come in Sardegna si vince?

La consapevolezza che il Pd non possa fare corse solitarie mi sembra consolidata. Lo schema utilizzato in Sardegna, sterilizzato dagli scenari romani per volontà della candidata Alessandra Todde, è una strada che bisogna seguire. Questo non vuol dire diventare un'ipoteca e legarsi mani e piedi al M5s. Non ci si può mettere nell'ottica di dire che loro sono necessari e che quindi devono dettare l'agenda.

Si ritorna al Pd partito trainante della coalizione?

Più che trainante, dobbiamo essere il partito che favorisce la costruzione di una proposta ampia che deve partire dai temi che nei singoli territori risultano essere più convincenti. Poi sarà determinante la scelta dei candidati giusti: il profilo della Todde era competente e legato al territorio. Non servono alleanze fatte a tavolino. E ricordiamoci che, comunque, la vittoria in Sardegna è stata strettissima. Bisogna essere contenti e soddisfatti ma da qui ad arrivare a una regola fissa da applicare ovunque c'è una bella differenza.

Con il M5s, però, c'è anche competizione...

Ci stiamo avvicinando a una scadenza elettorale col proporzionale e chiaramente nei prossimi tre mesi sarà accentuata senza dubbio la parte identitaria di ogni partito. L'augurio è che questa dialettica porti a un dialogo inevitabile e non ad avvelenare i pozzi.

Con Calenda e Renzi le alleanze sono ancora possibili?

Credo che bisogna fare di tutto per coinvolgerli. Poi se uno si prende la responsabilità di mettere veti significa che diventa tutto più complicato. Se si ragiona sui temi, e non su anatemi reciproci, è una strada che si deve percorrere. Immaginare di essere competitivi a livello nazionale rintanandosi in una posizione di sinistra-centro è una cosa complicata.

L'area riformista e cattolica è rappresentata nel Pd di oggi?

Si sente sicuramente a casa. Poi ci sono delle vicende territoriali, alcune diventate clamorose dal punto di vista della gestione di alcuni passaggi, come quanto successo in Veneto sul fine vita. Però credo che, dopo una levata di scudi iniziale, anche lì si sia arrivati a un dialogo che garantisce tutte le posizioni all'interno di un partito che è nato come plurale e deve rimanere tale. Non si è ancora arrivati alla formula perfetta, ma bisogna riuscire a capire come fare per tornare a essere il partito di maggioranza relativa.

Lei è ancora in campo per le Europee?

Ci sono tante disponibilità che nascono dai territori e questo è positivo. Io confermo la mia disponibilità a candidarmi, mi sto muovendo in quell'ottica ma non posso dirmi candidato finché non ci sono le liste. Penso di poter offrire al Pd una possibilità di parlare a dei mondi che negli ultimi tempi non sono stati entusiasti dalla fase che ha attraversato il partito o che non si sono sentiti rappresentati. Ancora non sono stati stabiliti criteri a livello centrale. Serve capire come costruire delle liste che tengano insieme le varie rappresentanze.








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