I Hate Milano

Il virus in laboratorio? Dite ai fact checker che può essere vero

Coronavirus, quello che bisognerebbe fare è praticare la nobile arte del Dubbio

Il virus in laboratorio? Dite ai fact checker che può essere vero

"Accoronati", la nuova rubrica di Affaritaliani.it Milano. Di Francesco Francio Mazza

Il professor Luc Montagnier, nobel per la Medicina, l’uomo che per primo ha scoperto il virus dell’HIV, ha espresso la sua opinione, e in un podcast ha sostenuto che il coronavirus responsabile della pandemia in atto sia stato creato in laboratorio e che il cosiddetto “spillover”, il salto dall’animale all’uomo, sia frutto di un incidente.
L’intelligence americana – per altro - dice la stessa cosa da giorni, come affermato più volte da Mike Pompeo, un signore che è già stato a capo della CIA e poi ha fatto il Segretario di Stato.
La domanda sorge spontanea: Pompeo e il premio Nobel sono completamente rincoglioniti? Secondo David Puente si, ma l’ego della Giovane Marmotta del fact checking ha ormai superato le dimensioni di una supernova, diventando materia di studio scientifico. Per tutto il resto dell’Umanità invece, a cominciare da chi crede nel diritto di un premio Nobel in medicina ad esprimere un’opinione in materia di medicina, il principio socratico del “sapere di non sapere” comincia a farsi legittimamente largo.
Se c’è una cosa che i fact checker alla vongole vanno ripetendo dall’inizio della pandemia è che assolutamente-non c’è dubbio- signora mia non diciamo sciocchezze il virus non ha niente a che fare con provette e laboratori, e guai a chi si azzarda a sostenere il contrario.
Il problema è che nessuno, in realtà, è certo del contrario.
Semplicemente, quello che in molti stanno dicendo è che sia legittimo avere il dubbio.
Quando si diffuse il famoso video sulla trasmissione Leonardo, i fact checker alle vongole saltarono alla giugulare di chi lo aveva condiviso, gridando alla lesa maestà.
In realtà, quel video conteneva un sacco di informazioni interessanti: mostrava che a Wuhan ci fosse, effettivamente, un laboratorio che traffica con virus letali, e che tali virus facessero parte della famiglia allargata dei “coronavirus”. Rivelava come l’amministrazione Obama (che in un altro famoso video del 2014 metteva in guardia dai rischi di una pandemia) avesse chiesto alla Cina di smettere con un certo tipo di esperimenti, e che la Cina se ne fosse infischiata.
I fact checker alle vongole gridarono alla fake news perchè “il virus di cui parla il servizio non è quello responsabile del COVID-19!!1!!” ma questo non era il punto. Il punto era che nel momento in cui a Wuhan esiste un laboratorio di quel tipo, dove fanno esperimenti che mettono in apprensione l’amministrazione Obama e quattro anni dopo, proprio a Wuhan, si diffonde un virus che appartiene a quella famiglia di virus, beh, allora è lecito NON affermare che la Cina vuole sterminarci e ha scientificamente infettato il mondo MA che avere il dubbio che ci sia stato un incidente di origine umana sia legittimo.
E’ esattamente quanto sostiene un altro professore universitario, ovvero il dottor Richard Ebright della Rutgers University che dice una cosa assai semplice: nessuno ha la certezza che il tutto sia stato causato da un incidente in laboratorio, ma nessuno può affermare il contrario, perché non esistono certezze in materia.
Del resto, la teoria sostenuta dai fact checker alle vongole secondo cui il virus sia “nato” in un mercato di animali selvatici viene al momento rigettata da decine di scienziati, come affermato dalla rivista scientifica Lancet (ovviamente la Giovane Marmotta con l’ego grande come la Via Lattea ora si metterà a confutare decine di scienziati e professori universitari: chissà come se la staranno facendo sotto!).
Ma aldilà del narcisismo dei singoli (e di chi, colpevolmente, lo incentiva) è proprio questo il punto fondamentale che i fact checker alle vongole nostrani non c’è verso che capiscano.
Nel mondo contemporaneo, e in generale all’interno dell’umana esperienza, è assai difficile giungere alla “Verità Assoluta”.
Quello che bisognerebbe fare, piuttosto, è praticare la nobile arte del Dubbio.
Non è questione di dire che tutte le vacche sono nere: è questione di apertura mentale e di accettare tutte le ipotesi, anche quelle che ci danno molto fastidio, fino a prova contraria.
Purtroppo, dal 2016 ad oggi, dalla Brexit e dall’elezione di Trump in poi, quando accade qualcosa che non ci piace la colpa è sempre delle “fake news”, che sono diventate una grande giustificazione di massa per spiegare tutto il male del mondo.
Per questo, quando una notizia non trova un immediato riscontro oggettivo non viene inserita nel limbo del “improbabile, ma possibile”: viene immediatamente messa all’indice e bollata come fake news, e chi l’ha diffusa magari si becca anche un’indagine per procurato allarme, con i gonzi sui social che fanno la ola al fact checker alle vongole – che sorride beato convinto di aver ancora una volta salvato il mondo.
L’unico effetto di tutto ciò è che invece di rimanere vigili, appena il fact checker alle vongole mette il timbro con scritto “fake news” scattano le pernacchie: e, puntuali, arrivano i problemi.
Il coronavirus ha dovuto ammazzare decine e decine di persone prima che l’opinione pubblica si degnassero di considerarlo come un tema serio (molto serio) e non una fake news. E se questo è avvenuto, se le precauzioni non sono state prese immediatamente ma addirittura sono state avversate e chi si preoccupava è stato preso a pernacchie, lo si deve al clima instaurato dai fact checker alle vongole, che con sprezzo per una tradizione filosofica lunga qualche secolo invece di ricercare e coltivare il Dubbio credono arrogantemente di poter stabilire, dalla loro cameretta, quale sia la Verità Assoluta buona per tutto il genere umano.
Certo, esistono i siti come sputnik e le foto della Boschi in Chiesa con quelli che scrivono sotto la didascalia dicendo “ecco la Boschi al funerale di Rina”: ma simili panzane, in cui casca una piccola minoranza di analfabeti funzionali, non hanno certo il potere di alterare o di mettere in pericolo una democrazia.
L’arroganza dei fact checker alle vongole invece, con il loro disprezzo per il dubbio e la loro ostinata negazione verso tutto quello che non si renda immediatamente dimostrabile ci mette in pericolo eccome, e la pandemia è in atto ne è una prova.
Del resto, nel momento in cui la rivista scientifica più autorevole del mondo (Lancet) scrive nell’articolo linkato precedentemente che il fatto che il coronavirus sia stato trasmesso all’uomo in un mercato di animali selvatici sia una notizia senza prove certe, noi potremmo reagire in due modi.
Potremmo reagire in modo socratico, e restare col dubbio.
Oppure potremmo reagire come fanno i fact checker alle vongole e, usando il loro stesso metodo, mettere al bando chi ha diffuso la notizia “falsa”: solo che a quel punto, a essere silenziati, sarebbero proprio gli stessi vongolari.