I Hate Milano

Coronavirus, il web è la vita. Per l’Italia è la certificazione del fallimento

Se non cambia la mentalità e l’età anagrafica di una classe dirigente legata a un modo di fare del secolo scorso siamo condannati a un futuro di retroguardia

Coronavirus, il web è la vita. E per l’Italia è la certificazione del suo fallimento

"Accoronati", la  nuova rubrica di Affaritaliani.it Milano. Di Francesco Francio Mazza

Mentre scriviamo non conosciamo ancora l’esito dell’ennesima Eurogruppo, che è stata aggiornata dopo una nottata di liti, l’ennesima riunione “decisiva” dal cui esito dipenderà “il futuro dell’Europa”. E francamente ci interessa poco.
Si, perché a prescindere dalle misure finanziarie che saranno prese per far fronte all’emergenza, il massimo che possiamo sperare è tornare nella situazione di partenza. Una situazione che per il nostro Paese era tutto tranne che positiva.
C’è un dato, piuttosto che dovrebbe far riflettere il Paese e la percezione che ognuno di noi ha dello stesso. E’ un numero rivelato da una ricerca Istat uscita un paio di giorni fa secondo cui una famiglia italiana su tre in casa non ha un computer e una famiglia italiana su due dispone di un solo computer per nucleo familiare.
Sono dati che non hanno eguali nei Paesi avanzati del mondo, che fanno il pari con le classifiche secondo cui l’Italia è ultima in Europa per accesso alla banda larga, incalzata persino dalla Bielorussia.
In un mondo che viaggia verso il digitale, dove il web – come ha drammaticamente dimostrato l’emergenza legata al virus – coincide ormai con la vita stessa, non è nè un azzardo nè un’esagerazione affermare che l’Italia, da un punto di vista tecnologico, sia un Paese del terzo mondo.
Dunque possiamo ricevere tutti gli aiuti che vogliamo dall’Europa, ma se non cambia la mentalità e l’età anagrafica di una classe dirigente di sessanta-settantenni legati a un modo di essere e di fare del secolo scorso, siamo condannati a un futuro ancora più di retroguardia di quanto non sia stato di retroguardia il nostro recente passato.
E’ giusto indignarsi per il modo in cui siamo stati trattati dai partner europei ma è sbagliato pensare che la soluzione ai nostri problemi passi soltanto da lì, come tutti i politici dell’arco costituzionale (nessuno escluso) stanno provando a convincerci da settimane per avere un comodo capro espiatorio a cui intestare i loro fallimenti.
Perchè nel momento in cui l’unico modo per uscire dall’emergenza sarà – per esempio – il tracciamento informatico dei contagi o una app che in tempo reale invierà sul telefono un codice da mostrare per poter entrare nei negozi, e intere fette di popolazione o di territorio ne rimarranno escluse a causa del loro analfabetismo digitale, qualcuno inizierà a chiedersi come tutto questo sia stato possibile.
Come mai abbiamo finanziato provvedimenti che ancora gridano vendetta come gli 80 euro (Renzi), il reddito di cittadinanza (Di Maio) o quota 100 (Salvini) figli di un modo di intendere lo Stato e la politica assistenzialista e clientelare, del tutto inadeguato a realizzare quella grande opera di ammodernamento di cui il Paese aveva e ha disperato bisogno.
Qualunque sia l’esito della riunione, dunque, i problemi non saranno che rimandati.
Dai fiori non nasce niente, dal letame nascono i fiori, diceva il poeta. Forse da questa tonnellata di merda che ci è cascata addosso nascerà, un domani, il fiore della responsabilità.