Milano
Che cosa rimane dopo Albertini? Lupi, Ruggiero e il centrodestra a pezzi
di Fabio Massa
Ora il centrodestra è a pezzi. La colpa di chi è? Di Gabriele Albertini? In effetti, no. Aveva detto di no, ha ribadito il no. Ha ondeggiato, in balia del suo rovello interiore. Ma in effetti pubblicamente non ha mai fatto intendere di voler dire sì. Il massimo a cui è arrivato è stato un "ni". Dunque, si torna all'inizio. Di chi è la colpa, e in subordine: che cosa può fare adesso il centrodestra? E infine: che messaggio è questo per Milano?
La colpa è dei tre big del centrodestra. Avevano tutto il tempo di decidere. Potevano farlo l'autunno scorso, poi a Natale, poi a gennaio, febbraio, marzo, aprile. Siamo arrivati a maggio, di rinvio in rinvio, di silenzio in silenzio. Salvini ha il merito di aver proposto non uno ma due candidati sindaco. Fratelli d'Italia se ne è tirata fuori. Forza Italia è insussistente. In un anno c'era il tempo di imporre sulla scena qualunque candidato. Quanto tempo sprecato. Ma non ci si illuda: anche quattro mesi bastano, purché non perdano ancora tempo. Ci sono vittime, in questo processo. Vittime incolpevoli, come Roberto Rasia, che è stato pre-candidato e poi rottamato senza aver ricevuto altro che endorsement. Non si tratta così chi si mette a disposizione, altrimenti altri non si metteranno a disposizione la prossima volta per paura di essere trattati alla stessa maniera.
Che cosa può fare adesso il centrodestra? Maurizio Lupi? Può essere. O Riccardo Ruggiero. Altro non c'è. C'è da chiedersi se Lupi può essere sostenuto serenamente dalla Lega. Perché questo è il punto: Albertini ha detto no perché ha avvertito (anche se lui adduce solo e unicamente motivazioni personali, personalmente ci credo parzialmente) freddezza da Forza Italia. Perché mai dovrebbe ingoiarsi un candidato la Lega che è il partito di maggioranza relativa? Lupi può vincere? Sicuramente più di altri, ma sempre in uno scenario di sconfitta quasi sicura. Ruggiero non lo conosce nessuno, ma un può anche decidere di fare un turno di costruzione per creare una classe dirigente. Una logica che pare sparita dai partiti, nei quali tutti si giocano tutto in one-shot che sono sterili come il salto della quaglia.
Ultima considerazione: Milano. L'addio di Albertini non è una buona notizia per Milano e non è una buona notizia per Beppe Sala. Per nessuno dei due. Sala ha bisogno di un vero sfidante per rendere al meglio, perché senta il peso della competizione ma anche il bello della competizione. Sala in solitudine, nella noia, rende di meno. E' un fatto. Ma anche la città ha bisogno di uno scontro di eccellenze, e non di fughe solitarie in avanti. Annoiati lungo i tornanti, con il secondo che è talmente lontano che forse non è neppure ancora partito. Milano non si merita questo, non si merita di non aver la disponibilità a correre, non si merita di non aver un dibattito pubblico, non si merita tutto questo. O forse se lo merita: finché non si capirà che la cosa pubblica non è una passeggiata di prebende ma uno scontro durissimo, durissimo ma bellissimo di idee, teorie, ipotesi da verificare sul campo.
fabio.massa@affaritaliani.it