Milano

Domenico Pellicanò, autentico Maestro dell’arte contemporanea

Gianpiero Rabuffi

Il neoumanesimo di un artista dal linguaggio antico ed attualissmo, che con le proprie opere insegue l’utopica rappresentazione dell’Idea

Domenico Pellicanò, autentico maestro dell’arte contemporanea

Con sempre maggiore frequenza, nel dibattito culturale degli ultimi anni si sente parlare di neoumanesimo. Un concetto dai contorni ancora aperti, un termine con il quale si cerca di interpretare quello che si ritiene sia un cambiamento di paradigma profondo e irreversibile, provocato dalla rivoluzione tecnologica e digitale, e che investe pressoché tutti gli aspetti del nostro vivere. Non è solo una modifica sostanziale nella quotidianità delle piccole pratiche, consuetudini, abitudini di ogni giorno, ma una cesura netta con il passato anche recente, che impone nuovi scenari e richiede nuovi schemi interpretativi in ogni campo della conoscenza. L’Uomo di nuovo al centro di tutto. Ma è un Uomo cablato, digitalizzato, connesso alla rete. Un Uomo la cui esperienza ha quindi valore solo in quanto diffusa e condivisa. Di neoumanesimo riteniamo di poter parlare anche per descrivere l’opera di Domenico Pellicanò, autentico Maestro dell’arte italiana contemporanea che da tempi non sospetti – la sua attività prende le mosse infatti già alla fine degli anni Settanta -, pone l’Uomo al centro di tutto. Siamo quindi di fronte ad un neoumanesimo di natura completamente diversa, per genesi, motivi, sviluppi ed interessi. Eppure, proprio in questo scarto, in questa alterità, in questa occasione di offrire l’esempio di una possibile narrazione alternativa, risiede oggi la peculiare ed assoluta attualità di questo artista animato da uno spirito antico ma pienamente consapevole del contemporaneo

20190507 124514Danza di Salomè, 2002
 

20190507 124527Il fuoco, 2002
 

Nato nel 1952 a Reggio Calabria, dopo aver frequentato le botteghe degli artisti ed artigiani locali ed il liceo artistico della sua città, Pellicanò è giunto a Milano, dove ha intrapreso gli studi scultura all’Accademia di Brera sotto l’egida di maestri quali Ballo, Alik Cavaliere, Purificato, De Grada. Conseguito con profitto il diploma,  un po’ come un tempo avveniva con i Grand Tour intrapresi dai giovani delle migliori famiglie per completare la propria formazione culturale, l’artista ha intrapreso un lungo viaggio a tappe attraverso numerosi Paesi europei, decisivo per ampliare ed arricchire il proprio bagaglio di conoscenze frequentando  le botteghe ed i laboratori, le piazze ed i palazzi di Spagna, Inghilterra, Svizzera, Francia, conoscendo gli artisti, visitando luoghi, musei ed esposizioni. Ma è l’ultima meta a rivelarsi fondamentale: la Grecia di Fidia e Prassitele, ma anche di Platone, Socrate, Eraclito. Tornato in Italia, elegge Milano come propria città e sede del proprio studio. E avvia una carriera artistica e professionale ancora oggi in pieno fermento, contrassegnata da molteplici riconoscimenti, prestigiose affermazioni a concorsi e manifestazioni, una regolare e intensa attività espositiva nazionale ed internazionale e un interesse di critica costante, che si traduce anche nella pubblicazione di numerose monografie dedicate alla sua opera ed ai suoi sviluppi. Ed è di recente costituzione anche l’archivio generale dell'opera del Maestro. E del resto la sua felice poliedricità richiede una cronaca puntuale e in costante aggiornamento: Pellicanò è infatti artista a tutto tondo, che non abbandona la scultura ma che si confronta con eguale impegno e invariata fortuna degli esiti anche con la pittura, il disegno e la grafica.

20190507 124552Corpo nello spazio, 2002
 

20190507 124600Vestale, 2002
 

Con qualsiasi medium scelga di esprimersi, la sua opera appare tuttavia immediatamente riconoscibile anche all’osservatore estemporaneo. E nella originalità ed evidenza del suo linguaggio c’è il primo inequivocabile segnale della grandezza della dimensione espressiva da lui raggiunta. Le radici sono chiare: le sue composizioni sono illuminate dal medesimo Logos dei fregi del Partenone, dominate dalle stessa ieratica compostezza e semplificazione formale delle decorazioni arcaiche e preclassiche. Una vocazione filtrata attraverso lezioni molto più recenti che, restando al Ventesimo secolo italiano, ci porterebbero almeno a menzionare Modigliani, Sironi, Wildt. Ma nelle opere di Pellicanò linea e colore ripropongono ogni volta l’eterna dialettica  tra apollineo e dionisiaco, riportata a logiche di sintesi sublime. L’essenzialità di mezzi utilizzati dall’artista per risolvere un dipinto è uno dei fattori che maggiormente restano impressi e destano sensazione. E’ evidente infatti che si tratti del distillato che giunge solo al termine di un processo intellettuale e creativo di mirabile profondità, che porta a ricercare ed individuare quei segni e quei cromatismi realmente sostanziali e necessari eliminando ogni rumore di fondo, ogni orpello, ogni decorativismo.

20190507 125050Domenico Pellicanò
 

Pellicanò vede l’arte come intermediaria, come mezzo e non come fine. E’ in quella schiera di maestri che rifuggono il sensazionalismo perché troppo alta è la reputazione che hanno di ciò che l’arte dovrebbe essere chiamata a significare. E’ uno di coloro che ancora vogliono affidare alla propria opera il tentativo di rappresentare un mistero. Non disvelarlo, ma almeno richiamare con forza alla sua presenza. “Il signore, il cui oracolo è a Delfi, non dice né nasconde, ma indica”: così recita uno dei frammenti di Eraclito. E le parole del filosofo di Efeso ci paiono appropriate per illustrare la missione dell’artista Pellicanò. E torniamo così al principio del nostro ragionamento: al centro del mistero non può che esserci l’Uomo. La figura umana che è assoluta protagonista nell’opera del reggino.

20190507 124723L'uscita, 2004
 

E non deve sorprendere a questo punto che spesso l’artista ricorra a immagini e personaggi tratti dal Mito nelle proprie opere. Il suo neoumanesimo è infatti consapevolezza delle radici della nostra cultura e del nostro pensiero. Ma anche esternazione di una verità: le storie  le leggende di eroi e divinità dell’antichità non hanno esaurito la loro capacità di essere significative e rilevanti per l’uomo contemporaneo. Perché oggi come allora le loro vicende hanno la forza trascendentale del simbolo. L’hybris dei condottieri omerici che offende gli Dei, il folle volo di Dedalo per sfuggire dal labirinto, il tragico destino di Cassandra e delle sue inascoltate profezie, la sfida del titano ribelle Prometeo che vuole donare il fuoco agli uomini. E’ con davvero poco sforzo che potremmo traslarle e riattualizzarle in contesti contemporanei. Ed è quanto di fatto a ben vedere costantemente continua ad avvenire nelle fucine di racconti ed immagini dell’industria culturale del Ventunesimo secolo. L’interesse di Pellicanò è naturalmente meno didascalico e narrativo e, potremmo dire, più filosofico ed esistenzialista. Più obliquo, ampio e problematico. Soprattutto, evita facili soluzioni, non impone soluzioni semplicistiche o consolatorie conclusioni. Il mistero resta tale, la breccia aperta.

20190507 124741Il pianto di Gigi, 2004
 

L’indagine dell’umano da parte dell’artista si nutre di numerosi altri stimoli. Menzioniamo qui uno dei più rilevanti e suggestivi nella produzione di Pellicanò, che è quello offerto dal mondo del circo. La tensione che anima saltimbanchi, domatori, trapeziste, pagliacci è del resto in fondo la stessa degli eroi del Mito: il tendone e la pedana come rappresentazione del mondo, la performance travisati da costumi, maschere e paillettes davanti al pubblico come metafora della condizione umana, il nomadismo e la mancanza di radici e legami al di fuori della cerchia dei propri compagni di ventura come destino. Ed il parallelismo è stato eloquentemente evidenziato già da Baudelaire, che ha parlato di “vertigine dell’iperbole” davanti a prestigiatori “splendenti come dei” o a ballerine “belle come fate o principesse”. Personaggi sui quali tuttavia incombe il medesimo tragico destino del clown Fancioulle, stroncato al termine della performance perfetta, a un passo dal Sublime.

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E’ questo il senso della parabola umana concessa ad ognuno di noi in questa vita? L’artista, come detto, non è oracolo ma tuttalpiù aruspice. Cerca indizi e ce li offre. Ed offre il suo stesso esempio, rappresentato dalle proprie opere. La produzione di Pellicanò racconta di una ricerca costante, di una tensione che non si allenta. Il motivo dominante sul piano formale, lo abbiamo visto, è dato dal perseguimento di una sintesi sempre più efficace di forma e materia, un nobile e struggente anelito, la recherche di una purezza assoluta forse irraggiungibile. Ma che certo ha portato l’artista molto lontano. Può esistere un figurativismo che tende all’astratto? L’opera di Pellicanò, nei suoi esiti più radicali, suggerisce il paradossale quesito. L’urgenza dell’essenzialità conduce a una tale rarefazione del segno da liberarlo quasi completamente di ciò che lo rende anche figura, del retaggio del corpo e della materia. Eppure il soggetto resta presente, concreto e centrale. L’eccezionalità di tale suggestivo processo creativo ed espressivo ci porta nuovamente alla Grecia. Ed in particolare al pensiero platonico sull’Idea, l’unica forma pura che funge da archetipo per tutte le sue diverse e particolari manifestazioni nel regno delle cose.  L’Idea è stabile e immutabile, non succube del divenire. Non è visibile agli occhi. Ma avvicinarsi ad essa ed alla sua (im)possibile rappresentazione pare essere la magnifica utopia inseguita dal neoumanista Pellicanò.

20190507 125140Giocolieri, 2004
 







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