Dopo il referendum, rimane aperta la questione Lega Nord
di Fabio Massa
Maroni supererà la soglia del 35 per cento. Nettamente, senza incertezze. Ma la battaglia deve ancora cominciare. Quella più difficile, quella interna, con Matteo Salvini. Lui, il leader della Lega Nord, è stato avvistato alla grande cena di gala di Bergamo, 2200 posti a sedere, nervosissimo. E' rimasto poco, a fianco del governatore lombardo. E la freddezza è risultata palpabile. Altra scena, altra giornata. Maroni spiega di essere stato da Berlusconi e di averlo ascoltato parlare per un'ora e 20 minuti. Berlusconi spiega di aver già scritto il programma e di essere fiducioso per un accordo con Matteo Salvini. Salvini, all'inaugurazione di Host, in Fiera Milano, spara a zero: "Non devo chiedere il permesso a Berlusconi per fare il premier". Alla domanda che gli viene rivolta dai giornalisti, perché è stato così poco presente in Lombardia per il referendum, allarga le braccia: "Più di quello che ho fatto, sono sempre stato tra Veneto e Lombardia". Ma la domanda ha un suo significato, al di là della risposta. Maroni, superando l'asticella, si rafforza nella Lega Nord. Certo, il Veneto vola. Ma Maroni punta sul numero assoluto dei voti. E cercherà di farlo valere anche nel complicato rapporto con il segretario federale. E Bossi? Il vecchio Bossi spara, mentre va a votare: "I referendum non sono inutili". Però poi aggiunge, al curaro: "L'autonomia blocca l'indipendenza". Roberto Bernardelli, quello del tanko e fondatore del partito verso cui Bossi è tanto tentato di entrare, spara all'obiettivo grosso: "La scarsa affluenza al referendum lombardo non è un dato contro l'autonomia, ma è semmai una responsabilità precisa del governatore Roberto Maroni. A differenza che in Veneto, la partecipazione è molto al di sotto delle aspettative. Quella che poteva e doveva essere un'occasione storica per la Lombardia è stata organizzata alla fine di un mandato inconcludente". Pare di sentir parlare il Partito Democratico.
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