Giuseppe Amisani: un’espressione artistica autentica - Affaritaliani.it

Milano

Giuseppe Amisani: un’espressione artistica autentica

di Gian Piero Rabuffi

Alla riscoperta di un importante pittore che ha ritratto i personaggi più significativi della sua epoca e la cui fama varcò i confini nazionali

Giuseppe Amisani: un’espressione artistica autentica

“Non dura che un giorno ogni cosa, tanto ciò che ricorda, quanto ciò che è ricordato”. Siamo portati a considerare la nostra epoca come quella in cui l’effimero ha imposto la propria dittatura assurgendo non solo a canone estetico e primaria condizione esistenziale, ma divenendo, anche grazie a sorprendenti e vertiginosi sviluppi tecnologici specie nel digitale, vera e propria ideologia dominante.  Eppure, dobbiamo anche saper riconoscere che la potente attrazione dell’attimo che fugge ha radici antiche. Non si spiegherebbe altrimenti perché già quasi due millenni or sono Marco Aurelio riflettesse attorno alle medesime questioni. E certo non era né il solo né il primo a farlo. Quello dell’imperatore filosofo suona invero più come un amaro ammonimento sulla caducità di ciò che esiste che un invito alla sua celebrazione. Ma il mito misterioso e potente dell’effimero era chiaramente qualcosa che già interpellava gli animi, forse almeno dal Panta rhei eraclitiano. In tempi a noi molto più vicini, anche la pittura di Giuseppe Amisani ci pare costituire un suggestivo memento rispetto a questi temi. E sono, quelli di Amisani, tempi particolarmente interessanti da osservare rispetto a tale vocazione propria dell’umano, perché è proprio nella prima metà del Novecento che può crescere e diffondersi esponenzialmente, in termini quantitativi e qualitativi, la pulsione a catturare e fissare un significativo bagliore della propria esistenza, da custodire e condividere mostrandolo al mondo. Marco Aurelio e i pensatori di ogni epoca si sono infatti sempre rivolti ad una ristrettissima minoranza, a quelle élite che, risparmiate dalle incombenze, dalle fatiche e dalle miserie che hanno cadenzato la vita di milioni di donne e uomini in ogni tempo, disponevano del tempo e delle risorse necessarie per coltivare e tramandare anche il culto della propria persona, del proprio ruolo, della propria identità. Non più così con l’industrializzazione e l’avvento della società di massa: benessere, potere, autoaffermazione divengono obiettivi possibili e alla portata per una platea sempre più diffusa ed eterogenea di persone. Un processo che giunge a compimento ai giorni d’oggi, nei quali la democratizzazione tecnologica e il dominio dell’etica consumistica hanno abbattuto le ultime barriere aprendo a tutti le porte di ciò che per tanto era stato privilegio di pochissimi: la celebrazione del proprio effimero. Quelli di Amisani sono gli anni eccitanti e stimolanti in cui tutto questo ha inizio.

Vediamo questo fenomeno presente in quella che è la sua opera simbolo, che nel 1912 gli dà grandissima popolarità, ovvero “Lyda”. Un ritratto della celebre diva del muto Lida Borelli, donna di bellezza preraffaelita di cui l’artista cattura l’essenza magnetica di femme fatale in un laborioso processo di ripetute osservazioni della attrice in scena, in quanto lei stessa si rifiuta di posare in studio per più di due volte. Quanto è stata dunque complessa e sofferta  la preparazione, tanto tuttavia l’esito finale è una esaltante prova della capacità dell’artista di fissare su tela l’attimo palpitante, il soffio vitale che illumina il gesto, il momento irripetibile e magnifico. Eleganza e felicità compositiva del dipinto testimoniano anche, ed è questa ora annotazione linguistica ed estetica, l’intenzione di Amisani di aggiornare la fondamentale lezione scapigliata lombarda – che resta imprescindibile per l’attenzione all’immediatezza espressiva - rinfrescandola con cromatismi più vivaci e irrobustendola con costruzioni più solide.  “Lyda” garantisce all’artista, la cui fama si sta in quegli anni già diffondendo, l’accesso ad una generosa e amplissima committenza, costituita tanto da esponenti dell’alta società quanto da borghesi e imprenditori, che vedono nel suo stile la sintesi perfetta per un ritratto in piena consonanza con lo spirito dei tempi, una rappresentazione fresca, contemporanea, alla moda del loro status. C’è qualcosa nelle qualità pittoriche di Amisani che scatena nel milieu dell’alta borghesia del nord Italia quello che probabilmente oggi definiremmo hype. Il grandissimo successo di cui l’artista gode in quella irripetibile stagione è anche ciò che condizionerà il riconoscimento del suo indubbio talento tra i posteri, ancorandolo a convenzionali pregiudizi. Ma prima di guardare  all’eredità del pittore, pare opportuno fare ora un passo indietro nella sua biografia. 

Profilo di Lyda BorelliGiuseppe Amisani, Profilo di Lyda Borelli
 

Nato a Mede Lomellina il 7 dicembre 1879, si iscrive all’Accademia di Brera nel 1895, iniziando a frequentare il triennio del corso speciale di pittura nel 1899. Suo insegnante è Cesare Tallone, che influisce grandemente sulla sua impostazione stilistica e sulla sua formazione di ritrattista. L’esordio non è in sordina: nel 1901 Amisani presenta al Premio Gavazzi l’opera “Cleopatra lussuriosa”: il primo posto ex aequo con Ambrogio Alciati gli viene revocato dal Consiglio accademico perché la tecnica utilizzata è ritenuta troppo avveniristica. Vi si coglie, tra le ombre e le sfumature dei due corpi, una prima intenzione di affrancarsi dal realismo talloniano, con l’esuberante e impetuoso segno di Amisani che reca anche qualche suggestione del simbolismo di Previati. La reazione dell’artista alla revoca del premio è veemente: Amisani fa polemicamente ritorno a Mede abbandonando i corsi.

ImmagineGiuseppe Amisani. A destra: autocaricatura
 

Il riavvicinamento alla pittura avviene con la decorazione della chiesa della Confraternita dei Battuti di Candia Lomellina e di quella della Trinità a Mede. Riallaccia i rapporti con Brera e si insedia in un piccolo studiolo ad Alessandria. Qui, nel 1907, un primo snodo decisivo per la sua carriera, con la realizzazione del ritratto di Luigia Borsalino Bellandi, una delle donne più in vista dell’alta borghesia alessandrina. Il successo locale dell’opera lo porta a ottenere le prime di una lunga serie di committenze per ritratti degli esponenti più in vista della società. E’ invece dell’anno successivo la partecipazione al premio “Istituzione canonica” indetto dall’Accademia di Brera dal soggetto “Un’azione benefica”. Amisani porta la tela “A se stesso per gli altri (L’Eroe)”: non vince ma la critica lo elogia per la “dignità di pensiero” e per una complessiva raggiunta maturità. Di fatto una nuova affermazione, che consente all’artista di partecipare con altre opere anche alla Permanente di Milano del 1910 ed alla Internazionale di Roma del 1911.

L'eroeGiuseppe Amisani, L'Eroe
 

Dopo un viaggio in Francia, dove realizza l’esotico “Danza Apache”, si trasferisce in via Brera a Milano, dove resterà tutta la vita. Ed è l’anno di “Lyda”, con il quale vince le 3.200 lire del premio Fumagalli, che gli consentono l’agognato viaggio in Sud America. Tra Argentina e Brasile Amisani diviene una celebrità, affermandosi come ritrattista alla moda. La sua fama, al rientro in Italia, gli consente di fare visita alla Regina Madre Margherita a Roma e di realizzare il Ritratto della Principessa Iolanda. La sua pittura negli anni Dieci, e ci riferiamo soprattutto alle opere realizzate su commissione, irrompe nell’alveo di una tradizione ben consolidata che vanta tra i suoi maestri non solo Tallone ma anche Luigi Conconi, Giacomo Grosso, Emilio Gola. Assieme ai coevi Alciati e Giuseppe Palanti, Amisani guarda anche fuori dall’Italia, agli esempi offerti da Eugène Carrière, Anders Zorn, Giovanni Boldini: la domanda è rivolta a immagini a figura intera o mezzo busto, in posa, risolte con linguaggio che denuncia ancora retaggi tardo-Ottocenteschi, tra stesure morbide e tonalità soffuse. 

Superata la Grande Guerra, durante la quale presta servizio militare pur non interrompendo completamente l’attività artistica, riprende una fitta attività espositiva, ottenendo nel 1920 un grande successo di pubblico alla Biennale di Venezia con l’opera “Ultime rose”, venduta a ottomila lire al collezionista francese Dubois. Nello stesso anno presenta a Brera due altre significative tele, “La Toiletta” e “Santa Teresa”. Approfondisce, su esortazione dell’amico Carlo Fornara, lo studio della pittura di paesaggio. E la vicinanza con il maestro divisionista qualche traccia lascia nella pittura di Amisani, che pare abbandonare le rassicuranti atmosfere vaporose che hanno connotato la sua attività ritrattistica fino a quel momento. La direzione intrapresa dal medese non è tuttavia, se non  brevemente, quella dei divisionisti: il suo linguaggio negli anni Venti sa piuttosto respirare e intercettare l’orientamento verso maggiore sintesi e nitore formale propugnato da Valori plastici e dal nascente Novecento, aggiornandosi alle tendenze estetiche del momento. Si afferma nelle sue tele l’uso della tecnica a spatola, che consente all’artista una resa più densa e sintetica delle forme. Sono stagioni di grande operosità, che vedono Amisani partecipare regolarmente alle principali occasioni espositive nazionali e cimentarsi anche nell’illustrazione: la sua popolarità è tale che sue opere sono riprodotte sulle cartoline postali. Nel 1924 vince il premio “Città di Pavia” con il “Ritratto di Carducci”.

La toiletteGiuseppe Amisani, La Toilette
 

L’anno successivo, una commessa di grandissimo prestigio e che segna il successivo corso della carriera dell’artista: re Fuad d’Egitto lo invita per realizzare le decorazioni del nuovo palazzo reale di Ras-El-Tin. I tre soggiorni che occorrono ad Amisani per concludere l’opera gli consentono al contempo anche di catturare alcune folgoranti e memorabili testimonianze artistiche dei luoghi e delle genti della regione africana. Di straordinaria vividezza è in particolare il ritratto di re Farouk bambino, figlio di re Fuad immortalato a quattro anni di età, i capelli al vento e l’innocente, contagioso sorriso: è proprio la felicità espressiva con cui Amisani ritrae il bambino a convincerne il padre ad affidargli le decorazioni del palazzo reale. Le suggestioni egiziane lo portano quindi ad esplorare anche Libia ed Algeria, entrando in contatto con la cultura islamica.

AraboGiuseppe Amisani, Arabo
 

Artista di dimensione pienamente internazionale, ottiene un significativo successo con la sua personale alla Arlington Gallery di Bond street, Londra, dove nel 1927 presenta ritratti, paesaggi egiziani, vedute veneziane e nature morte. Il favore riservato al medese è un “miracolo che dai tempi dei De Nittis, non si era più verificato”, esclama Raffaele Calzini. Ed anche in Inghilterra l’alta società rimane rapita dalla sua maestria: almeno dodici volte Amisani farà ritorno a Londra per  realizzare ritratti di nobildonne ed esponenti della borghesia della metropoli. Ma risalgono a quegli anni anche i viaggi in Spagna ed Olanda. L’ultimo luogo speciale nella particolare geografia dell’anima dell’artista è tuttavia Portofino, dove Amisani ha acquistato casa: proprio qui, durante una passeggiata verso Camogli, è colto da un fatale infarto l’8 settembre 1941. 

signora in poltronaGiuseppe Amisani, Signora in poltrona
 

La critica del tempo lo celebra come il “Pittore dei principi e dei re”: etichetta lusinghiera ed emblematica, che molto racconta dello status raggiunto da Amisani nel pieno della sua carriera ma che in qualche modo non rende giustizia alla varietà dei suoi interessi e dei suoi orizzonti. In primis, le commissioni furono anche più numerose da parte della borghesia e dei rappresentanti dell’imprenditoria. Che possiamo tuttavia ad ogni modo considerare come i nuovi “principi e re”, i quali agli inizi del Novecento hanno ormai affiancato se non superato i nobili e l’aristocrazia per prestigio e potere sociale. Ma esiste anche un Amisani che si stacca dalle logiche e dalle richieste della committenza, un autore di ritratti di persone comuni che rivelano una formidabile capacità introspettiva, con sovente protagoniste sensuali chanteuse dalla esuberante carica erotica o le modelle che nel suo studio si elevano ad incarnazioni di un ideale femminino emancipato, moderno e disinvolto. E c’è poi un Amisani paesaggista, che specie in Egitto esprime qualità compositive che all’occhio contemporaneo possono far ritenere le sue vedute e le sue impressioni addirittura superiori negli esiti ai ritratti ufficiali. 

E pur tuttavia sulla sua attività principale di ritrattista di grido è opportuno soffermarsi ancora, in quanto è essa che ha definito la collocazione del pittore nella storia dell’arte del Novecento. Sono in particolare le nobildonne a perseguire il sogno di un ritratto eseguito da Amisani: un anelito animato da uno spirito che ci pare ben diverso dalle motivazioni che per secoli avevano spinto regnanti e aristocratici a farsi immortalare dai pittori di corte. Ed anzi è proprio qui che vediamo all’opera il ribaltamento operato dalla nuova cultura dell’effimero: i nobili non cercano più, come era sempre stato, una rappresentazione che li eternizzi astraendoli dal contingente e proiettandoli in una dimensione temporale più ampia del limitato arco della loro vita. Al contrario, quelli che realizza Amisani non sono ritratti per i posteri ma per i contemporanei: anche principesse e duchesse abbracciano l’estetica del presente e dell’estemporaneo. L’immagine di sé che desiderano proiettare deve rifulgere della luce dell’oggi e deve raccontare pienamente la loro rilevanza mondana.

Si rivolgono all’artista di Mede, tra le moltissime, Paola d’Ostheim, principessa di Sassonia Weimar, Lidia d’Aremberg duchessa di Pistoia, Giovanna Elisabetta Antonia Romana Maria di Savoia, Boris III re di Bulgaria. Parallelamente, ricchissima la galleria di imprenditori e borghesi o delle loro consorti: Carlo Zen, Tomaso e Ambrogio Bertarelli, Antonietta Treves Pesenti, Carlo Rizzi, Rosa Motta, Felice e Antonietta Fossati. E poi i ritratti dei benefattori delle maggiori istituzioni assistenziali e ospedaliere milanesi, commissionati dagli stessi enti e che ancora oggi sono ospitati nell’ospedale Maggiore, ai Martinitt, alle Stelline, alla Cà Granda, al Pio Albergo Trivulzio, all’Istituto dei Ciechi. Significativo anche l’impegno per arricchire la sala delle riunioni del Consiglio di Edison con i ritratti dei principali amministratori presenti e passati della società elettrica, da Carlo Esterle ad Angelo Bertini, da Carlo Feltrinelli a Giuseppe Colombo.

Algeria (2)Giuseppe Amisani, Algeria
 

Vale tuttavia qui condividere la riflessione di Chiara Gatti, che opportunamente annota la differente partecipazione – e gli esiti espressivi conseguentemente diversi - che l’artista manifesta quando deve eseguire ritratti su committenza a distanza o di figure già scomparse, rispetto alla immediatezza dei dipinti con protagonisti personaggi autonomamente scelti da lui stesso per un suo interesse personale. Con i primi “l’artista sembrava perdere quella verve, quel piglio deciso e accattivante tipico delle sue opere più fresche e spontanee, eseguite dal vero nella tranquillità del suo studio, col modello davanti, vivo e comunicativo” . Esuberanza che palpita invece nelle vivide e sentimentali rappresentazioni di dive quali, oltre a Lida Borelli, l’attrice Maria Melato o la ballerina Jia Ruskaja. E si veda anche, negli anni della maturità del pittore, la luce interiore che riverberano ritratti più intimi come quello di Nonna Bestetti o quelli con protagonista la modella prediletta Rirì, seducenti di un eros depurato dall’affettazione ostentata dei nudi ancora quasi tardo-decadentisti degli anni Dieci.

Venendo al paesaggio, lo si può considerare come il terreno della sperimentazione per Amisani, che si può mettere liberamente alla prova al di fuori delle limitazioni della committenza. I suoi ritratti ufficiali sono l’occasione che consente all’artista di viaggiare e conoscere luoghi nuovi da dipingere. E’ così in Val Vigezzo che Fornara lo inizia alla “pittura di paese”, portandolo anche per un breve tempo a indugiare in alcune vedute alpine su soluzioni di stampo divisionista. Passa invece per le sue vedute “orientali” d’Africa il definitivo consolidarsi di quel rinnovamento del suo linguaggio pittorico che intraprende nella prima metà degli anni Venti. La calda e abbacinante luce dell’Egitto suggerisce ad Amisani nuove combinazioni e più marcati contrasti. Di fronte alla vivacità di scene come quelle rappresentate in Pomeriggio alle Piramidi, Mercato arabo o Mercato al Cairo, Calzini ne elogia la “freschezza e per necessità la disinvoltura di un’espressione colta sul vero e rapidamente fissata” . Significative le impressioni londinesi, ma Amisani dipinge anche le bellezze di Rodi (per l’ “Illustrazione italiana”), così come Venezia e Viareggio. Gli ultimi paesaggi, che sono anche le sue ultime opere, sono per l’amata Portofino.

algeria okGiuseppe Amisani, Algeria
 

Acclamato, celebrato e ricercato dai contemporanei, specie nell’arco di tempo che va dalla realizzazione di “Lyda” ai primissimi anni Trenta, la popolarità di Amisani è venuta poi bruscamente scemando. Superata da altre forme di autocelebrazione e autorappresentazione la ritrattistica “tradizionale” di cui è stato alfiere ai massimi livelli, la pittura del medese ha scontato così, una volta dirottato altrove l’interesse della committenza, lo scoprirsi inevitabilmente inattuale e diversa rispetto alle più aggiornate tendenze dell’arte del Ventesimo secolo. Tuttavia è innegabile quella che negli anni più recenti è possibile definire, più che una rivalutazione, una riscoperta dell’opera del pittore. Attorno al quale grandi sono in particolare l’interesse e l’attenzione, come è logico che sia, in gran parte del territorio nazionale. Ma i margini per restaurare l’aura della dimensione internazionale raggiunta un secolo fa paiono ancora piuttosto ampi. Come già del resto ammoniva Marco Aurelio, l’effimero impone la sua legge esponendo al rischio che ad essere inghiottiti tra le nebbie del tempo non siano solo le storie e i volti di personaggi protagonisti di quella vita ormai passata (“ciò che è ricordato”), ma anche, beffardamente, quelle opere che celebrarono l’estemporaneità del loro essere nel mondo (“ciò che ricorda”). Il possibile riscatto risiede nella capacità di saper distinguere quei tratti duraturi e destinati a restare, poiché portatori di una forma di verità più profonda, propri di quella che è sempre riconoscibile come una espressione artistica autentica, ispirata, risolta e in grado di comunicare universalmente. Quale riteniamo essere stata quella di Giuseppe Amisani.  








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