Milano
D'Alfonso: "La nostra provocazione riformista per tornare alla vera politica"
Franco D'Alfonso, tra gli ideatori della lista dei Riformisti per Sala, racconta un progetto che è soprattutto un metodo. Con ambizioni nazionali ed europee
D'Alfonso: "La nostra provocazione riformista per tornare alla vera politica"
E' stato definito l'inventore degli Arancioni che dieci anni fa furono decisivi per la storica vittoria di Giuliano Pisapia. Prima, un passato come manager, anche in Fininvest e Mediaset. Dopo, l'elaborazione di una nuova formula di Alleanza Civica per superare l'esperienza ibrida della lista Sala. Ora Franco D'Alfonso è tra gli artefici di una creazione forse ancora più particolare nel panorama politico e nazionale: la lista dei Riformisti a sostegno di Giuseppe Sala. Che mette insieme, tra gli altri, proprio i suoi Civici con Italia Viva, Azione, +Europa. Il 65enne ex assessore al Commercio non figura in lista ma nel progetto è ben riconoscibile l'impronta delle sue idee e della sua visione, spesso controcorrente e anticonformista. Tutto nato, spiega, da quella che fu una sua "provocazione brutale". Per un percorso che, dopo il 4 ottobre, mira a "contribuire ad un disegno nazionale o persino europeo". L'INTERVISTA
I Civici, Italia Viva e Azione costituiscono il nucleo dei Riformisti per Milano: come nasce questa "fusione a freddo"?
La lista nasce da una tavola rotonda in occasione di quello che avevamo battezzato il "non congresso" di Alleanza civica a fine gennaio. C'erano, tra gli altri Claudio Martelli, Benedetto Della Vedova, Ettore Rosato. Posi loro una provocazione brutale, chiedendo se non fossero stanchi di continuare a fare la collezione di francobolli. Le risposte, devo dire, inizialmente non furono positive. Il nostro resta effettivamente un tentativo ardito. Noi Civici abbiamo la caratteristica di essere molto radicati sul territorio. Italia Viva e Azione nascono da ambizioni nazionali, con progetti top down che vedono in Matteo Renzi e Carlo Calenda i propri deus ex machina.
Eppure, il seme di quella provocazione ha attecchito
Io credo in una ripartenza che si basa su una tesi: con Mario Draghi stiamo assistendo ad un commissariamento romano, non tanto della politica in sè, ma del sistema politico. Circostanza che può diventare l'occasione per sfruttare questo periodo operando una riorganizzazione sistemica. A partire dalla comunità di base. La nostra esperienza va in questo senso, seguendo un percorso che era insito già ai tempi di Pisapia. Il metodo è il medesimo. Abbiamo iniziato a lavorarci attorno con singole personalità come quella di Sergio Scalpelli. E poi altri si sono convinti a partecipare e così è nata la lista. Con una risposta forte anche da parte delle associazioni civiche.
Persone, storie, esperienze e visioni diverse: come si riesce a farle stare insieme?
Ad oggi siamo un rassemblement, con un minimo comune multiplo che può diventare un... massimo comun divisore. E invece dobbiamo esaltare quella che è la nostra unitarietà. Dove la dobbiamo ricercare? Negli aspetti pragmatici delle scelte sulle cose da fare in comune. Ritrovando una maggiore autorevolezza della politica, perchè oggi il sindaco è - politicamente parlando - un uomo solo al comando. E sia chiaro: va anche bene così perchè i milanesi vogliono un sindaco che faccia il sindaco. Ma la politica deve recuperare la propria voce. E anche il consiglio comunale deve saper incidere di più. Il sindaco comporrà la Giunta secondo i propri orientamenti ed è giustamente una sua responsabilità. Ma poi in consiglio servono persone che si sentano rappresentanti di una lista politica e non come passeggeri su un tram.
In una recente intervista al Corriere ha fissato il 7% come asticella per definire "buono" il risultato dei Riformisti alle prossime elezioni. Al di là dei numeri, come valuterà se il progetto avrà avuto successo?
Il nostro progetto avrà successo se sapremo porci come eredi delle tradizioni socialiste, cattoliche e socialdemocratiche riformiste, all'interno di un rinnovato sistema. Dovranno per questo riuscire a verificarsi tre condizioni.
Quali?
La prima: serve un approccio diverso. Oggi siamo governati dai ragionieri, ci vuole qualcuno che invece sappia sostenere Sala nell'affermare il primato della politica sulla burocrazia. Ad esempio nel supporto alle iniziative che nascono dal tessuto sociale. Pensiamo alle associazioni sportive. A come oggi per ottenere dal Comune strutture e terreni, per vie delle norme attuali e delle loro interpretazioni, si debba passare sempre attraverso bandi come si trattasse di qualcosa che deve essere messo a reddito. Vige, forse anche a causa di una politica indebolita e che ha perso autorevolezza, una interpretazione ragionieristica che pone ostacoli. La politica, invece deve poter contare.
Condizione numero due?
Servono figure in grado di sostenere il sindaco nel buttare il cuore oltre l'ostacolo. Prendiamo la sanità: oggi il sindaco ha tutte le responsabilità ma nessun reale potere perchè fa tutto capo a Regione. E tuttavia in quest'anno e mezzo di pandemia diverse sono state le iniziative prese dal sindaco extra legem. Anche in questo caso è una questione di autorevolezza. Non servono amministratori che firmano carte, ma persone in grado di lanciare idee.
Ultimo requisito?
Occorre recuperare la grande tradizione del municipalismo milanese nella gestione delle aziende pubbliche, rilanciandole e dando loro un vero ruolo. La privatizzazione dei servizi pubblici non funziona, proprio da un punto di vista concettuale. Serve invece una visione politica dentro la quale le municipalizzate, a gestione pubblica e con l'apporto pubblico, si aprano alla partecipazione dei privati. E il momento è cruciale, nel mezzo della transizione ecologica e con un fiume di denaro in arrivo tramite il Pnrr: serve una regia pubblica di indirizzo e le municipalizzate sono strumenti assai funzionali in questo senso. Servono persone che sappiano attuare un pragmatismo saldo nei propri principi e con la forza politica e morale necessaria per intraprendere strade nuove. Lo deve essere il sindaco, certo, ma con il sostegno di personale politico dotato di un fondamentale pensiero riformista.
Con tutte le cautele del caso, tutti i recenti sondaggi delineano scenari positivi per la coalizione a sostegno di Sala. Una parte di elettorato tradizionalmente di centrodestra sembra forse non aver trovato ancora sintonia con la proposta di Luca Bernardo e della sua squadra. Può la lista dei Riformisti rappresentare una alternativa da valutare per questi "scontenti"?
Il centrodestra sta dando di sè uno spettacolo desolante e questa è la conseguenza di una opposizione che in questi anni non ha mai amministrato nulla, con poche idee ma confuse. Ma quella parte di Milano non è tutta così e ha bisogno di rappresentanza, di orecchie che sappiano ascoltare e valutare le loro proposte. Purtroppo in questi cinque anni mai si è potuto dialogare con queste forze, impegnate piuttosto a fare ostruzionismo in aula con milioni di emendamenti. Ma crediamo che rispetto ai loro elettori e simpatizzanti, pur nella distinzione delle convinzioni, noi possiamo essere i più sensibili ad un confronto. Detto questo, non nascondo che anche tra le nostre fila non mancano i 'kabulisti'. Anche se per ora si tengono più defilati...
Guardiamo dopo il 4 ottobre: i Riformisti vogliono dire la propria anche fuori da Milano?
C'è già oggi una rete molto ampia territorialmente, specie in Lombardia, in Liguria, a Torino. Una rete che non è un partito ma una connessione di terminali che si scambiano esperienze. Il Civismo si coltiva per così dire nel giardino di casa, ma abbiamo l'ambizione di contribuire ad un disegno nazionale o persino europeo.
Con Milano come progetto pilota?
Qui a Milano siamo in prima linea con ottimi candidati. E ottime candidate: in ognuno dei Municipi presentiamo delle donne capolista. E non sono figurine. Anche la maggioranza dei nostri gruppi è composta da donne. Si tratta di una novità, ma del resto quando c'è stata una spinta al rinnovamento è sempre stato grazie alle donne.
Ma il 'riformismo' alla fine cos'è?
Perchè 'riformismo' non sia una parola vuota, deve diventare un metodo: ci si confronta, si discute e arriviamo a una soluzione concreta. Deve essere così, per fare un esempio concreto, anche sullo stadio, uscendo dall'impasse di una legge che non porta da nessuna parte. Se non saremo stati capaci di cambiare le cose, saremo stati conservatori e non riformisti. Ed uno dei modi in cui si manifesta il conservatorismo è quello di presentare soluzioni come uova di Colombo. E' un rischio che corrono spesso, in particolare, le esperienze politiche più giovani. Ma l'ombrello è già stato inventato. Un giorno magari qualcuno inventerà un sistema per deviare al nostro passaggio le gocce d'acqua. Ma sino ad allora sarà bene impegnarsi a sistemare le stecche che si sono rotte e usare l'ombrello. Perchè fuori, intanto, ha già iniziato a piovere.
D'Alfonso cosa farà invece dopo il 4 ottobre?
Quello che ho sempre fatto. Politica. Penso di potermi dedicare ad un ruolo nell'organizzazione del dibattito sul pensiero politico e nella formazione di una classe dirigente di cui c'è necessità e di cui oggi non disponiamo ancora. Quando nel 2011 vinse Pisapia, c'era un vuoto nella classe dirigente a centrosinistra e Giuliano genialmente allestì un mix tra figure già formate professionalmente - e che ambrosianamente vollero restituire qualcosa di ciò che avevano avuto dalla città di Milano - e un certo numero di giovani del Pd. E ha inventato così una classe dirigente. Ma è un processo che non può essere replicato all'infinito. Le scuole di partito non esistono più, ma possono essere pensate delle iniziative per costruire esperienza e fornire informazioni ai giovani, in modo che quando sarà il loro momento non siano degli absolute beginner. Detto questo, non sono uno che alla prossima battaglia si tirerebbe indietro...