Milano

Cgil Milano: la fotografia del lavoro nella stagione del Covid 19

Nel 2019 la disoccupazione interessa 94.000 persone. Cambia il modo di lavorare, tra part time e precariato

IMPRESE-LAVORO.COM - Milano - La Cgil di Milano ha elaborato i dati relativi al mondo del lavoro nella stagione del Covid 19, per capire quali e quanti danni (per ora) ha prodotto l’emergenza sanitaria e quali tendenze ha sottolineato. “L’ultimo dato segnala nel 2019, una disoccupazione che interessa 94.000 persone, equamente distribuite tra i maschi: 47.000 e le femmine: 46.000”. Il dato complessivo parla “di 1.496.000 occupati nel 2019, contro 1.466.000 dell’anno precedente”. “Sono numeri importanti, che, sebbene non dimostrino il totale recupero dei livelli occupazionali pre – crisi, non devono indurci a trascurare le caratteristiche del sistema produttivo entro il quale sono inseriti. Prosegue l’erosione dei posti di lavoro stabili sul totale degli occupati, il ricorso al part time, soprattutto involontario, l’incremento del lavoro a chiamata. Lo scenario era già evidente alla vigilia dell’emergenza sanitaria ed era concentrato su forme di lavoro che riflettono un sistema produttivo “alla giornata”, particolarmente sensibile a sfruttare tutte le pieghe del mercato del lavoro, e dei relativi profitti, ma non altrettanto efficace ad affrontare esigenze programmate o programmabili per la soddisfazione dei bisogni primari come la salute, lʼalimentazione, il benessere, lʼambiente e i beni comuni. Questa fragilità deve farci ripensare il modello che si è andato via via affermando in esito alla crisi del decennio passato, anche per le conseguenze economiche e per i riflessi sul futuro delle dinamiche occupazionali e della qualità della vita. In seguito, sono intervenuti i provvedimenti di contrasto della diffusione virale e che hanno prodotto, sia pure attraverso diversi steps, la seguente situazione: attività consentite dal decreto del 23 marzo 2020: 511.000 unità; situazione di fatto al 16 aprile 2020: 878.000 unità; attività consentite dal decreto 26 aprile 2020: 1.217.000 unità. La differenza tra le attività consentite dalle prime diposizioni di legge con quelle che hanno effettivamente proseguito il lavoro è di circa 350.000 lavoratori, con evidenze più marcate tra i servizi, compreso il commercio e tutte le attività non manifatturiere”. Col decreto del 4 maggio “non è permesso il ritorno alla consueta attività a circa 250.000 lavoratori che fanno parte dei settori noti: bar, ristoranti, palestre, centri benessere, cinema, teatri e attività aggreganti.  Alcuni di questi, avvieranno il lavoro nel mese successivo, di altri non è dato conoscere. A queste, tuttavia, si devono aggiungere tutte quelle attività che sono rimaste chiuse nonostante fossero autorizzate a ripartire. Spiccano tra queste le attività alberghiere, le agenzie viaggi, il turismo, la mobilità internazionale, così come l’istruzione (con le scuole chiuse chi non può avvalersi di un rapporto di pubblico impiego rischia di perdere il reddito che lo sosteneva) e gran parte del settore domestico. Si tratta di capire cosa partirà quando sarà il turno dei bar, ristoranti, cinema, palestre, centro benessere ecc. Serve segnalare che non basta autorizzare l’apertura dell’attività per far ripartire il lavoro: serve una vera politica di avvio, capace di recuperare quanto perduto, non solo dal punto di vista reddituale o finanziario, ma anche sul versante sociale e che sia capace di affrontare i mutamenti intervenuti nel frattempo nel costume, nei nuovi bisogni e nelle preoccupazioni delle persone”. “Dal 4 maggio sono tornate a lavorare oltre quattro milioni e mezzo di lavoratori che si sommano ai tanti che non si sono mai fermati. Quella che per alcuni è una mezza (o finta) apertura rimane, a tutti gli effetti, il banco di prova della fase di convivenza con il Covid-19, almeno fino alla disponibilità di un vaccino sicuro e di una cura certa. Quindi ancora oggi la parola chiave del distanziamento rimane il termine che più ci accompagnerà nel futuro prossimo venturo, così come i dispositivi di protezione saranno strumenti che ci accompagneranno quotidianamente”. La Cgil di Milano – dopo un’attenta disanima dei flussi della cassa integrazione, ha formulato le risposte ai molti interrogativi che i lavoratori hanno formulato, per dare un contributo serio ad una ripresa economica necessaria a tutti.

 

 
 
 






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