Milano

Caso Diasorin, Il Tar dà torto alla Regione: la sentenza completa

Test sierologici, il Tar ha accolto il ricorso della Technogenetics, concorrente della DiaSorin che ha stipulato il contratto con Regione e San Matteo

Caso Diasorin, Il Tar dà torto alla Regione: la sentenza completa

Con la sentenza 1006/2020 il Tar della Lombardia ha accolto il ricorso proposto dalla Technogenetics, la concorrente della casa farmaceutica DiaSorin che aveva stipulato un contratto con il San Matteo di Pavia e la Regione per la creazione di test sierologici certificati. La sentenza e' stata resa nota stamattina. Il Tar nel merito ha annullato gli atti amministrativi formati dalla Fondazione San Matteo di Pavia ed il conseguente contratto stipulato con la DiaSorin.

ECCO QUI SOTTO IL TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 748 del 2020, proposto da 
Technogenetics S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Abiosi, Ludovico Bruno, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano, via Passione, 6 e con domicilio pec come in atti; 
contro
Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giorgio Fraccastoro, Alice Volino, Claudio Tuveri, Eleonora Franco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 
nei confronti
Diasorin S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonella Borsero, Carlo Merani, Aldo Travi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 
per l’annullamento
previa sospensione
- della Determina del Direttore Generale n° 5/D.G./0277 del 23 marzo 2020, pubblicata il successivo 25 marzo, con la quale è stata accettata “…la proposta di collaborazione avanzata dalla “Diasorin S.p.A.” per la valutazione di test sierologici e molecolari per la diagnosi di infezione da SARS-Cov-2 a cura del Laboratorio di Virologia Molecolare, sotto la Responsabilità Scientifica del prof. Fausto Baldanti (Responsabile della U.O.S. Virologia Molecolare)”;
- di ogni altro atto, ancorché sconosciuto, presupposto, consequenziale o comunque connesso;
nonché 
per la declaratoria di inefficacia del contratto stipulato;
 
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo e di Diasorin S.p.A.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 maggio 2020 il cons. Fabrizio Fornataro;
Trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5, del d.l. n. 18/2020;
Ritenuta la sussistenza dei presupposti per la definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata, in esito alla trattazione della domanda cautelare, ex art. 60 cod. proc. amm.;
 
1) Technogenetics s.r.l. impugna la determinazione del Direttore generale della Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo, n° 5/D.G./0277, datata 23 marzo 2020 e pubblicata il successivo 25 marzo, con la quale è stata accettata “...la proposta di collaborazione avanzata dalla Diasorin S.p.A. per la valutazione di test sierologici e molecolari per la diagnosi di infezione da SARS-Cov-2 a cura del Laboratorio di Virologia Molecolare, sotto la Responsabilità Scientifica del prof. Fausto Baldanti (Responsabile della U.O.S. Virologia Molecolare)”.
La ricorrente chiede contestualmente la dichiarazione di inefficacia del contratto stipulato tra la Fondazione e Diasorin spa.
2) Preliminarmente, devono essere esaminate le eccezioni di rito sollevate dalla parte resistente e dalla parte controinteressata.
2.1) In primo luogo, si deduce l’inammissibilità dell’impugnazione per carenza di interesse. 
Si sostiene che gli atti impugnati non arrecherebbero alcuna lesione alla ricorrente, che, nonostante la convenzione stipulata da Diasorin, potrebbe a sua volta proporre un accordo di collaborazione scientifica alla Fondazione, di contenuto sovrapponibile a quello prospettato da Diasorin, ossia teso alla valutazione clinica dei propri prodotti, quand’anche si trattasse di prodotti di analoga natura.
Sotto altro profilo, si considera che i contatti presi da Technogenetics s.r.l. con la Fondazione non hanno avuto ad oggetto la stipulazione di un accordo di collaborazione scientifica, ma l’offerta di un prodotto già asseritamente sottoposto aliunde ad una procedura di validazione scientifica e già divenuto commercializzabile a seguito di marcatura CE, sicché la ricorrente non avrebbe interesse a contestare gli atti gravati.
Le eccezioni sono infondate.
Come è noto, le condizioni dell’azione devono essere valutate in astratto, ossia indipendentemente dalla fondatezza o infondatezza del ricorso.
L’azione esperita dalla ricorrente muove da un presupposto di fatto del tutto diverso da quello considerato dalle resistenti nelle eccezioni in esame.
Technogenetics s.r.l. esclude che il contratto stipulato da Diasorin con la Fondazione sia riconducibile ad un accordo di collaborazione scientifica e lo qualifica come un contratto a prestazioni corrispettive, con il quale la Fondazione, a fronte del pagamento di un compenso variamente articolato, ha messo a disposizione di un operatore economico la propria capacità tecnica e scientifica, al fine di giungere all’elaborazione di nuovi test molecolari e sierologici per la diagnosi di infezione da Sars-Cov-2, sulla base di un mero prototipo presentato da Diasorin spa.
La diversa qualificazione ha immediate conseguenze - evidenziate con specifici motivi di impugnazione - sul piano delle modalità di individuazione, ad opera della struttura pubblica, della controparte privata, individuazione che, nella prospettazione della ricorrente, deve avvenire sulla base di un’effettiva apertura al mercato, ossia mediante una procedura svolta nel rispetto della trasparenza e del confronto competitivo tra gli operatori interessati, ossia dei principi interni ed eurounitari in materia di evidenza pubblica.
Al di là della fondatezza o meno dell’azione esperita, la ricorrente prospetta la lesione del suo interesse, quale operatore del settore, al rispetto dei principi dell’evidenza pubblica, che governano la messa a disposizione della capacità tecnica e scientifica della Fondazione, ossia di un bene dotato di valore economico, che – sempre in base alla prospettazione della ricorrente - deve essere assegnato secondo criteri di trasparenza, pubblicità e non discriminazione.
Allo stesso modo, si lamenta che l’operato della Fondazione abbia generato un indebito vantaggio competitivo a favore di Diasorin, con conseguente alterazione della concorrenza nel mercato ove operano tanto la ricorrente, quanto la controinteressata.
Secondo consolidata giurisprudenza, l’impresa del settore, che intende contestare un affidamento diretto o senza gara, è dotata di legittimazione ed interesse ad agire, perché è portatrice di una situazione giuridica soggettiva meritevole di tutela e lesa dall’affidamento senza gara.
Resta fermo che l’operatore non deve dimostrare l’esistenza di una posizione giuridica differenziata rispetto all’oggetto dell’invocata gara pubblica, ma deve comprovare la propria condizione di “operatore economico dello specifico settore”, che fonda il suo interesse a contestare in sede giurisdizionale detto affidamento diretto.
Insomma, se di regola nel contenzioso in materia di gara pubblica la legittimazione al ricorso è correlata ad una situazione differenziata conseguente alla partecipazione alla stessa, nondimeno tale regola subisce deroghe nei casi in cui un operatore economico di settore contesti un affidamento diretto e tale più ampia legittimazione, riguardante la contestazione degli affidamenti diretti, trova fondamento e giustificazione nel giudizio di assoluto disvalore del diritto comunitario nei confronti di atti contrastanti con il principio della concorrenza (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, Ad. Pl., n. 4/2011; Consiglio di Stato, sez. III, n. 3324/2013).
Nel caso di specie la società ricorrente ha documentato di operare nel settore della produzione e della commercializzazione di reagenti, nonché dell’applicazione di tecnologie biomediche in campo diagnostico e terapeutico, oltre che della produzione e commercializzazione di apparecchiature medicali e di prodotti ottenuti mediante tecniche di ingegneria genetica.
Tanto basta per evidenziare che si tratta di un imprenditore del settore, sicché ha interesse a contestare il ritenuto affidamento diretto delle utilità coinvolte nell’accordo tra Diasorin spa e la Fondazione; resta fermo, comunque, che la qualificazione della società ricorrente come operatore del settore non è neppure contestata. 
Per contro, resta irrilevante la circostanza che Technogenetics s.r.l., nel contattare la Fondazione, non abbia proposto un accordo di collaborazione scientifica, ma abbia offerto prodotti già definiti nella loro consistenza, poiché ciò non intacca il suo interesse e la sua legittimazione ad impugnare in qualità di operatore del settore.
Va, pertanto, ribadita l’infondatezza delle eccezioni in esame.
2.2) Con altra eccezione, la parte resistente e quella controinteressata deducono l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, in ragione “dell’ormai intervenuta acquisizione della marcatura CE dei kit oggetto dell’accordo”. 
Inoltre, si evidenzia che l’accordo “è sostanzialmente volto al termine, atteso che, allo stato, è già stata predisposta e sottoscritta, in data 15.4.2020 (quindi anche in data antecedente la proposizione dell’appello cautelare), la Relazione finale di cui all’art. 4 del medesimo Accordo che attesta l’attività eseguita ed i relativi risultati conseguiti, di tal ché le attività di valutazione clinica in esso disciplinate possono dirsi ormai definitivamente esaurite”.
L’eccezione è infondata.
Sia o non sia stata acquisita la marcatura CE – fermo restando che l’ultimazione delle attività di valutazione clinica non equivale al conseguimento della marcatura stessa – si osserva che l’interesse della ricorrente, quale operatore di settore, non è centrato sull’impedire il conseguimento della marcatura CE, quanto sulla lesione subita per effetto dell’assegnazione diretta di utilità alla controinteressata da parte dell’amministrazione resistente; interesse che permane indipendentemente dal conseguimento della marcatura.
Del resto, l’accordo di cui si tratta non è ad esecuzione immediata, ma prevede prestazioni che si protraggono nel tempo, sicché l’eventuale conseguimento della marcatura CE integra un dato neutro rispetto all’interesse fatto valere dalla ricorrente.
Ne deriva l’infondatezza dell’eccezione in esame. 
3) La ricorrente articola più censure, con le quali lamenta: a) la violazione della disciplina interna ed eurounitaria in materia di affidamento dei contratti pubblici, per non essere stata indetta e svolta una procedura ad evidenza pubblica, in violazione dei canoni di trasparenza, parità di trattamento e divieto di discriminazione; b) l’alterazione della concorrenza, in quanto Diasorin ha conseguito un particolare, specifico ed indebito vantaggio rispetto agli altri operatori, derivante dalla collaborazione offerta, dietro corrispettivo, dalla Struttura pubblica in vista dell’elaborazione di prodotti da immettere sul mercato; c) la violazione della disciplina in tema di aiuti di Stato, in quanto la struttura pubblica avrebbe illecitamente messo a disposizione di Diasorin delle utilità di valore economico.
3.1) La valutazione delle doglianze presuppone l’inquadramento giuridico della fattispecie concreta, tema sul quale le posizioni delle parti sono nettamente contrapposte.
Tanto la Fondazione, quanto Diasorin spa, inquadrano la convenzione tra gli accordi di collaborazione scientifica previsti dall’art. 8, comma 5, del d.l.vo 16 ottobre 2003, n. 288; in particolare, su proposta di Diasorin, il San Matteo avrebbe stipulato un accordo quadro di collaborazione scientifica per la semplice valutazione di test sierologici e molecolari per la diagnosi di infezione da SARS-Cov 2.
Per contro, la ricorrente esclude che la convenzione sia sussumibile nella fattispecie normativa appena richiamata.
Il d.l.vo 16 ottobre 2003, n. 288, attua il “Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell’articolo 42, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3”.
L’art. 8 del d.l.vo cit. regola le “funzioni di ricerca e di assistenza” degli enti di cui si tratta, precisando, al comma 1, che l’attività di ricerca delle Fondazioni e degli Istituti non trasformati è prevalentemente clinica e traslazionale e si distingue in corrente e finalizzata. 
In particolare (comma 2), è ricerca corrente l’attività di ricerca scientifica diretta a sviluppare la conoscenza nell’ambito della biomedicina e della sanità pubblica, mentre è ricerca finalizzata quella attuata attraverso specifici progetti e diretta al raggiungimento dei particolari e prioritari obiettivi, biomedici e sanitari, individuati dal Piano sanitario nazionale.
Si precisa (comma 3) che le Istituzioni suindicate programmano l’attività di ricerca in coerenza con il programma di ricerca sanitaria di cui all’art. 12 bis del d.l.vo 30 dicembre 1992, n. 502 e con gli atti di programmazione regionale in materia, privilegiando i progetti eseguibili in rete e quelli sui quali possono aggregarsi più enti, anche al fine di evitare duplicazioni di attività e dispersione dei finanziamenti.
Ai fini indicati, le Fondazioni IRCCS e gli Istituti attuano (comma 4) “misure idonee di collegamento e sinergia con altre strutture di ricerca e di assistenza sanitaria, pubbliche e private, con le Università, con istituti di riabilitazione e con analoghe strutture a decrescente intensità di cura, avvalendosi, in particolare, delle reti di cui all’articolo 43 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, all’interno delle quali attuare comuni progetti di ricerca, praticare comuni protocolli di assistenza, operare la circolazione delle conoscenze e del personale con l’obiettivo di garantire al paziente le migliori condizioni assistenziali e le terapie più avanzate, nonché le ricerche pertinenti”.
Il comma 5 precisa, testualmente, che “al fine di trasferire i risultati della ricerca in ambito industriale e salvaguardando comunque la finalità pubblica della ricerca, le istituzioni e gli enti disciplinate dal presente decreto legislativo possono stipulare accordi e convenzioni, costituire e/o partecipare a consorzi, società di persone o di capitali, con soggetti pubblici e privati di cui sia accertata la qualificazione e l’idoneità. In nessun caso eventuali perdite dei consorzi e delle società partecipate possono essere poste a carico della gestione degli enti. I predetti rapporti devono disciplinare: a) le modalità di distribuzione dei profitti connessi alla eventuale brevettazione dei risultati ed al loro sfruttamento, vincolandone in ogni caso la destinazione al finanziamento delle attività istituzionali; b) adeguate regole di trasparenza dei flussi finanziari, con obblighi di rendicontazione; c) obiettivi e tempi certi per il loro raggiungimento; d) idonee modalità di informazione, verifica e controllo dell’andamento del programma da parte degli organi di indirizzo e degli organi di gestione”.
I successivi commi 6 e 7 precisano, da un lato, che nell’ambito dei progetti di ricerca predisposti nelle forme suindicate, gli enti possono sperimentare nuove modalità di collaborazione con ricercatori medici e non medici, anche attraverso la contitolarità di quote o azioni negli enti e società menzionati al comma 5, dall’altro che le Fondazioni e gli Istituti svolgono attività di alta formazione nell’ambito delle discipline e delle attività di riferimento. 
L’art. 8, letto nella sua integralità, è centrato sulle attività di ricerca e di assistenza che integrano le funzioni proprie delle Fondazioni Irccs e degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico.
La norma prevede forme di collaborazione tra gli enti indicati ed altre strutture di ricerca e di assistenza sanitaria, pubbliche e private, comprese le Università, gli istituti di riabilitazione e analoghe strutture a decrescente intensità di cura.
La ricerca scientifica svolta da Fondazioni Ircss e Istituti non trasformati deve essere coerente con gli obiettivi fissati dal piano sanitario nazionale e con il programma di ricerca sanitaria di cui all’art. 12 bis del d.l.vo 30 dicembre 1992, n. 502, perché resta ferma la finalizzazione della ricerca stessa all’obiettivo “di garantire al paziente le migliori condizioni assistenziali e le terapie più avanzate”.
In tale contesto, si inserisce la previsione del comma 5, che introduce la possibilità per le Fondazioni Irccs e gli Istituti di stipulare accordi anche con soggetti privati “al fine di trasferire i risultati della ricerca in ambito industriale”.
Il legislatore è consapevole del fatto che la ricerca svolta dagli Istituti Irccs sfocia in risultati che possono essere industrializzati e, a tale fine, ha previsto la possibilità di dare vita a forme di collaborazione anche con soggetti privati, finalizzate all’industrializzazione dei risultati della ricerca svolta dagli Istituti stessi.
La norma richiede che, nei casi indicati, vengano disciplinati anche i profili economici dell’accordo, in quanto il risultato della ricerca può essere brevettabile e ciò ha immediati risvolti economici e finanziari.
Sul punto la disposizione non detta una disciplina minuziosa e dettagliata, lasciando spazio alla regolamentazione convenzionale, seppure con alcuni limiti, quali, da un lato, la trasparenza dei flussi finanziari e la rendicontazione, dall’altro, il vincolo a destinare i proventi economici al finanziamento delle attività istituzionali delle Fondazioni Irccs.
Ne deriva che l’ambito proprio degli accordi di collaborazione scientifica, di cui al comma 5 dell’art. 8 cit., è quello dell’industrializzazione dei risultati della ricerca svolta dalle Fondazioni Irccs e dagli Istituti; ricerca che può essere effettuata in via esclusiva da tali Enti, ovvero in collaborazione con altri soggetti, come strutture di ricerca e di assistenza sanitaria, pubbliche e private, università, istituti di riabilitazione.
Vale precisare sin d’ora che la norma in esame disciplina la possibilità di dare corso al processo di industrializzazione dei risultati della ricerca mediante appositi accordi, intervenendo, seppure con disposizioni che lasciano spazio all’autonomia negoziale delle parti, sul contenuto degli accordi stessi, senza nulla dire in ordine alle modalità di individuazione della controparte contrattuale.
Ciò non toglie che anche gli accordi in questione, che integrano veri e propri contratti con uno specifico contenuto economico e patrimoniale e con obbligazioni a carico di entrambe le parti, sono, in linea di principio, soggetti al rispetto dei principi interni ed eurounitari in materia di contratti pubblici.
Sotto altro profilo, va osservato che le Fondazioni e gli Istituti possono stipulare anche accordi di altro tipo, per il perseguimento, in senso ampio, delle finalità istituzionali, ma simili convenzioni non afferiscono alla previsione dell’art. 8, comma 5, cit..
Tale possibilità è prevista dallo stesso d.l.vo n. 288/2003, che ex art. 9, disciplina le “attività strumentali” di tali Enti, stabilendo che “le Fondazioni IRCCS e gli Istituti non trasformati possono esercitare attività diverse da quelle istituzionali, purché compatibili con le finalità di cui all’articolo 1, per le quali possono stipulare accordi e convenzioni, costituire e/o partecipare a consorzi e società di persone o di capitali con soggetti pubblici e privati, scelti nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria. I proventi derivati dalle attività di cui al presente articolo devono essere destinati in misura prevalente alla attività di ricerca e di qualificazione del personale. In nessun caso eventuali perdite dei predetti soggetti possono essere poste a carico della gestione delle Fondazioni IRCCS e degli Istituti non trasformati”. 
3.2) Si tratta ora di verificare quale sia il contenuto dell’accordo quadro stipulato tra Diasorin spa e la Fondazione Irccs San Matteo, al fine di verificarne, da un lato, la riconducibilità o meno all’art. 8, comma 5, del d.l.vo n. 288/2003, dall’altro, il regime giuridico, compresa la coerenza con i principi che, in materia di contratti pubblici, disciplinano la scelta del contraente.
L’art. 1 individua l’oggetto dell’accordo - punto 1.1 - in una “collaborazione scientifica tra le Parti volta alla valutazione di test sierologici e molecolari per la diagnosi da infezione da SARS-Cov-2 da successivamente sviluppare e produrre rispettivamente da parte di Diasorin e da parte di Diasorin Molecular LLC, affiliata americana di Diasorin”.
Le successive disposizioni dell’art. 1 dettagliano il contenuto dell’accordo, distinguendo tra la “Valutazione Molecolare” e la “Valutazione Sierologica”.
La Valutazione Molecolare attiene al “progetto molecolare” denominato “SARS Cov-2 Molecular Project” e si articola in due fasi principali.
La prima fase (sub i) consiste nella “valutazione analitica e clinica delle prestazioni di un set di reagenti per lo sviluppo di un “real-time polymerase chain reaction (RT-PCR) direct assay intended for the qualitative detection of 2019-nCoV viral RNA from nasopharyngeal swabs from patients suspected of Coronavirus 2019-nCoV infection” sulla base di un prototipo (RUO) fornito da Diasorin e sviluppato utilizzando i campioni residui anonimizzati di tamponi nasofaringei raccolti in UTM buffer”. 
La seconda fase (sub ii), da svolgere “solo previa richiesta scritta di Diasorin”, consiste nella “successiva esecuzione di uno studio clinico osservazionale su dispositivo medico diagnostico in vitro finalizzato alla determinazione delle prestazioni diagnostiche dello sviluppando kit molecolare Simplexa COVID-19 Direct nelle diagnosi da infezione da CoViD 19, allo scopo di ottenere la marcatura CE e, ove possibile, l’FDA clearance”. 
Da notare, con riferimento alla prima fase, che “le Parti danno congiuntamente atto che, alla data di efficacia del presente Accordo Quadro, le attività del SARS Cov-2 Molecular Project sopra descritte sub (i) sono già state eseguite”, mentre “con riguardo alla eventuale esecuzione dello studio clinico descritto sub (ii), il relativo incarico verrà affidato da Diasorin alla Fondazione mediante separata lettera la cui bozza viene allegata al presente Accordo Quadro sub Allegato A che ne costituisce parte integrante e sostanziale. 
Sempre in relazione alla Valutazione Molecolare, l’art. 1 individua ulteriori obbligazioni a carico della Fondazione San Matteo, suddivise in altri due gruppi di attività, stabilendo che “in aggiunta a quanto sopra, e sempre solo previa richiesta scritta di Diasorin, la Fondazione (a) metterà a disposizione di Diasorin un ulteriore numero indicativo di 100 campioni residui anonimizzati di tamponi nasofaringei (raccolti in UTM buffer) prelevati da soggetti nella normale pratica clinica e risultati positivi con il metodo utilizzato in routine dal laboratorio allo scopo di supportare la Coronavirus Disease 2019 (COV1D-19) Emergency Use Authorization (EUA) valida per gli Stati Uniti d’America e (b) consentirà attraverso i propri operatori l’utilizzo in laboratorio della particella virale (2019-nCoV) per esperimenti finalizzati alla ottimizzazione delle prestazioni analitiche quali, ad esempio, la sensibilità analitica”.
Il successivo punto 1.3 descrive le attività comprese nella “Valutazione Sierologica”, che attiene al progetto sierologico denominato “SARS Cov-2 Serology Project” e anche tali attività vengono articolate in due fasi principali.
La prima (i) consiste nella “valutazione delle prestazioni di un set di reagenti per lo sviluppo di un dispositivo per la determinazione di anticorpi anti SARS Cov-2 in soggetti con infezione SARS-CoV-2, confermata da RT-PCR, sulla base di un prototipo (RUO) fornito da Diasorin e sviluppato utilizzando i campioni sierici anonimizzati di pazienti positivi e di pazienti guariti facenti parte dei Materials trasferiti in accordo al MTA”.
La seconda (ii) è costituita dalla “successiva esecuzione di uno studio clinico osservazionale su dispositivo medico diagnostico in vitro finalizzato alla determinazione delle prestazioni diagnostiche dello sviluppando kit sierologico LIAISON® XL Covid- 19 IgG nelle diagnosi da infezione da CoViD19 (nel prosieguo "Kit Sierologico"), allo scopo di ottenere la marcatura CE”.
Si puntualizza che “il programma dettagliato del SARS Cov-2 Serology Project è riportato nel protocollo per Development of a RUO for Sars - CoV- 2 Serology”, allegato all’accordo stesso.
Quanto alla seconda parte dell’attività, che compone la Valutazione Sierologica, sempre l’art. 1.3 precisa che “con riguardo alla esecuzione dello studio clinico descritto sub (ii), il relativo incarico verrà affidato da Diasorin alla Fondazione mediante separata lettera la cui bozza viene allegata al presente Accordo Quadro sub Allegato C che ne costituisce parte integrante e sostanziale”.
Sul punto si aggiunge che “resta in ogni caso inteso che (i) i campioni di cui sopra dovranno essere sistematicamente testati con i prototipi nella combinazione di metodi definita a priori tra le Parti e che (ii) i prototipi saranno analizzati sulla piattaforma strumentale LIAISON® XL di proprietà di Diasorin”.
Il successivo art. 2 è dedicato alla durata dell’Accordo, che decorre dalla data dell’ultima sottoscrizione e prosegue per i successivi dieci anni, durante i quali Diasorin è obbligata a versare alla Fondazione una royalty puntualmente individuata (cfr. infra).
L’accordo disciplina, ex art. 3, il luogo di svolgimento dell’attività prevista, individua lo sperimentatore, i responsabili tecnici e scientifici, nonché le responsabilità e la relativa manleva.
In tale contesto si prevede, in particolare, che le Valutazioni siano svolte dalla Fondazione presso il Laboratorio di Microbiologia e Virologia “sotto la responsabilità tecnico-scientifica del Prof. Fausto Baldanti”, individuato quale “Responsabile tecnico/scientifico”, con la precisazione che “la Fondazione risponde a Diasorin, con particolare ma non esclusivo riferimento al rispetto degli obblighi previsti agli artt. 4, 5, 5bis, 6 e 7, per l’operato del Responsabile tecnico/scientifico, nonché degli eventuali borsisti, collaboratori e consulenti esterni che collaborano nelle attività di valutazione in oggetto”.
Segue la previsione dell’esonero di Diasorin da “qualsiasi responsabilità di sorta”, sia per eventuali danni arrecati a terzi o ai dipendenti della Fondazione, compresi borsisti collaboratori e consulenti esterni, nonché al responsabile tecnico scientifico; parimenti, si esclude ogni responsabilità di Diasorin verso i soggetti indicati anche per ciò che attiene “al pagamento di retribuzioni, compensi e contributi previdenziali e/o a risarcimenti per eventuali malattie o infortuni”.
L’individuazione degli obblighi posti a carico della Fondazione si completa con la previsione dell’art. 4, che impegna quest’ultima a fornire a Diasorin “a completamento delle Valutazioni, due distinte e dettagliate relazioni scritte (nel prosieguo, singolarmente, la "Relazione Finale" e, collettivamente, le "Relazioni Finali"), attestanti l’attività eseguita e i relativi risultati conseguiti sia con riguardo alla Valutazione Molecolare sia con riguardo alla Valutazione Sierologica”.
L’Accordo disciplina anche la spettanza della “proprietà esclusiva” e le modalità di “utilizzazione dei risultati nell’ambito del SARS Cov-2 Molecular Project”.
In particolare, l’art. 5 prevede che “tutti i risultati, informazioni, reports, conoscenze (totali o parziali), schede raccolta dati, documentazione, materiali c le invenzioni brevettabili e non (compresi i miglioramenti, le innovazioni e le nuove applicazioni conseguiti nel corso della Valutazione Molecolare e successivamente alla conclusione del presente Accordo Quadro) (nel prosieguo i "Risultati Progetto Molecolare") derivanti dalla attività eseguite nell’ambito della Valutazione Molecolare saranno di esclusiva proprietà e titolarità di Diasorin”.
La norma precisa che “è e sarà di esclusiva proprietà di Diasorin il Know-how Diasorin in qualsiasi modo legato/collegato ai Prodotti” e in tal senso specifica, da un lato, che “con il termine Know-how Diasorin, si intende il complesso/patrimonio di conoscenze tecnico-scientifiche (inclusa la documentazione tecnica), la tecnologia, le informazioni, i dati, le formule, i materiali, i disegni, i metodi e le nozioni di carattere segreto, sostanziale e identificato, scritte o orali, sviluppati autonomamente da Diasorin ed essenziali alla produzione, utilizzazione e commercializzazione dei propri Prodotti nel mondo”, dall’altro, che “a titolo esemplificativo e non esaustivo, resta inteso tra le Parti che il know-how, i disegni, il metodo e le sequenze utilizzati per lo sviluppo del kit molecolare Simplexa CO VID- 19 Direct rientrano nel Know-how Diasorin”.
Sempre l’art. 5 si occupa della proprietà di eventuali risultati suscettibili di brevetto, “incluse qualsiasi opera dell’ingegno, quali, a titolo di esempio, invenzioni, modelli dì utilità, programmi o altri beni immateriali, derivanti direttamente dalla Valutazione Molecolare”, riservandola espressamente, “sempre e in ogni caso”, a Diasorin, nonché precisando che “la Fondazione si impegna a rinunciare a qualsiasi diritto e/o pretesa per qualsivoglia titolo e/o ragione dipendente dai Risultati Progetto Molecolare stessi”.
E ancora, al punto 5.3 si ribadisce che “in caso di ottenimento di risultati suscettibili di protezione brevettuale emersi nell’ambito della Valutazione Molecolare, sarà esclusiva facoltà di Diasorin procedere o meno alla brevettazione degli stessi”; sempre Diasorin “potrà liberamente utilizzare (ivi compreso ii diritto di pubblicare) i Risultati Progetto Molecolare ottenuti nell’ambito dello svolgimento della Valutazione Molecolare per qualsiasi scopo, incluso lo sviluppo della produzione industriale di prodotti diagnostici da vendere e commercializzare a terzi nel mercato globale, senza che da ciò possa derivare per la Fondazione alcun diritto di qualsivoglia natura al quale, in ogni caso, sin da ora la Fondazione espressamente rinuncia”.
Non solo, “i risultati ottenuti nell’ambito degli studi e delle ricerche eseguiti nell’ambito della Valutazione Molecolare potranno essere utilizzati e/o comunicati a terzi (ivi compresa la pubblicazione) da parte della Fondazione solo previo consenso scritto di Diasorin (che non potrà essere irragionevolmente negato) e comunque in maniera tale da non compromettere in alcun modo l’eventuale brevettabilità di detti risultati”.
La posizione di Diasorin, rispetto ai profili ora visti, viene consolidata al punto 5.8, ove si prevede che “gli obblighi e le disposizioni del presente art. 5 continueranno ad essere pienamente validi ed efficaci anche a seguito della risoluzione o cessazione per qualsiasi causa del presente Accordo Quadro”.
La disciplina del regime di proprietà e di utilizzazione dei risultati nell’ambito del “Sars Cov – 2 Serology Project – Royalty” è dettata dal successivo art. 5 bis, che, al primo comma, prevede che “i risultati conseguiti nel corso della Valutazione Sierologica (nel prosieguo i "Risultati Progetto Sierologico") saranno di proprietà e titolarità delle Parti”, seppure con “espressa esclusione del Know-how Diasorin e salvo quanto convenuto al successivo art. 5.2 bis”.
Quest’ultima disposizione stabilisce, infatti, che “in deroga a quanto previsto al precedente art. 5.1 bis, eventuali risultati suscettibili di brevetto (incluse qualsiasi opera dell’ingegno, quali, a titolo di esempio, invenzioni, modelli di utilità, programmi o altri beni immateriali), derivanti direttamente dalla Valutazione Sierologica, saranno di proprietà di Diasorin”, con la precisazione – punto 5.3 bis – che “in caso di ottenimento di risultati suscettibili di protezione brevettuale emersi nell’ambito della Valutazione Sierologica, sarà esclusiva facoltà di Diasorin procedere o meno alla brevettazione degli stessi e depositare a proprio nome, in Italia e all’estero, apposita domanda di protezione dei Risultati Progetto Sierologico nel rispetto delle norme vigenti in materia”, tanto che “la Fondazione non potrà rivendicare alcuna pretesa economica, o di qualsivoglia altra natura, in merito a detto brevetto, fatte comunque salve le disposizioni inderogabili di legge in materia riguardanti la titolarità dell’invenzione da parte dei ricercatori che hanno preso parte al progetto da cui è derivata l’invenzione medesima”. Viceversa, “Diasorin potrà liberamente utilizzare i Risultati Progetto Sierologico, inclusi quelli suscettibili di protezione brevettuale, per qualsiasi fine compreso quello dello sviluppo, della produzione industriale e della commercializzazione dei propri Prodotti nel mondo (incluso il Kit Sierologico)”.
Anche in relazione alla Valutazione Sierologica – come già previsto per la Valutazione Molecolare – si stabilisce che “i risultati ottenuti nell’ambito degli studi e delle ricerche eseguiti nell’ambito della Valutazione Sierologica potranno essere utilizzati e/o comunicati a terzi (ivi compresa la pubblicazione) da parte della Fondazione previo consenso scritto di Diasorin (che non potrà essere irragionevolmente negato) e comunque in maniera tale da non compromettere in alcun modo l’eventuale brevettabilità di detti risultati”; allo stesso modo si ribadisce, al punto 5.8 bis, che “gli obblighi e le disposizioni del presente art. 5 bis continueranno ad essere pienamente validi ed efficaci anche a seguito della risoluzione o cessazione per qualsiasi causa del presente Accordo Quadro”.
Nel corpo dell’art. 5 bis ed, in particolare, al punto 5.9 bis, viene disciplinato il primo aspetto del corrispettivo a favore della Fondazione, prevedendo che “a partire dalla data della prima vendita verso corrispettivo del Kit Sierologico (come definito al precedente art. 1.3) e per i successivi dieci (10) anni, Diasorin si impegna a corrispondere alla Fondazione una Royalty al tasso del 1% (uno per cento) sul prezzo netto (esclusa IVA) praticato per la vendita di ciascun Kit Sierologico al cliente finale eseguita direttamente da Diasorin e/o sue Affiliate, con un minimo dì curo 20.000,00 (ventimila/00) per anno nel corso dei dieci (10) anni di durata della obbligazione di cui sopra”.
Sempre in relazione alla royalty, il punto 5.10 bis prevede che “resta espressamente inteso tra le Parti che, con il versamento delle somme di cui al presente Accordo Quadro da parte di Diasorin la Fondazione rinuncia a qualsiasi ulteriore pretesa creditoria nei confronti di Diasorin per qualsivoglia titolo e/o ragione in qualsivoglia modo legata e/o connessa alle Valutazioni, al SARS Cov-2 Molecular Project, al SARS Cov-2 Serology Project, ai Risultati Progetto Molecolare, ai Risultati Progetto Sierologico, ai Prodotti (inclusi, ma non limitatamente a. kit molecolare Simplexa COVID-19 Direct e Kit Sierologico) nonché, più in generale, a quanto forma oggetto del presente Accordo Quadro”.
Sempre in tema di corrispettivo, l’art. 8 prevede che: a) quale “compenso forfettario per l’esecuzione delle Valutazioni oggetto del Accordo Quadro, come descritte ai precedenti artt. 1.2 e 1.3”, Diasorin corrisponderà alla Fondazione l’importo complessivo di euro 50.000,00 oltre IVA, di cui euro 25.000,00 oltre IVA al momento della sottoscrizione dell’Accordo Quadro, “quale compenso per tutte le attività facenti parte del SARS Cov-2 Molecular Project; altri euro 25.000,00 oltre IVA al termine dello studio clinico osservazionale di cui al precedente art. 1.3 e “condizionatamente alla consegna della Relazione Finale riguardante la Valutazione Sierologica e, in ogni caso, al termine del SARS Cov-2 Serology Project”; b) Diasorin si impegna: b.1) “a fornire gratuitamente alla Fondazione - salvo diverso accordo tra le Parti, a seguito dell’ottenimento del CE Mark ed entro il 31 dicembre 2020 - (i) fino a n. 1000 test prodotti nell’ambito del SARS Cov-2 Molecular Project e (ii) fino a n. 5000 test prodotti nell’ambito del SARS Cov-2 Serology Project “; b.2) “a concedere alla Fondazione, a titolo di comodato gratuito, da n. 2 a n. 4 termociclatori LIAISON®MDX, a seconda delle esigenze e per il tempo che le Parti concorderanno in buona fede in separato accordo”.
Sotto altro profilo, il precedente art. 6 prevede a carico della Fondazione obblighi di segretezza e di non uso in ordine a informazioni, cognizioni e documenti relativi a Diasorin e ai suoi progetti e prodotti, stabilendo espressamente che tali obblighi si estendono “anche alle ricerche, agli studi e alle sperimentazioni condotti in esecuzione del presente Accordo Quadro, e ai risultati di tali ricerche, studi e sperimentazioni”, tanto che, ex art. 7, “eventuali pubblicazioni da parte di personale della Fondazione, compresi il Responsabile tecnico/scientifico, o da parte di borsisti, collaboratori o consulenti esterni, che avessero per argomento totale o parziale i risultati scientifici e/o tecnici, anche parziali, raggiunti nell’attività qui prevista, dovranno rispettare quanto indicato ai precedenti artt. 5 e 5bis” e la Fondazione si fa garante verso Diasorin del rispetto di tali disposizioni anche da parte del “proprio personale, compreso il Responsabile tecnico/scientifico, i borsisti, collaboratori o consulenti esterni”.
3.3) La Fondazione Irccs San Matteo e Diasorin spa sostengono che l’accordo in questione si inserisca nella previsione dell’art. 8, comma 5, del d.l.vo 2003 n. 288, precisando che, al di là del lessico utilizzato, l’attività oggetto della convenzione sarebbe riconducibile esclusivamente alla valutazione clinica di prodotti già completi, ossia di kit già integralmente predisposti in forma definitiva da Diasorin spa, senza alcuna modificazione o perfezionamento.
Diasorin spa si sofferma a lungo su tali profili, affermando di avere sviluppato in piena autonomia il test sierologico in grado di identificare sia le immunoglobuline IgC, ossia quelle che rappresentano la risposta immunitaria di lunga durata e che, di conseguenza, evidenziano per un periodo più lungo se il paziente è stato colpito dall’infezione, sia, tra tali immunoglobuline IgG, quelle c.d. neutralizzanti, così denominate perché in grado di neutralizzare il virus.
Evidenzia, ancora, che la validazione richiesta al San Matteo è funzionale al conseguimento della marcatura CE, ottenibile dopo che il prodotto sia stato compiutamente sviluppato e sottoposto a tutti gli esami clinici e alle analisi necessari; a tali fini, l’operatore titolare del prodotto deve osservare dei protocolli di qualità, che sono oggetto di verifica da parte di specifici organismi. 
Si riferisce che Diasorin, per la verifica dell’idoneità dei propri test sierologici basati sul prelievo del sangue, si è rivolta al Policlinico San Matteo di Pavia, quale Centro COVID in Lombardia, sicché la convenzione in esame è rivolta proprio all’effettuazione delle verifiche necessarie per la marcatura CE.
Diasorin afferma che “anche i kit dei test (sia molecolari che sierologici) sottoposti alle verifiche del Policlinico San Matteo necessarie per la marcatura CE … erano già stati sviluppati compiutamente e autonomamente”, in quanto “le attività demandate al Policlinico San Matteo non avevano ad oggetto lo sviluppo materiale di tali test, magari anche solo per migliorarli al fine di conseguire risultati di affidabilità ancora maggiore, ma avevano ad oggetto esclusivamente il riscontro della loro appropriatezza”.
A detta della controinteressata la circostanza che l’accordo si riferisca ad un “prototipo” non indicherebbe un prodotto non ancora ultimato, ma identificherebbe un prodotto ultimato di cui però non sarebbe ancora possibile avviare la produzione industriale, perché essa a sua volta può intervenire solo dopo la marcatura CE.
La tesi sostenuta dall’amministrazione resistente e dalla controinteressata non può essere condivisa, perché non trova riscontro nel concreto contenuto dell’accordo, complessivamente considerato.
Anche in questo settore valgono le regole ermeneutiche fissate dal codice civile in tema di interpretazione del contratto; per cui se, da un lato, si deve indagare la reale intenzione delle parti, senza limitarsi al senso letterale delle parole utilizzate, dall’altro, occorre tenere conto del loro comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione dell’accordo, secondo la previsione dell’art. 1362 c.c..
Non solo, ciascuna clausola del contratto deve essere interpretata tenendo conto del senso che risulta dal complesso dell’atto, in coerenza con l’art. 1363 c.c.. 
Ora, già l’art. 1 dell’accordo ne individua l’oggetto non facendo riferimento ad una mera attività di valutazione clinica, ma ad una più ampia “collaborazione scientifica”, certo volta anche alla valutazione di test sierologici e molecolari per la diagnosi da infezione da SARS-Cov-2, ma con la puntuale previsione che il rapporto convenzionale concerne test da “successivamente sviluppare e produrre”.
Il riferimento alla collaborazione scientifica si spiega proprio in relazione al contenuto complessivo del contratto, che non ha ad oggetto solo la validazione di un test, ma lo sviluppo dei prodotti presentati da Diasorin.
Le successive disposizioni dell’art. 1 confermano la complessità e l’effettiva natura dell’accordo.
Così, in relazione alla “Valutazione Molecolare”, che attiene al “progetto molecolare” denominato “SARS Cov-2 Molecular Project”, la prima fase consiste nella “valutazione analitica e clinica delle prestazioni di un set di reagenti per lo sviluppo di un “real-time polymerase chain reaction (RT-PCR) direct assay intended for the qualitative detection of 2019-nCoV viral RNA from nasopharyngeal swabs from patients suspected of Coronavirus 2019-nCoV infection” sulla base di un prototipo (RUO) fornito da Diasorin e sviluppato utilizzando i campioni residui anonimizzati di tamponi nasofaringei raccolti in UTM buffer”. 
La norma non lascia adito a dubbi: la valutazione clinica non è diretta a verificare un prodotto finito, ma allo sviluppo di un prodotto nuovo, sulla base di un prototipo fornito dalla società, con la precisazione che lo sviluppo dell’invenzione necessita dell’utilizzo dei campioni di tamponi nasofaringei.
In coerenza con tale previsione, si stabilisce che la seconda fase, da svolgere su richiesta della parte privata si sostanzia nell’effettuazione “di uno studio clinico osservazionale su dispositivo medico diagnostico”, studio diretto ad individuare “le prestazioni diagnostiche” che caratterizzeranno lo “sviluppando kit molecolare”, allo scopo di ottenere la marcatura CE e la certificazione FDA. 
Da notare, che l’accordo precisa che alla data di stipulazione la prima fase è già stata eseguita, mentre l’esecuzione dello studio clinico deve ancora essere eseguito.
Emergono a chiare lettere la complessità e la molteplicità delle diverse attività dedotte nell’accordo, che non è diretto alla semplice validazione di un prodotto finito, ma si articola nello sviluppo di un prototipo fornito dalla società, sulla base di una valutazione analitica e clinica, cui potrà seguire un ulteriore studio clinico per determinare le prestazioni diagnostiche conseguibili mediante un kit molecolare da sviluppare e, quindi, non ancora ultimato.
Sempre in relazione alla Valutazione Molecolare, l’art. 1 individua ulteriori obbligazioni a carico del Policlinico, consistenti, da un lato, nella messa a disposizione di “un ulteriore numero indicativo di 100 campioni residui anonimizzati di tamponi nasofaringei” allo scopo di supportare la Coronavirus Disease 2019 (COVID-19) Emergency Use Authorization (EUA) valida per gli Stati Uniti d’America, dall’altro, nel consentire, “attraverso i propri operatori” l’utilizzo in laboratorio della particella virale (2019-nCoV) “per esperimenti finalizzati alla ottimizzazione delle prestazioni analitiche quali, ad esempio, la sensibilità analitica”.
Insomma, oltre alle attività dirette a consentire il passaggio da un prototipo ad un prodotto finito, l’accordo ha ad oggetto altre attività, cui corrispondono specifiche obbligazioni della struttura pubblica, come mettere a disposizioni ulteriori campioni biologici, nonché consentire l’utilizzo, nei suoi laboratori e tramite i suoi operatori, della particella virale, per eseguire esperimenti diretti ad ottimizzare le prestazioni dei prodotti.
Quindi, la convenzione ha ad oggetto non solo le attività dirette a sviluppare dei prototipi, ma anche attività successive tese all’ottimizzazione delle prestazioni dei prodotti.
Anche le attività comprese nella “Valutazione Sierologica”, che attiene al progetto sierologico denominato “SARS Cov-2 Serology Project”, hanno un contenuto complesso e articolato in fasi.
La prima consiste nella “valutazione delle prestazioni” di reagenti finalizzata allo “sviluppo di un dispositivo per la determinazione di anticorpi anti SARS Cov-2” sulla “base di un prototipo” fornito da Diasorin e poi “sviluppato utilizzando i campioni sierici anonimizzati di pazienti positivi e di pazienti guariti”.
Ne consegue che, come già previsto per la Valutazione Molecolare, le attività comprese nella prima fase della c.d. Valutazione Sierologica non si sostanziano nella semplice valutazione di un prodotto finito, ma nel suo sviluppo, rivolto a conseguire un’invenzione, sulla base di un prototipo fornito dalla società; sviluppo da eseguire utilizzando campioni sierici.
La seconda fase – anche in tale caso successiva ed eventuale, perché subordinata ad una richiesta di Diasorin – consiste nell’effettuazione “di uno studio clinico osservazionale su dispositivo medico diagnostico in vitro finalizzato alla determinazione delle prestazioni diagnostiche dello sviluppando kit sierologico”, allo scopo di ottenere la marcatura CE.
Insomma, anche per gli aspetti sierologici, l’accordo ha ad oggetto non solo lo sviluppo di un prototipo fornito da Diasorin, ma anche l’effettuazione di uno studio successivo finalizzato a determinare le prestazioni diagnostiche del prodotto, in vista del successivo sviluppo di un kit sierologico.
E’ significativo che l’accordo preveda, in relazione tanto alla Valutazione Molecolare, quanto alla Valutazione Sierologica, l’obbligo per il Policlinico di procedere a successivi studi clinici osservazionali su dispositivi medico diagnostici, per la realizzazione dei kit molecolari e sierologici.
Difatti, tali attività, pur facendo parte del contenuto della convenzione, andranno eseguite su specifica richiesta di Diasorin e ciò significa che lo studio stesso non attiene alla validazione in sé del prodotto, perché altrimenti sarebbe previsto come necessario e non come subordinato ad una specifica richiesta.
E’ palesemente contraddittorio affermare che le uniche attività dedotte nella convenzione sono quelle strettamente necessarie per la valutazione di un prodotto già completo e poi prevedere che una parte consistente di tale attività – lo studio destinato a determinare le prestazioni diagnostiche – debba essere eseguito solo su richiesta della parte privata.
Non solo, le successive attività di studio sono descritte e previste come strumentali ad uno “sviluppando” kit molecolare e ad uno “sviluppando” kit sierologico e ciò conferma che l’accordo ha un oggetto complesso, non riducibile alla mera testazione di un prodotto già completo, ma consistente in una molteplicità di attività di analisi, di ricerca e di studio, dirette sia a consentire il passaggio dai prototipi forniti dalla società a dei prodotti finiti, sia a realizzare dei kit molecolari e sierologici espressamente descritti come “sviluppandi”.
Anche i profili relativi alla durata dell’accordo, agli esoneri di responsabilità e alla proprietà dei risultati dell’attività compresa nell’accordo, ne confermano la complessità e la non riducibilità ad una mera opera di testazione di prodotti.
Invero:
- la durata dell’accordo è fissata in dieci anni e a tale periodo è commisurata una quota consistente del compenso previsto in favore del Policlinico;
- tuttavia, se l’accordo ha ad oggetto solo la testazione di un prodotto ai fini di ottenere la marcatura Ce e la certificazione valida per la commercializzazione del prodotto finito negli USA, diventa incomprensibile e sine causa la previsione di un rapporto obbligatorio che perdura per 10 anni, con correlativa parametrazione del compenso;
- viceversa, tale consistente durata trova una precisa giustificazione causale se si considera la complessità del contenuto dell’accordo, che, lungi dall’esaurirsi in una valutazione, comprende attività ulteriori, consistenti nell’effettuazione di studi clinico-osservazionali su dispositivi medici, da attivare su richiesta di Diasorin, per la determinazione delle prestazioni diagnostiche conseguibili con “sviluppandi” kit;
- poiché il Policlinico si obbliga a tenere a disposizione della parte privata le sue strutture, le sue conoscenze scientifiche, la sua tecnologia, il suo know how, il suo personale in vista di un obiettivo – conseguire delle invenzioni - che interessa l’operatore privato, diventa ragionevole e giustificata sul piano causale la previsione di una lunga durata dell’accordo;
- allo stesso modo, se la convenzione avesse ad oggetto la sola attività di validazione di un prodotto, che tanto il Policlinico, quanto Diasorin, riconducono all’ordinaria attività svolta dalla struttura pubblica, non avrebbe giustificazione, nell’economia complessiva del contratto, la previsione di una minuziosa disciplina dell’esonero di ogni responsabilità di Diasorin per l’operato del Responsabile tecnico scientifico, nonché degli eventuali borsisti, collaboratori e consulenti esterni; esonero che concerne, a favore di Diasorin, “qualsiasi responsabilità di sorta”, sia per eventuali danni arrecati a terzi o ai dipendenti della Fondazione, compresi borsisti collaboratori e consulenti esterni, nonché al responsabile tecnico scientifico, sia per quanto attiene “al pagamento di retribuzioni, compensi e contributi previdenziali e/o a risarcimenti per eventuali malattie o infortuni”;
- l’ordinaria attività del Policlinico, cui la controinteressata e la resistente riducono l’oggetto dell’accordo, non giustifica una clausola di esonero da responsabilità, non solo per danni a terzi, ma anche per la remunerazione delle prestazioni rese dal personale del Policlinico, perché l’ordinaria attività è quella che istituzionalmente l’ente svolge e per la quale il suo personale è tenuto ad operare in base alle mansioni assegnate;
- per contro, la clausola assume significato se si considera che l’accordo non ha ad oggetto l’ordinaria attività, anche di testazione di prodotti, svolta dall’Ente, ma prestazioni diverse ed ulteriori, a fronte delle quali può sorgere un problema di esposizione a rischio da parte di terzi e del personale del Policlinico, così come può porsi un problema di esecuzione di prestazioni non comprese tra le ordinarie mansioni del personale e ciò rende comprensibile e coerente sul piano causale una clausola tesa ad evitare l’insorgenza di responsabilità in capo alla parte privata che richiede simili prestazioni; 
- parimenti, l’accordo disciplina in modo dettagliato la spettanza della “proprietà esclusiva” e le modalità di “utilizzazione dei risultati nell’ambito del SARS Cov-2 Molecular Project”, prevedendo che tutti i risultati, informazioni, reports, conoscenze (totali o parziali), schede raccolta dati, documentazione, materiali e le “invenzioni brevettabili e non”, compresi i miglioramenti, le innovazioni e le nuove applicazioni conseguiti nel corso della Valutazione Molecolare e successivamente e derivanti dalla attività eseguite proprio nell’ambito della Valutazione Molecolare “saranno di esclusiva proprietà e titolarità di Diasorin”;
- non solo, viene riservata a Diasorin la proprietà di invenzioni suscettibili di brevetto, “incluse qualsiasi opera dell’ingegno, quali, a titolo di esempio, invenzioni, modelli dì utilità, programmi o altri beni immateriali, derivanti direttamente dalla Valutazione Molecolare”, con la precisazione che la Fondazione si impegna a rinunciare a qualsiasi diritto e pretesa per qualsivoglia titolo o ragione dipendente dai Risultati del Progetto Molecolare”, fermo restando che solo Diasorin potrà liberamente utilizzare i Risultati del Progetto Molecolare per qualsiasi scopo, incluso lo sviluppo della produzione industriale di prodotti diagnostici da commercializzare nei mercati europei e statunitensi, senza che da ciò possa derivare per la Fondazione alcun diritto di qualsivoglia natura;
- tali profili sono così importanti nell’economia complessiva dell’accordo, che le parti hanno previsto che gli obblighi e le disposizioni dirette a riservare ogni proprietà dei risultati delle attività previste, brevettabili o meno, restino validi ed efficaci anche in caso di risoluzione o caducazione dell’accordo;
- vale osservare che, se l’accordo avesse ad oggetto solo la testazione di un prodotto finito, autonomamente elaborato in via definitiva da Diasorin, la disciplina indicata sarebbe priva di giustificazione, perché il prodotto sarebbe già necessariamente di proprietà esclusiva di Diasorin, senza necessità di un’esplicita riserva in suo favore “sempre e in ogni caso” e di una espressa rinuncia della Fondazione a ogni “diritto e/o pretesa”;
- per contro, le clausole richiamate assumono significato se si considera che il contratto ha un oggetto molto più ampio e comprende l’esecuzione di attività e studi ulteriori rispetto alla mera testazione, tesi proprio a consentire l’evoluzione del prototipo predisposto da Diasorin in un prodotto finito, suscettibile di essere industrializzato, nonché l’elaborazione di kit molecolari e sierologici, quale conseguenza di studi ad hoc, a fronte dei quali si prevede anche una durata decennale del contratto;
- del resto, analoga disciplina a favore di Diasorin è prevista in ordine alla proprietà dei risultati conseguibili nell’ambito delle complesse attività che integrano la Valutazione Sierologica;
- l’impossibilità di ridurre l’oggetto dell’accordo alla sola attività di validazione del prodotto emerge anche dalle disposizioni negoziali relative al corrispettivo previsto in favore della Fondazione;
- l’accordo individua il compenso a favore del Policlinico in modo articolato, prevedendo che esso consista: a) nel pagamento di euro 25.000,00 oltre IVA al momento della sottoscrizione, “quale compenso per tutte le attività facenti parte del SARS Cov-2 Molecular Project; b) nel pagamento di altri euro 25.000,00 oltre IVA al termine dello studio clinico osservazionale; c) nella fornitura gratuita alla Fondazione fino a n. 1000 test prodotti nell’ambito del SARS Cov-2 Molecular Project e fino a n. 5000 test prodotti nell’ambito del SARS Cov-2 Serology Project; d) nella concessione alla Fondazione, a titolo di comodato gratuito, da n. 2 a n. 4 termociclatori LIAISON®MDX, a seconda “delle esigenze e per il tempo che le parti concorderanno in buona fede in separato accordo”. 
- non solo, si prevede che a partire dalla data della prima vendita verso corrispettivo del Kit Sierologico e per i successivi dieci anni, Diasorin corrisponderà alla Fondazione una royalty al tasso del 1% sul prezzo netto praticato per la vendita di ciascun Kit Sierologico al cliente finale eseguita direttamente da Diasorin o sue affiliate, con un minimo dì curo 20.000,00 (ventimila/00) per anno nel corso dei dieci anni di durata dell’obbligazione;
- corrispondentemente, si prevede che, in dipendenza del versamento della royalty, la Fondazione rinuncia a qualsiasi ulteriore pretesa creditoria nei confronti di Diasorin per qualsivoglia titolo connesso alle Valutazioni, al SARS Cov-2 Molecular Project, al SARS Cov-2 Serology Project, ai Risultati del Progetto Molecolare, ai Risultati del Progetto Sierologico, ai Prodotti compresi il kit molecolare Simplexa COVID-19 Direct e il Kit Sierologico;
- ora, per quanto in tema di determinazione del corrispettivo sia possibile invocare l’autonomia negoziale delle parti, resta fermo che la relazione sinallagmatica che lega le diverse prestazioni a carico delle parti deve trovare giustificazione nella causa del contratto, che si presenta sicuramente come onerosa e non gratuita, né, tanto meno, liberale;
- sicuramente l’attività di validazione del test giustifica l’attribuzione di un compenso, previsto anche dal Regolamento per la disciplina delle sperimentazioni cliniche e delle attività di ricerca per conto terzi (Reg. n. 54/2017) adottato dal Policlinico, tuttavia in sede di interpretazione ed individuazione del concreto contenuto dell’accordo ci si deve chiedere, in una prospettiva sinallagmatica e di giustificazione causale, se il compenso previsto possa trovare corrispondenza in una prestazione consistente nella sola validazione di un prodotto già integralmente sviluppato, come sostengono Diasorin e il Policlinico;
- così non è: la previsione di un compenso quantificato in una percentuale del prezzo dei prodotti venduti su scala mondiale non ha alcuna correlazione con l’attività di mera testazione di un prodotto, specie se si considera che tale percentuale spetterà per ben 10 anni;
- non solo, il prezzo così individuato non è direttamente determinato, ma solo determinabile, ferma restando la previsione di un minimo dovuto pari a 20.000,00 euro per anno e comporta per il Policlinico l’impossibilità di conoscere, a priori e con certezza, l’importo complessivamente ritraibile dal contratto;
- una tale parametrazione del compenso non trova giustificazione causale in una prestazione di semplice validazione di un prodotto, che, nella sua precisa delimitazione contenutistica, consente una certa quantificazione dei costi complessivi e, quindi, l’esatta parametrazione del corrispettivo;
- il già citato regolamento interno del Policlinico, n. 54/2017, prevede puntualmente le voci di costo che l’amministrazione deve considerare in sede di pattuizione del corrispettivo per le prestazioni che si obbliga ad effettuare, senza lasciare spazio a profili di incertezza e senza correlare il prezzo al volume delle vendite da parte dell’operatore privato;
- per contro, il prezzo come sopra determinato assume una chiara giustificazione causale se lo si correla alla complessità dell’oggetto dell’accordo e delle prestazioni che il Policlinico si impegna ad eseguire; 
- invero, se si considera che l’accordo non ha ad oggetto una delimitata attività di valutazione di un prodotto compiutamente definito nelle sue caratteristiche anche prestazionali, ma una molteplicità di prestazioni, anche di analisi, di studio e di ricerca espressamente finalizzate all’elaborazione di un prodotto finito, ossia alla realizzazione di un’invenzione, partendo da un prototipo, nonché alla determinazione delle prestazioni diagnostiche di “sviluppandi” kit molecolari e sierologici, allora si comprende la ratio della parte “variabile” del compenso;
- il Policlinico è chiamato a partecipare attivamente alla creazione dei prodotti che Diasorin immetterà sul mercato conservando la titolarità dei relativi brevetti e ciò giustifica, a livello causale, l’attribuzione all’Ente pubblico di un compenso parametrato ai risultati economici della commercializzazione delle invenzioni derivanti dalla variegata attività dedotta nell’accordo;
- tutto ciò spiega, nell’economia complessiva del contratto, la previsione di un compenso, da un lato, proiettato in avanti nel tempo, sia in relazione alla sua maturazione, sia in ordine alla sua corresponsione, con previsione di una durata decennale, dall’altro, la sua quantificazione in una percentuale del prezzo di vendita dei singoli kit, con previsione di un minimo garantito pari a 20.000,00 euro per anno;
- insomma, al di là dell’ammontare complessivo delle vendite decennali, il contratto ha voluto garantire al Policlinico una corresponsione minima annuale collegata all’ammontare delle vendite del prodotto, che il San Matteo ha contribuito, in modo decisivo, a realizzare nella sua compiutezza, con un’attività articolata di studio, ricerca e analisi, sostanzialmente diversa dalla sola validazione di un prodotto già completo.
Le clausole contrattuali, interpretate nella loro reciproca correlazione, palesano l’intenzione dei contraenti di dar vita ad un rapporto negoziale diretto non solo all’esecuzione di attività di testazione, ma, in primo luogo, alla creazione di prodotti nuovi, partendo da prototipi non ancora compiutamente definiti, nonché all’individuazione delle prestazioni diagnostiche conseguibili con “sviluppandi” kit sierologici e molecolari; kit non ancora esistenti, ma da approntare sulla base delle attività di ricerca e sperimentazione affidate al Policlinico San Matteo, anche per quanto attiene all’elaborazione di test specifici.
Non va dimenticato - con riferimento alla necessità di tenere conto del comportamento complessivo delle parti - che in un’occasione pubblica, il dirigente responsabile dei servizi tecnologici di Diasorin, dottor Bonelli, ha dichiarato che “il professor Baldanti Fausto ha messo a punto, a tempo di record, un test per la determinazione degli anticorpi che utilizza il virus vivo”, precisando che questa attività la può eseguire “lui nei suoi laboratori che sono laboratori di alta sicurezza con personale specializzato ma non può essere usato nel laboratorio di routine”.
Nello stesso contesto, il dottor Bonelli ha ribadito che “il professore ha messo in piedi, ripeto a tempi di record, questo test di neutralizzazione e con il professore abbiamo condotto le prime fasi della sperimentazione a brevissimo proprio nei prossimi giorni condurremo ancora con il professor Baldanti e il professor Perno dell’Ospedale Niguarda di Milano ulteriori studi di validazione clinica per il completamento del processo di sviluppo e l’ottenimento delle certificazioni di prodotto”.
In altre parole, la realizzazione del prodotto finito, commerciabile, è stata possibile solo perché il Policlinico, da un lato, ha sviluppato test specifici, dall’altro, ha consentito l’utilizzo dei suoi laboratori di alta sicurezza, infine, ha messo a disposizione di Diasorin il suo personale specializzato (cfr. intervista rilasciata dal Prof. Baldanti e dal dottor Bonelli, presente in atti).
Tutto ciò conferma che il Policlinico ha contribuito in modo fondamentale alla realizzazione delle invenzioni di proprietà di Diasorin, che provvederà alla relativa commercializzazione.
Ne consegue che l’accordo non può essere ricondotto a quelli cui si riferisce l’art. 8, comma 5, del d.l.vo 2003 n. 288, il cui contenuto è già stato illustrato.
Invero, il comma 5 va inserito sistematicamente nel corpo complessivo dell’art. 8, che è dedicato alle funzioni di ricerca e di assistenza svolta dagli Irccs.
La norma tratta dell’attività di ricerca propria degli Irccs, diretta a sviluppare conoscenze nell’ambito della biomedicina e della sanità pubblica, ovvero a conseguire particolari e prioritari obiettivi, biomedici e sanitari, individuati dal Piano sanitario nazionale.
Il legislatore considera che simili attività sono suscettibili di condurre a specifici risultati, ossia invenzioni, brevettabili e trasferibili in ambito industriale; nondimeno, l’industrializzazione non rientra tra le attività proprie degli Irccs, i quali, pertanto, sono legittimati a concludere accordi negoziali o a costituire soggetti ulteriori, come società e consorzi, con enti pubblici o privati, proprio per addivenire all’industrializzazione dei risultati conseguiti in sede di ricerca.
Si tratta, quindi, di replicare e produrre su scala industriale il frutto della ricerca svolta dagli Irccs, quale attività istituzionale specifica.
La Fondazione Irccs è legittimata, ex art. 8, comma 5, cit. ad avvalersi di altri soggetti per industrializzare i risultati della sua ricerca scientifica, svolta come attività istituzionale, ma, tramite questo tipo di accordi, non pone la sua struttura e le sue capacità a disposizione di un particolare soggetto privato, per consentirgli di conseguire risultati scientifici che resteranno nell’esclusiva disponibilità del privato, anche per ciò che attiene alla proprietà e alla titolarità dei brevetti.
Ne consegue che l’accordo in esame non è sussumibile nel paradigma normativo indicato, perché non è diretto a consentire la produzione su scala industriale di un risultato scientifico conseguito dal Policlinico nell’ambito della sua attività di ricerca interna ed istituzionale.
La convenzione in esame ha un contenuto del tutto diverso.
Il Policlinico San Matteo, a fronte della fornitura di prototipi da parte di Diasorin, si è impegnato, dietro pagamento di un corrispettivo, a mettere a disposizione dell’operatore privato le sue conoscenze scientifiche, i suoi laboratori, il suo personale, dipendente e non, il suo know how al fine di conseguire, anche attraverso l’elaborazione di test innovativi, nuovi risultati, nuovi prodotti e nuove invenzioni, la cui titolarità resta riservata a Diasorin spa.
Il contenuto complessivo dell’accordo depone in tal senso, sia che si esaminino le espressioni utilizzate, sia che si prendano in esame le molteplici prestazioni richieste al San Matteo, o si considerino la disciplina prevista in tema di proprietà industriale e di responsabilità, ovvero i criteri di determinazione del compenso spettante alla struttura pubblica e la durata dell’accordo. 
3.4) Una volta individuato il contenuto dell’accordo si tratta di stabilirne la natura e il regime giuridico, con particolare riferimento alle modalità di individuazione del soggetto privato a favore del quale il Policlinico ha messo a disposizione laboratori, strumenti, personale, tecniche e conoscenze scientifiche.
Seppure l’accordo non rientra tra quelli disciplinati dall’art. 8, comma, 5 del d.l.vo 2003, n. 288, ciò non significa che si tratti di un rapporto sottratto alla capacità negoziale del Policlinico San Matteo.
Come già ricordato, l’art. 9 del d.l.vo 2003 n 288, consente alle Fondazioni Irccs di esercitare attività diverse da quelle istituzionali, purché compatibili con le finalità proprie dell’ente e in tale ambito prevede la possibilità di stipulare accordi e convenzioni con soggetti pubblici e privati o costituire con essi degli altri soggetti, come consorzi e società, con la precisazione che la controparte deve essere scelta “nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria”. 
Si tratta di accordi di vario contenuto, cui è riconducibile quello in contestazione, rispetto ai quali si delineano limiti interni ed esterni alla capacità negoziale delle Fondazioni; i primi sono costituiti dalla necessaria coerenza delle attività da svolgere con i fini istituzionali dell’Ente, i secondi dalla necessaria attivazione delle procedure che, in base alla disciplina nazionale e comunitaria, presiedono all’individuazione della controparte.
Vale precisare che ciò non significa che l’accordo stipulato dal Policlinico con Diasorin sia riconducibile alla specifica disciplina del codice dei contratti pubblici, poiché esso non rientra negli appalti o concessioni di lavori, servizi o forniture.
Si tratta piuttosto di un contratto attivo, in forza del quale è l’amministrazione ad obbligarsi ad eseguire una serie di prestazioni in favore di un soggetto privato in cambio di un compenso variamente articolato.
Resta fermo, però, che con tale contratto l’amministrazione ha posto a favore di un particolare operatore economico privato una specifica utilità, fornita direttamente dall’amministrazione e consistente nel complesso di beni, materiali ed immateriali, necessari per raggiungere gli obiettivi dell’accordo. 
Non solo, siffatta operazione non si sostanzia nell’esercizio in senso stretto delle funzioni istituzionali della Fondazione Irccs, ex art. 1 del d.l.vo 2003 n. 288, quali, da un lato, la ricerca, prevalentemente clinica e traslazionale, nel campo biomedico e in quello dell’organizzazione, dall’altro, la gestione dei servizi sanitari e l’effettuazione di prestazioni di ricovero e cura di alta specialità, infine, lo svolgimento di altre attività aventi i caratteri di eccellenza, individuate, ex art. 13, comma 3, lett. d), in “attività di ricovero e cura di alta specialità direttamente svolta negli ultimi tre anni, ovvero del contributo tecnico-scientifico fornito, nell’ambito di un’attività di ricerca biomedica riconosciuta a livello nazionale e internazionale, al fine di assicurare una più alta qualità dell’attività assistenziale, attestata da strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale”.
Piuttosto, si tratta di una convenzione con la quale l’amministrazione si è obbligata ad effettuare prestazioni di diverso contenuto, tese alla creazione di prodotti nuovi da riservare alla disponibilità esclusiva del privato. 
A tale fine il Policlinico ha messo a disposizione di Diasorin una specifica e composita utilità, dotata di valore economico e propria del Policlinico, consistente in un insieme di beni mobili, materiali e immateriali, quali conoscenze scientifiche e pratiche, tecnologie, laboratori, professionalità, personale, mezzi e strumenti; utilità, che nella sua variegata composizione, integra un complesso aziendale.
Prima di procedere nell’ulteriore specificazione dell’inquadramento giuridico della fattispecie, vale ricordare che il diritto interno ed eurounitario, secondo l’interpretazione della giurisprudenza amministrativa e della Corte di Giustizia UE, impone ai soggetti pubblici e, più in generale agli organismi di diritto pubblico, di attivare procedure trasparenti e non discriminatorie di selezione della controparte contrattuale ogni qual volta decidano, come nel caso di specie, di offrire un’utilità suscettibile di trasformarsi in un’occasione di guadagno per gli operatori di un certo settore.
Anche al di là dell’ambito proprio delle direttive comunitarie e del d.l.vo 2016 n. 50 che le recepisce, resta fermo che i principi eurounitari, emergenti dal Trattato e dalla giurisprudenza della Corte UE si applicano ogni qual volta un’amministrazione, intesa in senso lato, offra sul mercato un bene o un’utilità, o un complesso di beni e utilità, nella sua esclusiva disponibilità, che si traducano in un’occasione di guadagno per gli operatori economici e che, pertanto, devono essere assegnati sulla base di procedure competitive, che garantiscano la tutela della concorrenza, la parità di trattamento tra gli operatori stessi e la non discriminazione.
Più in dettaglio, va evidenziato che:
- da tempo la giurisprudenza comunitaria e nazionale ha precisato che i principi posti dal Trattato sull’Unione Europea a garanzia del buon funzionamento del mercato unico sono di applicazione generale e devono essere osservati in relazione a qualunque tipologia contrattuale tale da suscitare l’interesse concorrenziale delle imprese e dei professionisti, ancorché diversa dagli appalti di lavori, servizi e forniture, disciplinati da specifiche direttive comunitarie, come accade per le concessioni di beni pubblici di rilevanza economica, oltre che per le concessioni di servizi e gli appalti sottosoglia comunitaria (cfr. Corte di Giustizia, ordinanza 3 dicembre 2001, C-59/00; Corte di Giustizia sentenza 7 dicembre 2000, C-324; Consiglio di Stato, sez. VI, 25 gennaio 2005, n. 168; Consiglio di Stato, sez. VI, 30 gennaio 2007, n. 362; Consiglio di Stato, sez. VI, 30 settembre 2010, n. 7239; nello stesso senso la comunicazione della Commissione europea del 12 aprile 2000, pubblicata in Gazzetta ufficiale n. C 121 del 29 aprile 2000, richiamata e sviluppata da un circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento per le politiche Comunitarie n. 945 in data 1° marzo 2002);
- la pacifica circostanza che le direttive comunitarie in materia di appalti siano attuative dell’art. 81 del Trattato porta a ritenere che le norme da esse poste siano puramente applicative, con riferimento a determinati appalti, di principi generali, che, essendo sanciti in modo universale dal Trattato, sono valevoli anche per contratti e fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate e da ciò deriva l’immediata operatività dei principi anche con riferimento alle concessioni di beni di rilevanza economica;
- si tratta, in particolare, dei principi di libertà di stabilimento (art. 49 TFUE ex articolo 43 del TCE), libertà di prestazione dei servizi (art. 56 TFUE ex articolo 49 del TCE), parità di trattamento e divieto di discriminazione in base alla nazionalità (artt. 49 e 56 TFUE), trasparenza e non discriminazione (art. 106 TFUE ex articolo 86 del TCE) (cfr. in argomento Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 03 marzo 2008, n. 1);
- del resto, anche la Corte Costituzionale ha precisato che la disciplina delle procedure di gara, la regolamentazione della qualificazione e selezione dei concorrenti, delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione mirano a garantire che le medesime si svolgano nel rispetto delle regole concorrenziali e dei principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi, della libertà di stabilimento, nonché dei principi costituzionali di trasparenza e parità di trattamento; “la gara pubblica, dunque, costituisce uno strumento indispensabile per tutelare e promuovere la concorrenza” (cfr. Corte Costituzionale, 22 dicembre 2011, n. 339; in argomento già Corte Costituzionale, 18 gennaio 2008, n. 1 e Corte Costituzionale, 23 novembre 2007, n. 401);
- simili principi risultano positivizzati dall’art. 4 del d.l.vo 2016, n. 50, laddove precisa che “l’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, dei contratti attivi, esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica”.
I principi indicati trovano puntuale corrispondenza nel già citato art. 9 del d.l.vo 2003 n. 288, che, riconoscendo alle Fondazioni Irccs un’ampia capacità negoziale, anche per l’esecuzione di prestazioni diverse da quelle istituzionali in senso stretto, impone che la controparte negoziale sia individuata nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria, che comprende anche i suindicati principi del Trattato, con conseguente necessità di attivare una procedura, che consenta il confronto competitivo tra i diversi operatori del settore.
3.5) Una volta chiarito che l’accordo in questione, per il suo contenuto oggettivo, rientra nell’ambito di applicazione dei principi eurounitari in tema di evidenza pubblica, si tratta ora di definire più puntualmente l’inquadramento giuridico della fattispecie.
L’art. 2 del d.l.vo 2003 n. 288 disciplina la trasformazione degli Istituti Ircss in Fondazioni, prevedendo espressamente che con decreto del Ministero della salute, su proposta della Regione competente, gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico esistenti alla data di entrata in vigore della legge 16 gennaio 2003, n. 3, “ferma restandone la natura pubblica, possono essere trasformati in Fondazioni di rilievo nazionale aventi le finalità di cui all’articolo 1, aperte alla partecipazione di soggetti pubblici e privati e sottoposte alla vigilanza del Ministero della salute e del Ministero dell’economia e delle finanze. Gli enti trasformati assumono la denominazione di Fondazione IRCCS”.
La Corte Costituzionale ha precisato che la norma delinea un procedimento del tutto innovativo e che per di più opera con riferimento ad un nuovo tipo di soggetto giuridico (la Fondazione IRCCS di diritto pubblico), che è nella esclusiva disponibilità del legislatore statale, dal momento che corrisponde ad una nuova tipologia di persona giuridica che esige necessariamente una disciplina uniforme della sua fondamentale caratterizzazione organizzativa.
Resta fermo che la trasformazione è diretta a creare “un nuovo tipo di soggetto pubblico, caratterizzato da un rinnovato modello organizzativo destinato a soddisfare le esigenze di funzionamento a rete” (cfr. Corte Cost. 2005 n. 270; Corte Cost. 2015 n. 124).
Insomma, la trasformazione degli Irccs in Fondazioni ha innescato una privatizzazione solo formale, che consente all’ente di perseguire le proprie finalità istituzionali mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato, senza alterare, come chiarito dalla Corte, la natura propria di soggetto pubblico, chiamato a svolgere un pubblico servizio e una pubblica funzione, integrati da attività assistenziali di ricovero e cura degli infermi e da ricerca scientifica bio-medica, tanto che permane la competenza della Corte dei Conti per fatti di gestione ai sensi dell’art. 1 e 3 della L. n. 20 del 1994, poiché resta ferma la natura pubblica delle risorse finanziarie di cui l’Ente si avvale (cfr. in argomento Cassazione civile, sez. un., 22 dicembre 2003, n. 19667; Tar Lazio, sez. III, 26 novembre 2007, n. 11749; Corte Cost. 2006 n. 422).
La circostanza che le Fondazioni Irccs siano un ente pubblico ha immediati riflessi sulla disciplina dei beni di cui sono titolari, in quanto gli enti pubblici, anche non territoriali, non hanno la libera disponibilità di tutti i loro beni, che, a seconda della tipologia cui appartengono, soggiacciono a differenti regimi giuridici.
Il riferimento va all’art. 830, comma 2, c.c., ove si prevede che i beni degli enti pubblici non territoriali, che siano destinati ad un pubblico servizio, sono soggetti al regime previsto dall’art. 828, comma 2, c.c., ossia fanno parte del patrimonio indisponibile dell’Ente e, quindi, non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano.
Tale assetto trova puntuale corrispondenza nel piano di organizzazione aziendale adottato dal Policlinico, che al punto 1.4 specifica che “il patrimonio della Fondazione è costituito da beni indisponibili e patrimonio disponibile ed altre utilità trasferiti e/o conferiti alla Fondazione all’atto della sua costituzione od anche successivamente sia ai sensi dell’art. 42 della L. n. 3/2003 e dell’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 288/2003, che dai Fondatori, dai Partecipanti e da altri soggetti pubblici e privati, dai contributi attribuiti dallo Stato e da altri Enti pubblici, anche territoriali, dagli utili prodotti dall’attività svolta dagli Enti e Società costituiti e controllati dalla Fondazione nonché dai corrispettivi derivanti dallo svolgimento di proprie attività”.
La norma prosegue stabilendo, in coerenza con la pluralità di regimi giuridici cui sono sottoposti i beni della Fondazione, che, seppure l’Ente dispone del proprio patrimonio secondo il regime della proprietà privata, nondimeno “i beni mobili ed immobili utilizzati per il perseguimento dei propri fini istituzionali costituiscono patrimonio indisponibile e, pertanto, non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalla legge”.
I beni destinati al perseguimento dei fini istituzionali – fini consistenti, riassuntivamente, nelle attività assistenziali di ricovero e cura degli infermi, oltre che di ricerca scientifica bio-medica (cfr. Corte Cost. 2006 n. 422) - comprendono gli strumenti, le apparecchiature, i laboratori, i materiali impiegati, le conoscenze scientifiche, le tecnologie, le professionalità di cui l’Ente dispone e che deve riservare al raggiungimento dei suoi scopi istituzionali.
Si tratta di beni funzionalizzati al servizio pubblico istituzionalmente svolto dalla Fondazione, che, però, nel caso di specie, non vengono utilizzati per questo fine, ma per soddisfare un interesse particolare, di cui Diasorin spa è portatrice, consistente nello sviluppo e nella realizzazione di prodotti e kit di cui Diasorin stessa acquisterà la proprietà esclusiva, conservando il diritto di brevettare le invenzioni realizzate e di procedere alla relativa commercializzazione.
Certo, è possibile che i beni del patrimonio indisponibili siano destinati ad un uso particolare, coerente con la loro funzione istituzionale, ma ciò postula l’utilizzo degli strumenti previsti dalla legge ed, in particolare, la costituzione di un rapporto concessorio, caratterizzato dalla disciplina pubblicistica dei profili che attengono, tanto alla gestione dei beni e all’individuazione della loro concreta destinazione, con i relativi limiti, quanto all’individuazione della controparte in favore della quale i beni vengono messi a disposizione.
A ciò si aggiunge la disciplina convenzionale degli aspetti economici e finanziari del rapporto.
L’inquadramento della fattispecie nell’ambito del rapporto concessorio, conferma quanto già evidenziato in ordine alla necessità per la Fondazione di individuare la controparte, ossia il concessionario, mediante una procedura ad evidenza pubblica, di cui, però, non vi è traccia nel caso in esame.
In particolare, la giurisprudenza comunitaria e nazionale ha evidenziato come il principio di trasparenza, strettamente legato a quello di non discriminazione perché garantisce condizioni di concorrenza non falsate, esige che le amministrazioni concedenti rendano pubblica, con appropriati mezzi di pubblicità, la loro intenzione di assegnare una concessione di beni.
Le forme di pubblicità utilizzate dovranno contenere le informazioni necessarie affinché potenziali concessionari siano in grado di valutare il loro interesse a partecipare alla procedura, come l’indicazione dei criteri di selezione ed attribuzione, l’oggetto della concessione. 
A sua volta, il principio di parità di trattamento implica che le amministrazioni concedenti, pur essendo libere di scegliere la procedura di aggiudicazione più appropriata alle caratteristiche del settore interessato e di stabilire i requisiti che i candidati devono soddisfare durante le varie fasi della procedura, debbano poi garantire che la scelta del candidato avvenga in base a criteri obiettivi e che la procedura si svolga rispettando le regole e i requisiti inizialmente stabiliti, così da garantire l’effettiva apertura alla concorrenza del settore delle concessioni di beni, nonché il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione (cfr. Corte di Giustizia, sentenza 25 aprile 1996, causa C-87/94; Corte di Giustizia, sentenza 7 dicembre 2000, causa C-324/98 e giurisprudenza già richiamata).
Insomma, anche l’individuazione del concessionario di un bene patrimoniale indisponibile, come nel caso di specie, soggiace ai principi comunitari, sicché deve avvenire all’esito di una procedura ad evidenza pubblica, che garantisca l’apertura al mercato e il confronto competitivo tra gli operatori del settore. 
Procedura che impone la previa determinazione e pubblicazione dell’oggetto e degli elementi essenziali della concessione da affidare, compresa la relativa durata, trattandosi di un elemento decisivo ai fini della valutazione da parte dei potenziali concorrenti del loro interesse a partecipare alla gara.
I principi comunitari non possono essere elusi attraverso l’utilizzo di moduli convenzionali che, al di fuori del necessario confronto competitivo e della necessaria apertura al mercato, abbiano l’effetto di attribuire ad un operatore determinato una particolare utilità, formata da un complesso di beni sottoposto a vincolo di indisponibilità.
L’ordinamento comunitario è indifferente al nomen assegnato tanto dall’ordinamento nazionale, quanto dalle parti, alla singola fattispecie e ciò impone di applicare i principi comunitari alle concessioni di beni indisponibili di rilevanza economica, trattandosi di un modello di organizzazione e gestione del bene pubblico che comporta un’occasione di guadagno per i soggetti operanti sul mercato (cfr. in argomento Consiglio di Stato, sez. VI, 17 febbraio 2009, n. 902).
Del resto, rimanendo sul piano del diritto interno, anche l’art. 3 del r.d. 2440 del 1923, impone che l’affidamento in concessione sia preceduto da apposita gara (cfr. in tema, Consiglio di Stato, sez. VI, 13 dicembre 2011, n. 6509; Tar Lazio, sez. II, 14 settembre 2018, n. 9344; Tar Lazio, sez. II, 19 dicembre 2019, n. 14586).
Vale ribadire che, rispetto all’affidamento dei beni indisponibili, di cui si tratta, ossia per l’affidamento di un’operazione attiva e non passiva, non trovano applicazione le disposizioni dettate dal d.l.vo 2016 n. 50 in tema di concessioni di lavori e di servizi, tanto che l’art. 4 del d.l.vo cit. prevede espressamente il solo “rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica”, in coerenza con le già richiamate disposizioni del Trattato UE e dei principi elaborati dalla Corte di Giustizia UE.
Per completezza, va osservato che l’accordo si pone al centro di un rapporto che, complessivamente inteso, assume una struttura trilaterale, come è tipico di ogni concessione, coinvolgendo l’amministrazione, il soggetto privato cui viene assegnata una determinata utilità e gli utilizzatori finali, ossia coloro che acquisteranno i prodotti creati in esecuzione dell’accordo e pacificamente destinati alla vendita.
In tale contesto ed in coerenza con la struttura concessoria del rapporto, Diasorin assume il rischio dell’operazione, atteso che è tenuta a pagare un corrispettivo all’amministrazione, mentre la sua remunerazione dipende dalla misura delle vendite che riuscirà a realizzare sul mercato, in favore di acquirenti che pagheranno un prezzo, sostenendo così il costo finale dell’operazione stessa.
Sotto altro profilo e a fronte delle deduzioni difensive tese ad adombrare un difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, cui sarebbe sottratta la cognizione del rapporto e dell’accordo, in quanto non compresi nell’ambito di applicazione del codice dei contratti pubblici, il Tribunale osserva che la causa in esame appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, lett. b), cpa.
Tale disposizione stabilisce che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti canoni, indennità ed altri corrispettivi. 
La giurisprudenza precisa che l’esclusione della giurisdizione amministrativa in materia di indennità, canoni ed altri corrispettivi, non configura un’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice orinario, con la conseguenza che, per stabilire a quale giudice appartenga la giurisdizione su tale tipologia di controversie, è necessario far riferimento ai criteri generali di riparto ed accertare, quindi, se in concreto la posizione giuridica soggettiva vantata dal privato abbia consistenza di diritto soggettivo o di interesse legittimo. 
In particolare, si controverte di un diritto soggettivo solo nel caso in cui la controversia abbia un contenuto meramente patrimoniale, senza che venga in rilievo l’esercizio di poteri discrezionali della pubblica amministrazione per la tutela di interessi generali. 
Viceversa, in quest’ultima ipotesi la posizione giuridica dell’interessato ha consistenza di interesse legittimo e la giurisdizione appartiene, quindi, al giudice amministrativo.
Nella fattispecie in esame, la controversia non attiene a profili patrimoniali, ma ha ad oggetto la scelta dell’amministrazione di procedere all’affidamento, senza il previo svolgimento di una procedura ad evidenza pubblica, sicché la controversia attiene ad interessi legittimi, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo.
Del resto, tanto la determina del Direttore Generale n° 5/D.G./0277 del 23 marzo 2020, quanto l’accordo in contestazione integrano, congiuntamente, gli atti genetici e disciplinatori del particolare rapporto concessorio, la cui natura resta tale in ragione dell’oggetto e del contenuto del complesso rapporto instaurato, al di là della qualificazione in termini meramente negoziali svolta dalle parti.
Ne consegue la fondatezza delle censure con le quali si lamenta che il contratto è stato affidato in violazione dei principi interni e comunitari, a mente dei quali i rapporti di cui si tratta, ancorché attivi per l’amministrazione, devono essere affidati sulla base di una procedura coerente con i principi di trasparenza, proporzionalità, pubblicità, imparzialità, parità di trattamento che sostanziano il proprium delle procedure ad evidenza pubblica; principi del tutto disattesi nel caso di specie.
Parimenti, è fondata la seconda censura, strettamente collegata alla prima, con la quale la ricorrente lamenta l’alterazione della concorrenza.
La Fondazione San Matteo ha attribuito direttamente a Diasorin una particolare utilità, di rilevanza economica, che si traduce in un’occasione di guadagno; non solo, le utilità assegnate sono state utilizzate per la realizzazione di prodotti e kit per i quali esiste uno specifico mercato, nel quale operano sia Diasorin spa, sia Technogenetics srl.
Si tratta di prodotti del tutto innovativi, da brevettare e da commercializzare, che per essere elaborati necessitano – come evidenzia il contenuto dell’accordo impugnato – di una specifica professionalità e di conoscenze scientifiche, oltre che di una tecnologia, che fanno parte del patrimonio indisponibile della struttura pubblica.
Mediante l’accordo, il Policlinico ha consentito ad un particolare operatore economico, scelto senza il rispetto di alcuna procedura ad evidenza pubblica, ancorché non tipizzata, di conseguire un nuovo prodotto, che rimane nell’esclusiva disponibilità e commerciabilità dell’operatore stesso.
In tale contesto, Diasorin ha acquisito un illegittimo vantaggio competitivo rispetto agli operatori del medesimo settore, perché ha potuto contare in modo esclusivo sul determinante apporto di mezzi, strutture, laboratori, professionalità, tecnologie e conoscenze scientifiche messe a sua esclusiva disposizione dalla Fondazione.
Non coglie nel segno l’obiezione difensiva secondo la quale anche altri operatori avrebbero potuto concludere analoghi accordi con il Policlinico.
Si è già evidenziato, sulla base della documentazione in atti, che l’accordo non è diretto ad una mera validazione di prodotti finiti, ossia ad un’attività che il San Matteo potrebbe riprodurre in favore di altri operatori, ma alla realizzazione di kit e prodotti che sono venuti ad esistenza solo per effetto delle attività svolte dal Policlinico San Matteo in base all’accordo e dietro compenso.
Una volta creati i nuovi prodotti e conseguita la certificazione CE, il vantaggio competitivo di Diasorin si è consolidato, in quanto la società è stata in grado di brevettare, produrre e immettere sul mercato prodotti innovativi, realizzati grazie al determinante intervento della Fondazione pubblica.
L’ipotetica ripetibilità di analoghi accordi con altri soggetti non fa venir meno l’alterazione della concorrenza, che si è già verificata, illegittimamente, per effetto dell’esecuzione da parte della Fondazione delle prestazioni dedotte nell’accordo. 
In altri termini, l’operato della Fondazione ha posto Diasorin in una posizione illegittimamente privilegiata rispetto agli altri operatori del mercato in cui opera, perché le ha consentito di utilizzare risorse scientifiche e materiali, proprie del soggetto pubblico e indisponibili sul piano funzionale e giuridico, per produrre un quid novi da commercializzare.
Ciò determina una distorsione della concorrenza, in quanto l’intervento del soggetto pubblico ha consentito ad un particolare operatore di utilizzare conoscenze, esperienze e mezzi che non sono accessibili a chiunque, con conseguente determinazione di un illegittimo vantaggio competitivo.
Ne deriva la fondatezza anche della censura diretta a contestare la disparità di trattamento e l’alterazione della concorrenza nel mercato di riferimento.
3.6) La fondatezza delle censure esaminate conduce all’accoglimento delle domande di annullamento, compresa quella relativa alla caducazione del contratto, in quanto la Fondazione San Matteo e Diasorin, seppure riferendosi formalmente ad un accordo di collaborazione scientifica, hanno dato vita ad un rapporto concessorio, illegittimamente costituito, con conseguente annullamento di tutti gli atti che compongono la fattispecie genetica del rapporto stesso. 
Del resto, l’accoglimento delle doglianze esaminate, comportando l’integrale caducazione degli atti impugnati, ha portata satisfattiva degli interessi sottesi alle domande di annullamento, sicché le ulteriori censure sviluppate possono essere assorbite. 
4) Sotto altro profilo, il Tribunale osserva che, mediante l’accordo in questione e l’approvazione della proposta avanzata da Diasorin, la Fondazione San Matteo ha impegnato risorse pubbliche, materiali ed immateriali, con modalità illegittime, sottraendole, in parte qua, alla loro destinazione indisponibile.
Pertanto, deve essere disposta la trasmissione degli atti alla Procura presso la Corte dei Conti di Milano, per quanto di eventuale competenza. 
5) In definitiva, il ricorso è fondato e deve essere accolto.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo. 
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando:
1) accoglie il ricorso e per l’effetto annulla la determinazione n° 5/D.G./0277 del 23 marzo 2020 e l’accordo ad essa connesso;
2) condanna la Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo e Diasorin spa, in solido tra loro e in parti uguali, al pagamento delle spese di lite, liquidandole in euro 10.000,00 (diecimila), oltre accessori di legge;
3) dispone la trasmissione degli atti alla Procura presso la Corte dei Conti di Milano.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 13 maggio 2020 con l’intervento dei magistrati
 
Domenico Giordano, Presidente
Fabrizio Fornataro, Consigliere, Estensore
Rosanna Perilli, Referendario
 
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO DI SEGUITO RICHIESTA DI RETTIFICA DA PARTE DI DIASORIN
La presente per conto della DIASORIN S.p.A, con sede in Saluggia (VC), via Crescentino snc, in relazione all’articolo “Caso Diasorin, Il Tar dà torto alla Regione: la sentenza completa”, risultante pubblicato sul vostro sito web in data 8 giugno 2020. Si rilevano le seguenti affermazioni: “Test sierologici, il Tar ha accolto il ricorso della Technogenetics, concorrente della DiaSorin che ha stipulato il contratto con Regione e San Matteo” e “Con la sentenza 1006/2020 il Tar della Lombardia ha accolto il ricorso proposto dalla Technogenetics, la concorrente della casa farmaceutica DiaSorin che aveva stipulato un contratto con il San Matteo di Pavia e la Regione per la creazione di test sierologici certificati”. La scrivente DIASORIN S.p.A. precisa che (i) la società è un’azienda leader di mercato avente ad oggetto la ricerca, lo sviluppo e la commercializzazione mondiale di kit diagnostici, e non i prodotti farmaceutici; (ii) l’accordo oggetto della sentenza del TAR Lombardia è stato stipulato tra DIASORIN S.p.A. e la Fondazione IRCSS Policlinico San Matteo di Pavia, non risultando la Regione Lombardia tra i soggetti contraenti. Tale contratto costituisce un accordo di validazione clinica (e non la “creazione”) di un nuovo test IVD sviluppato, quale fabbricante, dalla DiaSorin S.p.A., necessaria per ottenere la certificazione CE prodromica alla sua commercializzazione. Precisiamo che tale contratto è messo a disposizione del pubblico presso il sito internet della Fondazione per pronta consultazione, in ottemperanza alla normativa vigente. L’unico rapporto intercorso con la Regione Lombardia è costituito dal provvedimento di affidamento diretto stabilito dalla medesima Regione Lombardia, in conformità al cd. Decreto Cura Italia, che non riguarda in alcun modo il contratto stipulato tra la DiaSorin S.p.A. e la Fondazione San Matteo di Pavia. Ciò posto, sono state formulate asserzioni inesatte e gravemente lesive della competenza e della reputazione della DIASORIN S.p.A. 






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