Milano

Garlasco e oltre: le lacune della giustizia nella conservazione di dna e reperti

Per quanto possono essere tenuti sotto sequestro oggetti che potrebbero fornire anche a distanza di anni indizi utili alle indagini? E cosa dicono le normative rispetto alla conservazione del dna?

di redazione

Garlasco e oltre: le lacune della giustizia nella conservazione di dna e reperti

Appare decisamente in salita il lavoro degli inquirenti dopo la riapertura del caso di Garlasco e la nuova indagine a carico di Andrea Sempio. Come raccontato da Affaritaliani.it, il dna che fu trovato sotto le unghie del pollice sinistro e del mignolo destro di Chiara Poggi  non esiste più. Inizialmente fu analizzato con il metodo dei tamponi, che non fornì risultati sufficienti, e successivamente con il "lavaggio", che permise di ottenere profili genetici ma al contempo eliminò definitivamente il materiale utile a nuovi confronti. Il nuovo dna prelevato ad Andrea Sempio potrà essere solamente confrontato con le analisi compiute a suo tempo sulle unghie, senza possibilità di nuovi prelievi dal corpo di Chiara. 

L'altra problematica è quella degli oggetti sequestrati. Nel caso Garlasco, la restituzione di alcuni elementi chiave tra il 2021 ed il 2022 ha compromesso la possibilità di ulteriori accertamenti. La Procura ha riconsegnato ad Alberto Stasi, che ne aveva fatto richiesta, il materiale che gli fu sequestrato durante le indagini preliminari, come la bicicletta. Contestualmente, furono restituiti ai genitori di Chiara Poggi degli orecchini, una sedia, una scheda fotografica e soprattutto il pc. Quello che - lo sostiene la difesa di Sempio già dal 2017 - lo stesso amico di famiglia aveva utilizzato, motivo per cui il suo dna sarebbe rimasto sulla tastiera e da lì sarebbe passato a Chiara. Sarà impossibile su questo fare ulteriori accertamenti.

Conservazione del dna e dei profili genetici: le tempistiche secondo le normative

La vicenda pone sotto i riflettori alcuni interrogativi. Per quanto possono essere conservati i reperti nelle indagini giudiziarie? Partiamo dai profili genetici. Attualmente, la normativa italiana sulla conservazione del DNA è regolata dalla legge 30 giugno 2009, n. 85, e dal decreto attuativo che disciplina la banca dati nazionale del DNA. L'articolo 25 di tale regolamento stabilisce che i profili genetici possono essere conservati per trenta anni dalla data dell'ultima registrazione delle operazioni di identificazione e prelievo (Fonte 02). In casi particolari, come condanne irrevocabili per reati gravi o in presenza di recidiva, il periodo di conservazione può estendersi a quaranta anni.

Tuttavia, la norma presenta una criticità: il DNA estratto dai campioni biologici deve essere distrutto dopo la completa tipizzazione. Solo una parte dei campioni biologici originali può essere conservata per un massimo di otto anni, dopodiché deve essere distrutta. Questo implica che, una volta esauriti i campioni disponibili, le analisi successive devono basarsi esclusivamente sui profili precedentemente estratti, senza possibilità di nuovi test.

La rigidità di questa normativa rende impossibile riesaminare vecchi campioni alla luce di nuove tecnologie, come accaduto nel caso Garlasco, dove la comparazione tra il DNA di Sempio e quello trovato sotto le unghie di Chiara Poggi è resa poi di fatto impossibile da una ulteriore complicazione: il materiale originale è ormai esaurito, irreperibile.

Le tre forme di sequestro previste dalla procedura penale

E per quanto riguarda gli oggetti posti sotto sequestro? Secondo l'articolo 262 del Codice di Procedura Penale, le cose sequestrate devono essere restituite a chi ne ha diritto quando non è più necessario mantenerle ai fini della prova. Questo principio si applica anche prima della sentenza, se l'autorità giudiziaria lo ritiene opportuno, salvo che il bene sia oggetto di confisca o debba essere trattenuto per garantire crediti dello Stato o della parte civile.

Le tre forme di sequestro previste dal codice di procedura penale sono:

- Sequestro probatorio, finalizzato a preservare elementi di prova e che decade con l'irrevocabilità della sentenza

- Sequestro conservativo, volto a garantire crediti patrimoniali e che può essere mantenuto fino alla definitiva condanna dell'imputato

- Sequestro preventivo, applicato per impedire la reiterazione del reato o l'aggravamento delle sue conseguenze

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha stabilito che la conservazione indefinita di reperti appartenenti a una persona assolta viola il principio sancito dall'articolo 8 della CEDU sulla protezione della vita privata. Di conseguenza, una volta terminato il procedimento, la restituzione degli oggetti è generalmente obbligatoria.

Conservazione dei materiali probatori: le lacune della normativa italiana

Ma il caso Garlasco evidenzia una lacuna non da poco nelle procedure: cosa succede in caso di riapertura delle indagini ad anni di distanza dalla sentenza di Cassazione? Non è la prima volta che la Giustizia italiana si trova di fronte a questa problematica. Già nel novembre del 2024 l'ex giudice Guido Salvini aveva evidenziato come la normativa italiana sulla conservazione dei reperti è gravemente carente e necessita di una riforma che imponga criteri più stringenti per la custodia dei materiali probatori. Salvini ha suggerito l'istituzione di locali appositi, dotati di cassaforte e accessibili solo con l'autorizzazione di due magistrati, al fine di evitare il degrado o la sparizione di prove chiave.

I casi di Yara Gambirasio e Lidia Macchi hanno dimostrato come una gestione approssimativa dei reperti, sia che si tratti di dna che di oggetti sequestati, possa pregiudicare la possibilità di nuove indagini. Nel caso di Yara Gambirasio, ad esempio, il DNA presente sulle 54 provette custodite all'ospedale San Raffaele è stato deteriorato a causa del trasferimento in locali non adeguati. Salvini ha sottolineato inoltre che la sparizione di reperti fondamentali ha ostacolato le indagini sulla strage di Piazza Fontana.

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