Milano

Cappi (CN Arredamento Design): "Aprirsi all'innovazione per stare al passo con i tempi"

Silvio Cappi, ad di CN Arredamento Design, sul presente e sul futuro di un settore che costituisce un'eccellenza brianzola ed italiana. Ma che non può fermarsi. L'intervista

Cappi (CN Arredamento Design): "Aprirsi all'innovazione per stare al passo con i tempi"

"Oggi per sopravvivere devi fare marketing e networking, essere proattivo sui social, ma soprattutto devi essere capace di aprirti all’innovazione". Silvio Cappi, amministratore delegato di CN Arredamento Design, azienda di arredamento e fornitura di interni a 360 gradi, racconta il momento di un settore, quello dell'arredo, che in Brianza vanta 2mila aziende ed un fatturato complessivo da 3,4 miliardi di euro. Un'eccellenza a livello mondiale ma che lotta per proiettarsi nel futuro e mantenere la propria rilevanza. "A chi dice che il settore dell’arredo è in crisi rispondo che ci sarà sempre bisogno di porte, di mobili e di armadi. Dobbiamo solo trovare il modo di essere al passo coi tempi e di convincere che le nostre soluzioni sono migliori di altre". L'intervista

Silvio Cappi, da 25 anni lei dirige la CN Arredamento Design, azienda di successo con sede nel Comasco. È una delle tante realtà annoverate in un recente report, che certifica come la Brianza sia ancora leader nel settore dell’arredo con un fatturato da 3,4 miliardi e oltre 2mila aziende. Qual è il segreto di questo successo?


 
L’origine va cercata tra il ‘700 e l’800, quando il ducato spagnolo cede la Lombardia al regno austro-ungarico: viene dato nuovo impulso allo sviluppo delle imprese artigianali, e in particolare dei setifici e delle falegnamerie, contando anche sull’abbondanza di legno e sui tanti alberi in perenne ricrescita dopo cicli di vita che si aggirano attorno ai 50 anni. In Brianza nascono così molti piccoli artigiani: nel’900 aprono le prime botteghe, che dal dopoguerra in poi diventano imprese, dando vita a un vero e proprio distretto.  A partire dagli anni ’60, con la nascita del design e del Made In Italy, arriva la consacrazione definitiva del settore che nel 1980 si traduce nella nascita di una galassia di grandi brand, ancora oggi leader nell’arredo, e in molte imprese più piccole ma caratterizzate da un approccio sartoriale: il “su misura”.

Il report che le ho citato prima individua nel ricambio generazionale e nella crescita degli adempimenti burocratici le principali difficoltà a cui il settore va incontro. Ce ne sono altre? Pensiamo alla crescente competizione sui mercati di tutto il mondo e ai problemi logistici dovuti agli scenari internazionali.

Partiamo da un dato. Le 2mila aziende di oggi possono sembrare tante, ma dobbiamo considerare che fino a 10-15 anni fa le imprese di arredo e design in Brianza erano più di 70mila. Sono sopravvissute solo le grandi multinazionali, parliamo di circa 20 grandi brand, e tantissime aziende piccole e molto piccole che hanno saputo adattarsi al mercato. Ad esempio, la nostra azienda è sopravvissuta grazie a una proposta capace di coniugare elevata personalizzazione, alta qualità e risposte adeguate alle nuove richieste: tra le tante mi viene in mente la realizzazione di postazioni di gioco per il gaming, sempre più gettonate.  Ma la difficoltà principale, soprattutto per le aziende più piccole, resta la stessa: farsi conoscere, avere un sito internet che funziona e rispondere alle richieste di una clientela sempre più esigente in termini di qualità, costi e tempistiche che sono difficili da garantire, anche per effetto delle crisi internazionali: molte delle materie prime che utilizziamo vengono da Russia e Ucraina.  Poi c’è l’incapacità di fare sistema..

In che senso?

Noi brianzoli non abbiamo la cultura della collaborazione e dell’aprirci verso l’esterno. Guardiamo troppo il nostro ombelico e non vediamo come il mondo cambia e si trasforma. Oggi per sopravvivere devi fare marketing e networking, essere proattivo sui social, ma soprattutto devi essere capace di aprirti all’innovazione. Su questo c’è un limite difficilmente recuperabile: in Brianza la stragrande maggioranza delle imprese del nostro settore è familiare e questo si ripercuote negativamente nella gestione e nella capacità di intercettare nuove tendenze. Mancano figure professionali in grado di innovare come accade in Veneto, dove la gestione aziendale è manageriale.  Va poi segnalata la mancanza di associazioni che sappiano difendere gli interessi della categoria e portare le nostre imprese all’estero. Aggiungerei anche che il sistema pubblico e quello delle camere di commercio oggi non funziona adeguatamente.

Ci racconta la sua storia e quella della sua azienda e di come siete riusciti a vincere queste difficoltà?

Ho ereditato la passione per questo mestiere da mio padre, che all’inizio degli anni’80 aveva rilevato un’antica falegnameria artigianale e ne aveva fatto l’azienda di famiglia. Avevo 7 anni quando mi aggiravo negli spazi espositivi della ditta, accendendo la stufa per i clienti che venivano in visita. Nel tempo ho avuto la fortuna di dialogare con i brand più importanti del settore, per i quali lavoravamo conto terzi: un’esperienza che mi è servita tantissimo, non solo per imparare il mestiere, ma anche per conoscerne le dinamiche e le difficoltà.  Così, quando alla fine degli anni ’90 mio padre ha lasciato l’azienda a me e ai miei fratelli, siamo andati avanti cambiando l’approccio e il modello operativo verso commesse dirette, eliminando in questo modo almeno 5 o 6 passaggi che connotano la catena del conto terzi, dall’ordine alla consegna finale. Una modalità troppo onerosa, sia per i costi che per la perdita di controllo sulla qualità del prodotto finito.

Con quanti dipendenti è iniziata la vostra avventura? E quanti ne avete oggi?

Siamo partiti in quattro, siamo arrivati ad avere 25 dipendenti, e ora siamo in 5, con le mie figlie che sono entrate in azienda.  Un ridimensionamento che non è frutto di una crisi, ma di un ripensamento della struttura del nostro business: ho invitato le persone che lavoravano per noi alle varie fasi di produzione e realizzazione a mettersi in proprio, e oggi sono nostri fornitori. Così facendo, possiamo dedicarci meno al prodotto e più al servizio.  Partendo da un presupposto: anni fa l’arredamento su misura era considerato un lusso e uno status symbol per pochi. Oggi è diventato un’esigenza diffusa e la nostra forza sta nella capacità di offrire un livello di personalizzazione pressoché totale: potremmo dire che “vestiamo gli spazi” a seconda di come sono, valorizzandone ogni centimetro.

Dalla Brianza a Hollywood.. Quali sono i requisiti che servono per conquistare il mercato dell’extra-lusso?

Servono qualità di prodotto, esperienza, trasversalità e capacità di problem solving. I progetti complessi, soprattutto se realizzati all’estero, rischiano di complicarsi molto a causa della dilatazione di tempi e di costi, dovuti alla logistica, agli imprevisti e ai cambi in corsa tipici dei lavori su misura.  L’ultimo progetto che abbiamo seguito è stato un teatro da 80 posti in una casa privata a Belgrado in Serbia. Abbiamo avuto commesse per ville e attici sia in East Coast che in West Coast e anche alle Barbados, dove abbiamo lavorato a una villa da 28 stanze commissionata dal proprietario di Ryanair.  

Come vede il futuro del suo settore? È un ancora un settore attrattivo per i giovani?

Ci stiamo allontanando dalla figura del falegname e da una concezione oramai datata del nostro lavoro per avvicinarci a figure più aperte al networking e alle nuove tecnologie, capaci, faccio un esempio, di utilizzare visori 3D che permettono letteralmente di “entrare” in una casa o di visitare un ambiente, in un’esperienza virtuale e totalmente immersiva. Un cambiamento che ha positivamente contaminato anche noi: dieci anni fa la nostra azienda era focalizzata quasi esclusivamente sulla parte produttiva, poi ci siamo resi conto che senza innovazione di prodotto e di processo non si cresce. E soprattutto non si attraggono i giovani.  A chi dice che il settore dell’arredo è in crisi rispondo che ci sarà sempre bisogno di porte, di mobili e di armadi. Dobbiamo solo trovare il modo di essere al passo coi tempi e di convincere che le nostre soluzioni sono migliori di altre.

Cosa si potrebbe fare di più per sostenere le imprese del vostro settore?

Una prima cosa da fare in concreto sarebbe la riduzione dell’IVA sugli elementi di arredo. Se la casa è un bene primario, dovrebbe esserlo anche l’acquisto dei mobili di cui una famiglia necessita. Questo darebbe senza dubbio un impulso importante alle aziende e al territorio.  Quanto alla promozione, servirebbe una maggiore valorizzazione delle specificità del territorio e dei distretti locali come il nostro: quando i grandi brand italiani fanno pubblicità all’estero non mostrano il grande stabilimento o la grande città, ma l’artigiano che lavora nel piccolo paesino di provincia. L’Italia non è mai stata un Paese di grandi aziende e di territori sterminati, ma ha da sempre nei piccoli artigiani un grande valore che rischiamo di perdere.  Chiudo con una provocazione: invece di dare 500 milioni di euro alle grandi aziende automobilistiche per produrre all’estero forse sarebbe meglio dare 5mila euro a 100mila piccole aziende ad esempio del nostro settore per creare un sito internet con cui promuoversi e far conoscere le proprie realizzazioni.

Si può leggere la pagina biografica di Silvio Cappi a QUESTO LINK
 







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