Milano
Chi era Pillitteri, il critico d’arte divenuto sindaco della Milano da bere
Se ne va con Pillitteri il ricordo di una stagione nella quale Milano è diventata quella che conosciamo oggi. Fu socialista, craxiano e, prima di tutto, profondamente ambrosiano
Chi era Pillitteri, il critico d’arte divenuto sindaco della Milano da bere
Paolo Pillitteri è morto, e con lui se ne va definitivamente il ricordo della stagione nella quale Milano è diventata la città che conosciamo oggi. Il capoluogo lombardo dà l’addio al sindaco della “Milano da Bere” anni Ottanta, l’ultimo esponente del Partito Socialista ad aver guidato la città nella fase arrembante del suo sviluppo e il penultimo, prima del “traghettatore” Giampiero Borghini cui toccò l’era del tramonto post-Tangentopoli, ad aver portato Palazzo Marino in dote alla formazione del garofano storicamente rappresentata dall’ex presidente del Consiglio Bettino Craxi. Pillitteri fu socialista, fu craxiano (nell’animo… e nel cuore: era sposato a Rosilde, sorella di Craxi) e, prima di tutto, profondamente ambrosiano.
La Milano di Pillitteri, cuore del socialismo riformista
L’ex critico cinematografico approdato alla politica nel socialismo riformista milanese permeò la politica della città su ogni fronte: Assessore alla Cultura con Aldo Aniasi sindaco, titolare dell'Edilizia e del Bilancio nella giunta di Carlo Tognoli, sindaco simbolo del connubio tra Milano e il Psi, mise mano a molte delle riforme e delle scelte che fecero del capoluogo la città di oggi. La Milano di Aniasi, Tognoli e, infine, Pillitteri, sindaco dal 1986 al 1992, sviluppò il piano regolatore, promosse la M3 e il passante nell'ottica di un legame organico tra la metropoli e le sue periferie, conobbe il boom dell'edilizia privata, dei nuovi piani regolatori fondati sull'espansione borghese di vecchie periferie industriali o quartieri ferroviari (come l'area alle spalle della Stazione Centrale) e, soprattutto, crebbe secondo un'idea di città precisa.
Una città, cioè, che sapesse liberare le vive forze dell’economia, del mercato, del dinamismo imprenditoriale restando pienamente coesa. E così all’ombra delle giunte socialiste nuovi poli di pensiero, sviluppo e riflessione divennero la Bovisa, dove si espanse il Politecnico, la Bicocca, passata da area industriale a zona universitaria, l’area dell’Ospedale San Raffaele costruito su iniziativa di Silvio Berlusconi, ovviamente Milano Due e Cologno Monzese.
La "Milano da bere"? Non uno spot ma un nuovo modello di capitalismo
La “Milano da Bere” eternata nell’era Tognoli-Pillitteri dal celebre spot dell’Amaro Ramazzotti di Marco Mignani fu spesso raccontata come città superficiale e puramente dedicata all’edonismo. Ma Pillitteri ha sempre pensato diversamente: grazie all’ascesa del Made in Italy, del design, della moda, dello stile milanese, di nuovi modelli di capitalismo imperniati sulla città ambrosiana, notava Pillitteri su Il Sussidiario nel 2010, “nell’immaginario collettivo Milano aveva riconquistato un suo spazio preciso”. Per il sindaco “la Milano del benessere dei Sessanta era ritrasmessa e incarnata nei caroselli ottimistici girati e prodotti nella città ambrosiana in una sua orgogliosa Cinecittà sul Naviglio, mentre si affermavano le tecniche del marketing più evoluto”.
"Non si trattava di una città creata da uno spot, ma viceversa", notava Pillitteri, ricordando che "dietro questa messa in scena brillante ed entusiasta, c’era la grande tradizione del lavoro e della laboriosità milanesi, mescolate con la gioia di vivere, con l’ottimismo della volontà". Quella Milano sapeva mettersi in scia con la tradizione ambrosiana di inclusione degli stimoli esterni, restando città capace di parlare al mondo restando, pienamente, meneghina. Milano divenne capitale di sviluppo, ma anche di politica e pensiero.
Pillitteri e l'orgoglio della capitale economica del Paese
Nella Milano socialista si svolsero le negoziazioni tra i leader comunitari che produssero l’Atto Unico Europeo nel 1987, il cardinale Carlo Maria Martini portava la Chiesa nelle periferie e nella lotta alle dipendenze e la criminalità, a fianco dell’edonismo andava dunque di pari passo avanti la presa di consapevolezza di sé della città. La grande corsa dall’economia industriale a quella dei servizi vide la città muoversi conscia di ciò che era, era stata e avrebbe voluto essere: la capitale di un tessuto economico, sociale e culturale che si espandeva oltre i confini del comune e con esso doveva interagire. Un dato un tempo chiaro a ogni amministratore, andatosi sempre più perdendosi mano a mano che Milano si allontanava dalla tradizione dei grandi sindaci socialisti che seppero coniugare, nella sua crescita, modernità e tradizione.