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Caso camici, Bongiovanni: da fedelissimo ad accusatore di Fontana
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Caso camici, Bongiovanni: da fedelissimo ad accusatore di Fontana

Il "Caso camici" che vede coinvolti il presidente lombardo, Attilio Fontana, e il cognato, Andrea Dini, continua a far parlare di sè. Questa volta è Dagospia a tornare sull'argomento con un articolo che, riprendendo un pezzo di Monica Serra per La Stampa, fa riferimento all'informativa finale del Nucleo speciale di poliza valutaria della Gdf e sottolinea come il governatore Attilio Fontana fosse a conoscenza dei rapporti negoziali tra Dama, (azienda del cognato Andrea Dini e della moglie Roberta) "ancor prima della formalizzazione della fornitura dei 75 mila camici, il 16 aprile 2020. E non solo il 12 maggio successivo come dal presidente sostenuto", si legge sul magazine online.

L'informativa del Nucleo speciale di polizia valutaria della Gdf ha ripercorso indagini, interrogatori e testimonianze che hanno portato i pm a chiudere l'inchiesta per frode nelle pubbliche forniture. Secondo quanto emerge, in particolare dalle dichiarazioni dell'assessore Raffaele Cattaneo sentito sui fatti, è emerso che: «Intorno a metà aprile ho detto a Fontana che c'era anche Dama tra i soggetti che avevano le carte in regola per diventare fornitore. Ho avuto la percezione che il presidente non fosse entusiasta ma che ritenesse fondate le mie considerazioni in ordine all'interesse pubblico. Fontana non ha detto né di andare avanti né di bloccarci».

Ma ad attirare l'attenzione dei pm non è tanto l'acquisto dei camici da Dama quanto il fatto che per tutelare la sua immagine politica, Fontana avrebbe chiesto al cognato di trasformare la fornitura in donazione. Ed è qui che si inseriscono le dichiarazioni rese durante l'interrogatorio dell'ex dg di Aria, Fabrizio Bongiovanni, il 24 maggio, che fatto allargare le indagagini anche su Pier Attilio Superti, vicesegretario generale della Regione. Bongiovanni ha detto, secondo quanto riportato da Dagospia: «Io ho ricevuto la volontà del Presidente da Superti. Non era negoziabile perché avrebbe rappresentato una clamorosa rottura con la persona del Presidente». Bongiovanni ha spiegato dunque di aver accettato perché «sono un dipendente regionale. Mi è stato rappresentato in maniera diretta che questa era la volontà del Presidente su un tema che gli stava a cuore. Io ero in distacco presso Aria ma venivo pagato da Regione Lombardia ed ero stato nominato da Regione Lombardia».

Nell'informativa si fa riferimento anche alle chat e i messaggi tra la moglie de presidente lombardo, Roberta Dini (non indagata) e un'impiegata della Regione. In un messaggio del 27 marzo, la Dini scrive: «Tanto guarda poi verrà fuori un altro casino su ste forniture» e interrogata sul significato della frase, l'impiegata ai pm ha riferito di averlo «interpretato» nel senso che «qualsiasi cosa si facesse in Regione sarebbe nato uno scandalo mediatico».

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