Milano
Essere ragazzi a Milano tra sogni, realtà, formazione e prospettive future
Cosa vuole dire essere giovani ventenni a Milano oggi e quali prospettive ci sono per i ragazzi della iGen? L'intervista di Affaritaliani.it Milano
Essere ragazzi a Milano tra sogni, realtà, formazione e prospettive future
di Debora Bionda
Generazione Z, Centennials, iGen, Post-Millennials, Plurals e chissà con quali altri nomi viene definita la generazione dei nati tra il 1995 e 2010, quella sui banchi di scuola per intenderci, quella che sta affrontando la maturità, quella che dovrà fare i conti con il mondo del lavoro a breve, se non lo ha già fatto. Quella di cui, ammettiamolo, si sa ben poco.
Ci vengono presentati come dei geni sulle pagine dei giornali, con tutti 10 a scuola e un brillante futuro in campo medico e tecnologico. E ci vengono presentati come dei violenti, capaci delle peggiori nefandezze da soli e in “branco”. O ancora ci vengono raccontati come paladini dell’ambiente a ogni costo e al tempo stesso come dei giovani la cui massima aspirazione è diventare influencer su Instagram a suon di selfie. Ma chi sono veramente i ragazzi di oggi?
Affaritaliani.it Milano ha cercato di capirlo incontrando Donatella Lorato, Campus Leader alla European School of Economics di Milano, che tutti i giorni ha a che fare con ragazzi quasi ventenni o poco più che ventenni dal respiro internazionale.
Siamo in una società dove tutto cambia molto velocemente, dove si può fare carriera con un video o rimanere disoccupati nonostante due lauree, come può riuscire a orientarsi un ragazzo che deve decidere quale percorso di studi intraprendere?
Se tu oggi chiedi loro che cosa vorrebbero fare, non ti rispondono, non tanto perché non lo sanno ma perché non sanno che cosa sarà da qui a due anni. Si accorgono che tutto si trasforma rapidamente. Si chiedono, cosa mi metto a studiare oggi se fra due anni è già superato? Come si fa a programmare un percorso di formazione in queste condizioni? Io consiglierei loro un percorso internazionale, che sia a Milano o che sia all’estero, in lingua inglese. Assolutamente non tradizionale, perché un’impostazione classica, basata sullo studio di nozioni e formule, in una società in continua trasformazione non riesce a fornire gli strumenti adeguati con cui muoversi in questa realtà.
Quindi cosa dovrebbero conoscere questi ragazzi per esser preparati?
La soluzione è sviluppare competenze flessibili e trasversali come l’intelligenza emotiva, la creatività, l’adattività, la resilienza, la flessibilità, tutte caratteristiche che li possono accompagnare anche in presenza di grandi cambiamenti. L’approccio nozionistico va bene fino a un certo punto, poi serve un approccio induttivo-deduttivo che va coltivato fin da quando i ragazzi sono alle medie e alle superiori. E, soprattutto, serve accompagnarli nel coltivare “il sogno” che è dentro di loro.
Verrebbe da chiedersi perché un ragazzo o una ragazza dovrebbe ancora studiare visto che il successo che ottengono influencers e social-starlette che poco hanno a che vedere coi banchi di scuola.
È lì che dobbiamo intercettarli. In questo loro disorientamento. Hanno troppe informazioni, non riescono a gestirle, non riescono a verificarle, non si pongono nemmeno il problema sulla veridicità. Troppi stimoli, a fronte di un calo di motivazione, di passione, di voglia di fare e anche di “fame”, di necessità: non si rendono nemmeno conto di quanto sono fortunati a essere nati in Italia o in Paesi in cui c’è benessere. Non riescono a comprendere che non è scontato avere la macchina a 18 anni, andare al ristorante, uscire, andare in vacanza.
E volendoli “intercettare”, come si può fare?
Il problema è che ci mancano le chiavi di lettura, se si pensa di creare entusiasmo in loro nello stesso modo in cui lo si poteva fare con generazioni precedenti, si sbaglia, con loro non funziona. Bisogna trovare altri strumenti, non sono loro a dover capire la nostra lingua, siamo noi a dover trovare il modo di parlare la loro, cercare una nuova metodologia per entrare in contatto con loro possa aiutarli a orientarsi.
Cosa non semplice anche perché la loro soglia di attenzione è bassa
Vero, la soglia dell’attenzione è drasticamente scesa. Proprio per questo bisognerebbe insegnare loro ad avere una corretta percezione del tempo. Non sono abituati a soffermarsi sulle cose e a osservare. Non si danno la possibilità di stare fermi. Anche nei momenti di pausa tra una lezione e l’altra, li vedo indossare cuffie piuttosto che parlare con il vicino di banco o non fare nulla per qualche minuto, perdendo la capacità di sviluppare relazioni con gli altri, con se stessi e con ciò che li circonda.
Soffermarsi e osservare, ecco cosa manca ai giovani e non solo a loro, in questa città dove si è alla perenne rincorsa del tempo, dove tutto è scandito dalle lancette dell’orologio e dove fermarsi, anche solo per pochi minuti, sembra essere blasfemo.