Milano
Caso Eni-Nigeria, i pm De Pasquale e Spadaro condannati a 8 mesi: "Hanno omesso prove a loro sfavorevoli"
I due pm milanesi sono accusati di aver omesso prove cruciali nel caso Eni-Nigeria, con impatti sulla giustizia e l'integrità del processo
Caso Eni-Nigeria, i pm De Pasquale e Spadaro condannati a 8 mesi: "Hanno omesso prove a loro sfavorevoli"
Il tribunale di Brescia ha emesso una condanna nei confronti dei pubblici ministeri milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro per il loro comportamento nell'inchiesta sul caso Eni-Nigeria. I due pm sono stati accusati di rifiuto di atti d'ufficio per aver omesso deliberatamente elementi a favore della difesa, utilizzando esclusivamente prove che avvantaggiavano l'accusa. La condanna ha portato a una pena di 8 mesi di reclusione, sospesa, con la non menzione, in quanto il loro comportamento è stato considerato di "particolare gravità" dal presidente della prima sezione penale, Roberto Spanò.
Le omissioni
Le motivazioni della sentenza sono particolarmente incisive, sottolineando come i due pm abbiano deliberatamente ignorato dati cruciali che avrebbero minato la loro ricostruzione accusatoria. Tra questi, l'informazione portata all'attenzione dal dottor Storari, un magistrato dello stesso ufficio, riguardante il falso complotto e la credibilità di Vincenzo Armanna, l'accusatore principale dei vertici di Eni. Nonostante gli ammonimenti ricevuti, De Pasquale e Spadaro hanno scelto di non includere questi elementi nel processo, con l'intento di rafforzare la propria tesi accusatoria, contribuendo a una distorsione del corso giuridico.
Questioni di politica e strategia organizzativa
Il tribunale ha rilevato che l'operato dei pm potrebbe essere stato influenzato da motivazioni strategiche e politiche legate all'organizzazione interna della Procura di Milano. In particolare, la condanna per corruzione internazionale legata al caso Eni-Nigeria avrebbe potuto giustificare la riorganizzazione dei dipartimenti della Procura, con il III Dipartimento, guidato da De Pasquale, che sarebbe diventato un "fiore all'occhiello" dell'ufficio. Tuttavia, i giudici hanno ribadito che la scelta discrezionale dei pm nella selezione degli elementi probatori non può sfociare in una libertà totale, ma deve rimanere entro i confini dell'obbligo di garantire un processo giusto e imparziale.