I Hate Milano

Coronavirus, quanti amplessi servono per essere qualificati come congiunti?

Sono i giovani che pagheranno la crisi più di tutti, sia in termine di mancato diritto allo studio, sia in termini di ipoteca del proprio futuro

Coronavirus, quanti amplessi servono per essere qualificati come congiunti?

"Accoronati", la  nuova rubrica di Affaritaliani.it Milano. Di Francesco Francio Mazza


La storia, diceva Karl Marx, si ripete sempre due volte: la prima come tragedia e la seconda come farsa. Ieri abbiamo capito che nell’Italia del coronavirus il ciclo non dura neanche 24 ore.
La sera prima Contecasalino, nell’annunciare il decreto della tragedia, quello che tradisce la totale assenza di un piano serio per la riapertura, afferma spavaldo che si potrà uscire solo per far visita ai “congiunti”, termine fumoso e senza senso, utilizzato con l’unico scopo di mettere in pratica il solito metodo: non far capire niente a nessuno, annusare l’aria e correggere il tiro di conseguenza, in modo da non perdere nemmeno un like su Facebook.
E infatti il giorno seguente il copione si ripete. Arriva una montagna di legittime proteste da parte di chi non e’ sposato e fa notare che la parola “congiunti” tradisca una concezione della società ferma agli anni ’50: e Contecasalino è lesto a trasformare “i congiunti” in “fidanzati, affini e affetti stabili”, pensando di aver salvato la baracca ancora una volta.
Peccato che così la farsa sia completa: se la definizione dei congiunti non aveva senso, quella sugli affetti stabili è un monumento al peggior pressappochismo che si ricordi a memoria d’uomo.
Quanti amplessi servono per definire un affetto “stabile”? Cinque? Dieci?
E che mezzi ha un povero agente per capire se una persona sta andando da un affetto “stabile” o da una tizia conosciuta su Tinder da un paio d’ore? E se uno dei due, nella coppia, pensa si tratti di una cosa seria e l’altro invece è convinto si tratti di una sveltina che si fa?
E via dicendo, con la precisazione che non precisa che si trasforma in una manna dal cielo per comici e cabarettisti.
Soltanto Contecasalino poteva riuscire in una simile prodezza: attraverso una precisazione è riuscito a negare il senso stesso del provvedimento, perché ora sarà impossibile controllare davvero gli spostamenti.
Anche perché contemporaneamente, l’altra giravolta è quella riguardante le messe. I vescovi protestano, e ai vescovi – diversamente che ai parrucchieri - è difficile dire di no: e così Contecasalino, nella sua spasmodica ricerca di consenso, dopo aver annunciato tutto serio che il comitato tecnico-scientifico era stato categorico sulla riapertura delle chiese, ieri ha fatto marcia indietro, annunciando approfondimenti.
Non una parola, invece, sulla scuola, ma il fatto non stupisce: gli studenti e i giovani in questo Paese non hanno rappresentanza e dunque non hanno potere di influenza, finendo per subire un vero proprio bullismo di Stato: sono loro che pagheranno la crisi più di tutti, sia in termine di mancato diritto allo studio, sia in termini di ipoteca del proprio futuro attraverso l’indebitamente a oltranza.
Come scritto ieri da Francesco Cancellato, in un Paese civile le cose dovrebbero funzionare al contrario, i primi ad essere tutelati dovrebbero essere proprio i giovani - su cui dovrebbe basarsi il nostro futuro – e la Scuola, unico vero ascensore sociale possibile. Ma un Governo in mano a un tizio il cui ascensore sociale è stato il Grande Fratello non è per sua natura in grado di comprendere un ragionamento simile, ed ecco che ci ritroviamo con un’intera generazione di ragazzi vittima di una mattanza sociale senza che nessuno dica qualcosa. L’unica consolazione di ieri, mentre i giornaloni marciavano ancora compatti come soldatini al fianco della Pochette allo sbando, è stato vedere come sui social il ciuffo tinto di Contecasalino veniva deriso e preso ad improperi da gente di ogni età, ogni fede calcistica e colore politico.
Un unico enorme pernacchione virtuale si è levato dagli smart phone di tutta Italia, un meraviglioso pernacchione che, come avevamo anticipato ieri, sancisce la fine del famoso “round the flag”, quell’effetto per cui, durante un’emergenza, i cittadini supportano a prescindere chi guida il Governo per naturale spirito patriottico.
Quel dilettante della politica di Contecasalino aveva scambiato il “round the flag” per un mandato di fiducia personale eterno, e convinto di tenere il Paese in palmo di mano, pensava di poter andare avanti a forza di decreti in odore di incostituzionalità, esautorando il Parlamento, circondandosi di “esperti” da utilizzare come capri espiatori alla bisogna e non decidendo nulla, sperando in un colpo di fortuna o magari nel caldo per sfangarla in qualche modo.
I giornalisti amici lo hanno aiutato ad arrivare indenne fino alla fine di aprile, ma la tonnelata di risate da cui è stato seppellito ieri lo inchioda definitivamente al proprio fallimento.
Ora c’è da sperare che la politica, con un moto di orgoglio, trovi la forza e la dignità per recuperare il suo ruolo: e dopo aver allontanato la Wanna Marchi in pochette e il suo Mago Do Nascimento da Foggia, appronti al più presto un piano di riapertura serio, basato sui tamponi di massa e sul tracciamento dei contagi come avviene in tutti i Paesi civili.
Il problema è che, come detto ieri, non c’è davvero più tempo da perdere.