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Europa, Benifei (Pd): rafforzare l'unità politica e continuare a cambiarla

Benifei (Pd): “In Europa per rafforzare l’unità politica e continuare a cambiarla”

“Per noi l’Europa bisogna continuare a cambiarla mentre la destra punta a un’Europa debole, che torna indietro”. Questa è la posta in gioco delle elezioni di giugno secondo Brando Benifei, eurodeputato ricandidato con il Pd nel Nord-Ovest. Il suo nome figura subito dopo quello della capolista Cecilia Strada. L’intervista ad Affaritaliani.it Milano.

Su cosa dovrebbe concentrarsi la nuova legislatura uscita dalle urne di giugno?
A Bruxelles è prioritario proseguire nel lavoro di costruzione dell’Europa sociale, con tutele per le persone che lavorano. Continuare sulla strada tracciata dalla direttiva sulla parità salariale uomo-donna, sul salario minimo, sui diritti dei lavoratori delle piattaforme online. Occorre approfondire questo solco iniziato con questa legislatura. Serve continuare sull’impegno per la lotta al cambiamento climatico, rafforzando il legame con la sicurezza energetica e il sostengo agli investimenti nell’economia green. Serve investire nella capacità tecnologica perché abbiamo problemi da una parte di salari bassi e di disuguaglianze crescenti e dall’altra legati a una stagnazione della produttività. Questo si lega soprattutto in Italia a un’arretratezza nell’uso delle nuove tecnologie. È necessario rafforzare un indirizzo che abbiamo iniziato a sviluppare in questi anni. La premessa è quella di rafforzare il ruolo politico dell’Europa, la sua unità politica, per i Paesi che sono disponibili a farlo. Si inserisce sul solco della continuità del debito comune che abbiamo costruito in risposta al Covid, con il Next Generation Eu, il Pnrr, e della capacità dell’Europa di parlare con una voce sola anche in uno scenario globale di competizione economica, in quello di sicurezza contro le guerre, per costruire la pace. Questo richiede un’Europa più forte e unita politicamente. L’Europa frammentata, ‘a metà’ come definisco quella di oggi, non è un’organizzazione internazionale tradizionale come le Nazioni Unite ma non è neanche un’entità statale: oggi non basta più. Bisogna decidere da che parte andare. Occorre dare una forma più compiuta all’integrazione europea a partire dai Paesi che sono disponibili a fare una maggiore integrazione per difendere meglio i nostri interessi nel mondo.

In questa direzione va la scelta del vostro candidato alla presidenza della Commissione europea? È l’alternativa a Ursula von der Leyen?
Il nostro candidato alla presidenza della Commissione europea è Nicolas Schmit, commissario per l’occupazione, una figura di grande competenza che ha dimostrato di portare a casa grandi risultati. Ha lavorato anche per gli aiuti nel momento della crisi del Covid. Con il commissario Gentiloni ha lavorato sul fondo Sure, che ha permesso di finanziare con le risorse europee le casse integrazioni. Schmit rappresenta il sostegno che abbiamo dato alle migliori iniziative prese dalla Commissione europea in questi anni. Segna una distanza dagli aspetti che meno ci convincono e che vediamo rappresentati dall’alternativa, Ursula von der Leyen. Pensando alle sue scelte nell’ultimo anno, l’attuale presidente rappresenta uno spostamento a destra, uno sguardo verso i nazionalisti, con le scelte sul tema migranti contrarie alla solidarietà e agli interessi dell’Italia come Paese di primo arrivo. Abbiamo anche assistito a un cedimento verso le pressioni ungheresi. Schmit rappresenta la scelta che abbiamo fatto in questi anni di lavorare insieme a partire dal rilancio del lavoro dopo il Covid. In questi anni non ha funzionato anche la capacità dell’Europa di fare un salto di qualità dal punto di vista della forza politica e di costruzione della pace nel nostro vicinato. Vorremmo più una Commissione europea che sia quella di Schimt che di von der Leyen. Negli ultimi anni abbiamo anche assistito a un arretramento e frenata sugli obiettivi della transizione ecologica. Schmit è stato in Italia nelle scorse settimane e ha spiegato che per noi il tema è fare in modo che ci siano le risorse necessarie, l’indebitamento comune e la possibilità di raccogliere nuove risorse comuni per sostenere la transizione, per fare in modo che sia economicamente sostenibili. Non affrontare questi problemi significa condannare a un declino l’Europa. Significa non affrontare il tema dell’aumento del costo delle materie prime e dell’energia.

È soddisfatto delle candidature proposte dal Pd?
Mi sembra che le liste presentate dal Pd siano le più competitive e forti nel rappresentare il lavoro importante realizzato in questi anni a Bruxelles, in cui ho avuto l’onore di guidare la delegazione. Le liste rappresentano anche la volontà di fare di più, fare meglio, allargare i nostri orizzonti, includere nuovi punti di vista. È un onore e una grande responsabilità essere alla guida della lista dietro Cecilia Strada. Anche in altri collegi ci sono queste candidature che rappresentano una scelta di valori molto chiara. Abbiamo una destra che non ha volontà di impegnarsi in Europa per trovare soluzioni che diano solidarietà all’Italia. Scegliere di candidare Strada è una scelta che segna una direzione chiara. Penso di poter portare in questa campagna l’esperienza maturata: rimango uno dei più giovani candidati ma sono ormai un parlamentare di esperienza. Vorrei portare valore aggiunto per i territori che rappresento. Ho una newsletter mensile con cui informo sui bandi europei, così si riesce a far avvicinare le persone e far capire quanto l’Unione europea faccia cose utili.

Tra le eurodeputate di lungo corso riconfermate come candidate c’è Patrizia Toia. Soddisfatto?
È stato deciso dalla Direzione Nazionale del partito quasi all’unanimità di dare una deroga al suo terzo mandato, è un’eccezione alla regola come avviene anche per il Parlamento nazionale. Dimostra che l’esperienza ha un valore. Le nostre liste rappresentano un mix di rinnovamento e apertura ad altre esperienze così che ognuno possa scegliere liberamente chi sostenere.

Cosa ne pensa della scelta dei leader di molti partiti italiani di correre come capilista ma di non andare a Bruxelles, se eletti?
Nel momento in cui c’è una campagna elettorale con le preferenze, non mi stupisce la candidatura della segretaria Schlein. I leader aiutano a polarizzare ed evidenziare le differenze politiche e le alternative in campo. Aiutano anche a livello comunicativo e di immagine. La nostra segretaria si è spesa in questi mesi già prima della scelta delle liste girando tutta l’Italia e portando avanti il nostro progetto di un’Europa più giusta, libera e verde. Oggi le alternative in campo sono in realtà due: la destra di Meloni, nazionalista, che vuole un’Europa frammentata, con un’Italia impaurita e debole, dall’altra parte l’Europa con l’Italia protagonista, per costruire maggiore coesione sociale, più lavoro di qualità, sostegno alle imprese. Questi due modelli sono le due alternative in campo più significative.

L’unico leader a correre come ultimo della lista e ad aver dichiarato di andare a Bruxelles se eletto è Matteo Renzi. Il leader di Italia Viva ha criticato la scelta degli altri leader, affermando che stanno truffando gli elettori in questo modo. Cosa ne pensa?
Da parte di chi aveva detto che avrebbe lasciato la politica dopo il fallimento del referendum e dopo mille imprese politiche iniziate e interrotte, con mille giravolte, credo che questa osservazione suoni molto strumentale. Le candidature dei leader servono a polarizzare le liste. C’è una grande differenza. Noi abbiamo dietro la nostra segretaria una classe dirigente che ha lavorato in Europa e che sa portare a casa dei risultati tangibili, mentre dietro Giorgia sembra esserci poco o nulla. Con Renzi abbiamo una compagine che mette insieme da Mastella a una parte del mondo liberale in guerra con l’altra parte che si candida con lista di Calenda. Un caos che non serve a nulla.

In questo scenario pone anche la candidatura di Vittorio Sgarbi per Fratelli d’Italia?
Anche la candidatura di Sgarbi è indicativa del fatto che dietro Giorgia ci sia il nulla. Un po’ di figura che fanno notizia e polemica ma poi il lavoro in Europa è una cosa seria, non una cosa da talk show.

A proposito di talk show, uno degli ospiti più presenti e divisivi è il generale Roberto Vannacci, candidato per la Lega.
Vannacci rappresenta quello che non dobbiamo e non possiamo essere. Lo dico non solo in termini valoriali ma anche di interessi. Credo che, se l’Italia fosse rappresentata in Europa da una figura del genere, ne sarebbe un danno per tutte e tutti.

Sul tema del lavoro, mentre il governo ha emanato il Decreto 1 maggio, voi state tornando sul salario minimo con la proposta di legge di iniziativa popolare. Due visioni a confronto?
Non siamo soddisfatti del decreto 1 maggio. Sul lavoro non basta la propaganda del governo, servono misure concrete, per l’aumento dei salari, per sostenere con misure fiscali la produttività e il miglioramento del potere di acquisto delle famiglie. Abbiamo un grande problema di costi di materie prima ed energie. Il governo sembra distratto più sugli scontri di potere interni che nel dare risposte. Occorre pensare alla sicurezza sul lavoro e alla necessità di garantire un salario minimo. Abbiamo depositato la proposta di legge di iniziativa popolare in questi giorni, vogliamo continuare la battaglia per la dignità del lavoro.

Tornando a una visione comune anche nella risoluzione delle guerre, concorda con l’Alto rappresentante Josep Borrell di risolvere il conflitto israelo-palestinese, facendo come alcuni paesi europei che si sono detti pronti a riconoscere lo Stato palestinese?
Nel contesto di una proposta di un percorso di pace che prevede una conferenza internazionale e un vero coinvolgimento della comunità internazionale tutta, che è stata troppo assente dal contesto Israelo-palestinese, penso che il riconoscimento dello Stato palestinese da parte dell’Italia sarebbe un contributo a un ingaggio della comunità internazionale molto più forte per arrivare alla pace. Una pace che garantisca ad Israele di essere riconosciuto dagli Stati vicini senza il terrore di esser messo in discussione. Dall’altra parte dare dignità e un futuro certo al popolo palestinese che vive da decenni un’occupazione illegale del proprio territorio e non può rimanere in uno status quo eterno: deve essere tutelato. Solo con l’impegno della comunità internazionale si può uscire da questo stato di tensione permanente.

Cosa ne pensa dell’astensione da parte del governo italiano al voto sulla riforma del Patto di Stabilità?
Noi abbiamo portato avanti la proposta del commissario Gentiloni e anche la proposta del Parlamento europeo. Quanto l’accordo è stato trovato a livello dei governi, abbiamo visto un grave peggioramento nel testo per gli interessi del nostro Paese. Abbiamo ritenuto di non appoggiare il testo così come è uscito. Non era in linea con le nostre aspettative anche per la scarsissima capacità negoziale del governo italiano che si è fatto schiacciare da altri governi che avevano altre priorità. Non abbiamo sufficienti garanzie di sostengo agli investimenti e alla crescita. Trovo assurdo che il governo italiano in Parlamento europeo decida di astenersi e poi in sede di Consiglio come ha fatto Meloni nei giorni scorsi sia favorevole. È una presa in giro nei confronti dei cittadini e la dimostrazione di una destra che non ha idee chiare su nulla.

Da poco è stata la Festa della Liberazione. Perché secondo lei il 25 aprile ancora è così divisivo?
Se qualcuno considera il 25 aprile divisivo, ha problemi con la storia del nostro Paese. Il 25 aprile è la data della liberazione dal nazifascismo, una data che deve unire il nostro popolo. Come in tutte le grandi questioni nazionali, è giusto confrontarsi e discutere su quale sia il modo migliore per celebrare e ricordare il sacrificio che ci ha permesso di essere liberi ma non può essere considerato divisivo un momento di questo tipo. Mi spiace non aver sentito dire con chiarezza la parola antifascismo dalla nostra presidente del Consiglio, in qualunque altro paese europeo ciò sarebbe oggetto di scandalo. Continuiamo a dire che non ci si può abituare a questo.

Ha auspicato che non ci siano più ‘liti da cortile’ tra le forze di opposizione. Cosa intende?
Bisogna evitare le liti da cortile di cui i nostri elettori si sono stancati. È innegabile che ogni partito faccia la campagna per sé e ognuno corre con le proprie idee. Credo che dobbiamo tutti continuare a lavorare a un’alternativa alla destra, che oggi potrebbe essere maggioritaria guardando ai sondaggi. Se non ci uniamo su proposte comuni, facciamo un regalo a questa destra legata insieme da ragioni di potere. Credo che le forze che hanno già governato insieme abbiano tutti i motivi per continuare a costruire una proposta comune. Serve però una grande affermazione del Pd a partire da queste elezioni. Siamo la forza che, sapendo di non essere autosufficiente, più di tutte lavora per unire le forze del centrosinistra e dell’alternativa.


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