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Coronavirus, 4mila "milanesi" non pagheranno l'affitto ad aprile. L'inchiesta

L'inchiesta di Affaritaliani.it parte dai consumi elettrici e dalla raccolta rifiuti porta a porta

Coronavirus, 4mila "milanesi" non pagheranno l'affitto ad aprile. L'inchiesta

di Francesco Floris per Affaritaliani.it Milano

La città è ferma, svuotata. Chi manca all'appello? Di certo Francesca. Partita iva nel settore eventi, fiere, viaggi aziendali. Bloccata all'estero ormai da un mese in attesa di trovare con la Farnesina una soluzione (un volo) a suo carico. La vera preoccupazione? “L'affitto a Milano – dice – non riuscirò a pagare nei prossimi mesi, ho paura ad affrontare il mio proprietario di casa e sono preoccupata più per l'affitto che non dall'essere bloccata qui”.

Quando una città “perde i pezzi” – cioè le persone, gli abitanti, anche non residenti – dove lo si vede? Nelle piazze, certo. Nei parchi sigillati. Ma prima ancora nelle bollette. È così che A2A e Unareti – la prima multi-utility nel settore gas ed energia, la seconda il gestore integrato della rete – forniscono ad Affaritaliani.it Milano dei dati. Complessi da leggere che però qualcosa raccontano: i consumi elettrici giornalieri nella città di Milano hanno fatto meno 9,98 per cento nel periodo 1-24 marzo 2020, contro lo stesso arco temporale dell'anno scorso. Se si confronta il periodo post Dpcm dell'8 marzo e successiva “fuga” dal capoluogo di chi è tornato nelle case di origine, il calo è del 14 per cento “corretto” per i giorni festivi. Il paragone con febbraio, prima dell'emergenza Coronavirus, fotografa un meno 15,5 per cento. Numeri che considerano tutti i consumi, incluso terziario e commerciale. Ma – spiegano dall'ufficio stampa A2A pur con le dovute precauzioni – ciò che non viene consumato in ufficio o in negozio viene compensato in parte da maggiori consumi domestici e casalinghi. C'è un altro dato che si può guardare. La raccolta rifiuti porta a porta anno su anno, gestita da Amsa. Meno soggetta dei consumi elettrici (e ancora meno del gas) a variazioni stagionali legate a meteo e clima. Anche l'Azienda Milanese Servizi Ambientali aggrega il dato dei rifiuti condominiali e degli esercizi commerciali. La raccolta media nella prima settimana di marzo, dal 2 all'8, ha visto un calo dell'11,7 per cento. Poi a crescere. Seconda settimana: meno 17,4 per cento. Terza settimana, dal 16 al 22 marzo: meno 22,4 per cento.

Percentuali che tengono conto e riflettono l'andamento del più importante fra rifiuti dal punto di vista dell'uomo. L'organico. L'umido, come suggerisce Donato Berardi, Direttore del Laboratorio sui servizi pubblici locali di Ref Ricerche, società di ricerca e consulenza che dal 2000 affianca aziende private e istituzioni pubbliche, incluso l'Ufficio Parlamentare di Bilancio. “Il volume dell'organico è la chiave”, spiega Berardi, “perché è vero che prima del lockdown si mangiava fuori ma il dato dei residui di lavorazione sull'alimentare ci parla di consumi complessivamente minori. È una misura di teste in meno, comprensiva di turisti, di chi veniva per lavoro e dei non residenti”. E i turisti sono spariti da ben prima di metà marzo.

Ora ragioniamo: al netto di commercio e turismo (l'industria nei confini meneghini non esiste da parecchio tempo) concentriamoci solo sul residenziale-abitativo: chi ha smesso di consumare corrente e di produrre rifiuti? Chi se ne è andato dalla città. Categoria di persone che ha una caratteristica: vivono in affitto e sono non-residenti. Perché? Perché chi compra una prima casa probabilmente ci rimane in quarantena e sposta la residenza per ottenere sgravi fiscali e agevolazioni sui lavori di ristrutturazione, oltre al welfare cittadino e regionale. Parliamo quindi di chi vive a Milano senza residenza ed è rientrato dalle famiglie di origine. Il profilo che più si avvicina è quello di studenti fuori sede e lavoratori immigrati interni all'Italia. Quest'ultimi di breve periodo, con redditi medio-bassi e contratti di lavoro a termine (o lavoro nero, anche parziale). Perché se fossero lavoratori presente da anni o decenni, inquadrati a tempo indeterminato e credenziali personali-familiari per accedere a un mutuo avrebbero comprato casa. Meglio una rata da 400-500 euro al mese per un bi-trilocale, del resto, piuttosto che un affitto da 600 euro per una stanza e dei coinquilini. Sono le persone più vulnerabili ai cicli economici. Lo stesso principio per il quale non sono in grado di onorare un mutuo fa sì che non possano pagare nemmeno un affitto quando le cose si mettono male. I dati di Banca d'Italia ci mostrano infatti che a vivere in affitto sono il 37,8 per cento degli operai e il 35,3 per cento dei non occupati. Contro il 9,5 per cento dei dirigenti o il 9,2 di imprenditori e liberi professionisti che, al contrario, hanno tassi di proprietà vicini o superiori all'80 per cento. Il 38 per cento degli under 35 non vive in casa di proprietà.

Quante sono le case a Milano affittate da poco tempo a lavoratori, giovani precari e studenti? L'ultimo rapporto biennale “Gli immobili in Italia”, rilasciato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze lo scorso 31 dicembre, parla di 121.282 abitazioni di proprietà di persone fisiche locate in città. Dentro quella “massa” l'Osservatorio sul Mercato Immobiliare dell'Agenzia delle Entrate (Omi) individua nel 2018 il nuovo mercato transitorio ordinario, quello prediletto per questa categoria di persone, fatto di periodi brevi e turn over: 9.591 abitazioni con contratti da 1 a 3 anni. Per un canone complessivo di 87 milioni di euro contro i 358 milioni del mercato ordinario di lungo periodo. È lì che si annida il calo delle utenze e della raccolta rifiuti. Perché è lì che abitano lavoratori di breve periodo e studenti. Gli universitari in realtà hanno diritto a un contratto a canone agevolato in quasi 800 comuni italiani ad “alta tensione abitativa”, fra cui Milano, ma la norma è largamente non utilizzata e ignorata: 587 contratti nel 2018.

In quei 9.591 appartamenti vivono single, coppie, coinquilini di fuori sede e stando bassi possiamo ipotizzare una media di due persone ad appartamento. 19Mila inquilini del mercato milanese che dall'8 marzo hanno fatto meno 15,5 per cento di consumi energetici e meno 22 per cento di rifiuti nella terza settimana di marzo. Che tradotto in “teste”, per dirla con Berardi, significa 3.800 persone “volatilizzate”. Numeri che sono storie e che Affaritaliani.it Milano sta raccogliendo da settimane: Serena, biotecnologa, scesa in Campania il 20 di febbraio per vicende slegate al Covid-19. È rimasta bloccata al sud. “Primo mese che non ci sono e ho pagato l'affitto per intero. Ma se questa situazione va avanti fino a luglio? Vedo molte persone dire a chi è scappato che ora è giusto continuare a pagare, ma le situazioni non sono tutte uguali”.

C'è chi si attrezza spontaneamente: una grande proprietà personale in periferia a Baggio con sedici unità abitative affittate a lavoratori delle pulizie e muratori ha già pensato a uno sconto del 50 per cento sul canone a tutti coloro che sono in regola con i pagamenti. “Chi ci ha permesso di prendere la pensione in questi anni ed è sempre stato corretto con noi deve essere premiato in questo momento difficile per tutti” fanno sapere attraverso il proprio avvocato. Più difficile prendere queste scelte per chi ha una o due case in affitto, che conta sul dinamismo di Milano, e le ha ereditate o comprate con mutui per metterle a rendita. Mutui su seconde o terze case, per i quali il decreto “Cura Italia” non prevede l'accesso al Fondo di solidarietà per la sospensione del pagamento delle rate. Quanti hanno, o per meglio dire non hanno più, in casa una di quelle 3.800 “teste” che ad ad aprile, al più tardi a maggio, non potranno pagare per mancanza di reddito? O non vorranno farlo per appartamenti e stanze in cui non vivono? O pagheranno solo una quota del canone standard?

Tutti i portatori di interesse nel settore immobiliare si muovono di fronte alla mareggiata: associazioni dei proprietari, sindacati, reti studentesche. La politica prova a mediare, in vista di nuovi decreti ad aprile. C'è già chi da Bologna a Napoli lancia “Rent Strike”, scioperi degli affitti, perché per ora sono rimasti esclusi dagli interventi del Governo Conte-bis. Eccetto per il blocco delle esecuzioni degli sfratti fino al 30 giugno. Che però riguarda casi precedenti all'emergenza e serve a non mettere in strada famiglie in una fase in cui è impossibile gestire il passaggio da “casa a casa” o i residence e centri per l'emergenza abitativa convenzionati con Comuni e Regioni. Più utili invece per isolare i pazienti Covid positivi o per ospitare il personale sanitario.

Nemmeno a dirlo, l'oggetto del desiderio sono soldi pubblici per tamponare la situazione. Il senatore Franco Mirabelli (Pd) propone di raddoppiare la dotazione del Fondo di sostegno affitti istituito in Finanziaria. Da 50 a 100 milioni di euro. Per il segretario nazionale del Sunia-Cgil, il lombardo Stefano Chiappelli, servono “almeno 300 milioni”. Ma anche “procedure snelle e veloci nella erogazione di questi contributi, perché se si usa la normativa precedente quei soldi non verranno mai spesi”. È vero. Per accedere alla cosiddetta “morosità incolpevole”, ad esempio, l'elemento chiave è avere uno sfratto in corso, mentre quelle attuali sono storie diverse. “I soldi per la morosità incolpevole non vengono spesi perché prevedono che il locatore rifaccia il contratto di affitto a condizioni diverse da quelle precedenti. Non accade mai” spiega il segretario lombardo del Sicet-Cisl, Leo Spinelli, commentando i 30 milioni di euro appena deliberati da Regione Lombardia e ripartiti ai comuni. “Non c'entrano nulla con l'emergenza sanitaria” dice, perché la metà sono i fondi standard 2020-2021 e la parte restante sono quelli avanzati dal 2014 al 2018. Mai spesi per questo motivo, è la posizione del Sicet.

Le proposte della sigla inquilini della Cgil invece puntano proprio sulla “rinegoziazione dei contratti passando dal canale a libero mercato a quello concordato”. A Milano è più basso fino al 20-30 per cento a seconda delle zone. L'altra freccia su cui scommette il Sunia sono forme di “autocertificazione” per accedere ai contributi affitti, come in Germania. D'accordo Massimo Pasquini, il leader dell'Unione Inquilini, sigla che messo a disposizione un modulo molto scaricato in queste settimane per chiedere diminuzioni “a causa della diffusione del Covid-19 e delle conseguenze sull'economia”. Su 3,2 milioni di inquilini in affitto in Italia, Unione Inquilini stima 200mila nuclei a rischio morosità, in una nota congiunta con Link Coordinamento Universitario, Rete della Conoscenza, Pensare Urbano. Da sommarsi alle 55-60mila nuove sentenze di sfratto che ogni anno vengono emesse dai tribunali, di cui il 90 per cento morosità.

Hanno scritto anche al Presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa. Perché, come dichiara il segretario nazionale, “Noi abbiamo un problema per gli inquilini e loro ne hanno uno con i proprietari”. Ad Affaritaliani.it Milano Pasquini dice: “Il contributo deve essere straordinario, legato al Covid-19, con domanda telematica e erogazione su Iban del proprietario, con dichiarazione congiunta fra inquilino e proprietà”. Il primo deve spiegare la situazione lavorativa. Le seconde il mancato versamento dell'affitto. Rischio truffe? “L'Inps sa e può verificare le aziende che hanno chiesto cassa integrazione, il fondo di integrazione salariale o i disoccupati, anche con i nominativi personali”. La proposta prevede sanzioni per le false dichiarazioni e di “escludere chi già percepisce il reddito di cittadinanza”. Più scettica la Cisl fra i sindacati: “Le autocertificazioni non possono essere fatte da inquilini e proprietari insieme perché devono attestare situazioni diverse – dice Leo Spinelli – e il paragone con la Germania è improprio perché parliamo di un Paese dove il 40 per cento delle persone vive in affitto”. “Il nostro problema – chiude il segretario lombardo del Sicet – non può essere ristorare i proprietari che perdono l'affitto e che non hanno le code di inquilini come era prima a Milano, sopratutto se lo affittavano in maniera illegittima. Bisogna concentrarsi sulla sospensione dei pagamenti per le famiglie che vanno in difficoltà e su cui è possibile verificare le condizioni e l'efficacia delle misure”.







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