I Hate Milano

Beppe Sala, il Marchese di Expo. La satira irriverente di I Hate Milano

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Il Marchese di Expo pensava che vincere le elezioni fosse una quisquilia, un divertissement tipo aperitivino con tartine da Cova. La maniche di camicia arrotolate, il faccione sui manifesti dove assomiglia da matti al Remis del cartone animato Ratatouille, quattro salti nella City londinese a caccia di palanche: fate largo al Marchese di Expo!
 
La casa a St. Moritz, il passato da braccio destro della Moratti, il reddito da bauscia, le amicizie difese e anzi rivendicate con la Compagna delle Opere, il cui rappresentante stava quasi per finire in lista: tutto è concesso al Marchese di Expo!
E anzi, già che ci siete, dite a Renzi che qui può anche non farsi vedere: sono il Marchese di Expo e le elezioni le vinco in carrozza!
 
Tuttavia, benché i cartelloni elettorali dei candidati di centro-destra facciano in mente venire quel gusto per il grottesco che aveva Fellini, i sondaggi non autorizzano più sonni tranquilli. Del resto, ai milanesi (al contrario che ai brianzoli) i ganasa han sempre dato fastidio. Li tollerano solo se in versione parodistica (Craxi) o macchiettistica (Berlusconi): insomma, solo quando sono certi di poterne dire peste e corna ai quattro venti. Basta chiedere a una persona seria come Mario Monti: appena ha tolto il loden e si è messo a fare il fenomeno in TV, è stato impallinato a tempo zero. 
 
Per questo qualcuno dovrebbe dire al Marchese che prima di litigare sul catering per la festa di metà giugno, queste elezioni bisogna vincerle. E per vincerle bisogna sporcarsi le mani. Lasci stare, signor Marchese, le raccolte di fondi, quel linguaggio stereotipato  che la fa sembrare uguale a tutti gli altri (“li asfaltiamo”, “lavoriamo pancia a terra”, “ci metto la faccia”), le lampade alla Carlo Conti in stile Cortina Anni ’80, la retorica di un programma arrivato un po’ in ritardo e - per quanto buono nella sostanza - un pochino generico, sicuramente molto più generico di quello che era il programma di Giuliano Pisapia. 
 
Già, Giuliano Pisapia. Si, lo sappiamo signor Marchese: lei non è Giuliano Pisapia. Ma guardi lo stesso qualche sua vecchia foto del 2011. Arruffato, scombinato, stropicciato, lo dovevano portare via di peso, perché piuttosto che rinunciare a un confronto improvvisato con un portinaio o un netturbino avrebbe fatto saltare gli impegni presi sull’agenda. 
 
Meno figo e abbronzato del Marchese, tanto che forse al Just Cavalli non lo avrebbero nemmeno fatto entrare. Eppure, quel Giuliano Pisapia, col suo stile improbabile coinvolse tutti, dai rimasugli dei socialisti fino al Leoncavallo - con tutto quello che c’è in mezzo.  E visto che, come certifica da anni l’Istituto Cattaneo, le elezioni si vincono quando si mobilita il proprio elettorato, forse è questo ciò  a cui lei dovrebbe puntare, altro che al mito del “rubare i voti al centro” che come tutti i miti ha il difetto di funzionare poco nell’applicazione pratica. 
Si tolga il completo scuro e quel fare da venditore di pentole alla fiera degli obej obej. Al posto della maglietta di Che Guevara, si metta un bel paio di scarpe da tennis e cominci a consumarne la suola sul serio, per citare Majorino.
Vedrà che le farà bene non solo al consenso, ma pure alla linea! (che, detto fra noi, per fare il figo in spiaggia conta molto più che l’abbronzatura posticcia).