Elogio della milanesità: quali sono i tratti tipici dei Milanesi
Ecco le ragioni socio-culturali alla base del dinamismo e della spinta morale della città
Dopo tanto parlare di “Milano capitale morale d’Italia” (quale modo migliore per rendersi antipatici agli occhi degli altri) proviamo a parlare di milanesità, non in chiave autocelebrativa, ma per comprendere le ragioni socio-culturali alla base del dinamismo e della spinta morale della città, ovvero il software di Milano. Quindi, quali sono gli ingredienti tipici della milanesità? Almeno sette:
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Appartenenza e inclusione. Non è considerato milanese chi è nato a Milano, ma chi ci vive e vuole realizzarsi. La provenienza, tantomeno saper parlare il dialetto milanese, non sono dei requisiti. Infatti, i campioni della milanesità sono quasi tutti personaggi nati in altre città, ma che fecero fortuna a Milano: Sant’Ambrogio (germanico), Leonardo da Vinci, Josef Radetzky (ebbene sì, anche lui è stato un grande milanese), Giuseppe Verdi, Anna Kuliscioff (russa), Umberto Boccioni, Giorgio Strehler, Indro Montanelli.
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Orientamento al fare (insieme ad altri). Milano pullula di associazioni. Chiunque voglia integrarsi nella vita milanese può aderire ad un’associazione per fare qualcosa. Dal ballo al volontariato, dal teatro alla politica. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Un vecchio detto milanese recita: “metà parer (= consigli) metà danè”, che significa: dedico metà del mio tempo a far soldi, cioè a mantenermi, e l’altra metà alla vita pubblica o a iniziative sociali. Questo è il vero genius loci di Milano.
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Mobilità (detta anche irrequietezza). I milanesi sono sempre in viaggio, come se scappassero dalla città. Tutti i weekend invernali a sciare e quelli estivi in spiaggia o in barca a vela. Milano ha il maggior numero di patenti nautiche d’Italia; una città di skipper senza avere il mare. E’ come se Milano non fosse una città, bensì una pista di partenza e d’atterraggio. Però, questo andare in giro moltiplica le occasioni di incontro, aiuta a raccogliere spunti dalle altre parti del mondo e ad annusare lo spirito dei tempi.
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Curiosità e ansia di emulazione. Lo sport preferito dei milanesi è confrontare la propria città con le altre, alla ricerca di cose negative da biasimare e cose buone da copiare: servizi più efficienti, iniziative culturali. Tutto nasce da un complesso profondo di inadeguatezza della città. Forse un lascito del Giansenismo: la tensione continua verso un’irraggiungibile livello di perfezione morale. Sta di fatto che appena arriva una moda nuova in città, attecchisce rapidamente. Dal tango argentino al car sharing.
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Senso delle possibilità illimitate. A Milano tutto è possibile, se ci si organizza bene e si trovano i partner giusti. Le risorse (e le spinte) salteranno fuori, prima o poi. Questa città non aveva il mare e si è inventata i Navigli, che ancora negli anni ’20 del novecento scaricavano più merci del porto di Bari. Lo spirito rinascimentale non ha mai abbandonato la città, nel senso della fiducia nel potere della ragione umana sulla cattiva sorte: “tiene giogo la fortuna solo a chi, sé gli sottomette” (Leon Battista Alberti).
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Coesione sociale e decoro. Lo abbiamo saputo qualche mese dopo: le foto della pulizia dei muri da parte delle famiglie milanesi, dopo il vandalismo dei ragazzacci no-Expo, sono state ammirate in tutto il mondo. Giornali e social network hanno divulgato l’immagine di una città dignitosa e socialmente coesa. Cittadini normali che curavano la strada come fosse casa loro. Forse è il buon esempio dato dalle portinaie di Milano, la più civile e meno raccontata istituzione milanese, che spazzano ogni giorno la strada di fronte al portone del loro palazzo. Quando eravamo studenti c’era la gara annuale ad entrare negli spalatori di neve volontari del Comune. Avere il tesserino era un vanto tra i compagni di classe.
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Eleganza quotidiana. A Milano vestirsi bene (o decentemente) è un valore. Ce lo dicono tutti gli amici stranieri in visita, che rimangono colpiti da come la gente è vestita tutti i giorni. Non è così dappertutto. In altri Paesi ci vuole un’occasione speciale per mettersi una giacca o una gonna. In alcune città, per esempio a Berlino, vestirsi troppo bene è addirittura visto male. Il successo della moda a Milano non è un caso. Non bastano eventi bene organizzati, marketing e comunicazione. Sono gli stessi milanesi che propagano l’immagine chic della città.
Quando a Roma mi chiedono, con sospetto, se sono milanese, rispondo “nessuno è perfetto”. E una risata liberatoria disinnesca i pregiudizi. In verità, mancano molte cose ai milanesi. Per esempio, la pazienza e l’arte della lentezza. Il ritmo di vita frenetico di Milano non aiuta ad essere felici, come racconta in modo ironico il blog “il Milanese imbruttito”. Ma soprattutto manca l’orgoglio di Milano. Proprio così: il milanese medio non ama la sua città e fa fatica a farle buona pubblicità. E’ più avvezzo a criticarla. E se qualche straniero la elogia, rimane sorpreso. In fondo, Milano non è paragonabile a Venezia, né a Roma o Firenze. Però qualcosa sta cambiando. Expo 2015 ci ha lasciato anche questa eredità. Ha innescato un moto di autostima della città. Ci si accorge delle cose belle e se parla senza imbarazzo: è un fenomeno nuovo. E allora ben venga questo ritrovato affetto verso Milano. Basta che sia a beneficio di tutti e non per distinguersi, come si usa in altre città. Non sarebbe il tratto caratteristico milanese.
@UgoPoletti