I Hate Milano

La passeggiata impossibile di I Hate. Dribbling in Vittorio Emanuele

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C’è stato un tempo in cui in primavera non c’era niente di meglio che passeggiare per Corso Vittorio Emanuele, in tarda mattinata al sabato o sul fare della sera durante la settimana.
Ora non è più cosi.
 
Appena superata piazza San Babila, ti avvicina il primo tizio - Hogan e pizzetto d’ordinanza. Sei li che magari ti frughi in tasca, pensando a uno sbirro in borghese, ed ecco che il tizio muove il pizzetto per dirti “scusa, che libri leggi?”.
 
Eccola qui, la seccatura dei libri, il noto finto sondaggio che serve a farti firmare un pezzo di carta con cui poi sarai obbligato a comprare cose di cui non hai bisogno per anni. 
Declini, prosegui per la tua strada, e venti metri dopo - non sei manco all’altezza di Zara - ecco un altro tizio: stavolta è un capellone in infradito che ti fa “hey ciao! tu sei un tipo a posto! Ma lo sai che l’ambiente è in pericolo?”. Di nuovo, ti frughi le tasche, stavolta alla ricerca dello Xanax di cui il tizio capellone ha sicuramente bisogno. 
 
Ma quello continua e, come dice la sua pettorina, costui “lavora” per Greenpeace e il suo lavoro è molestare i passanti per convincerli a sganciare del dinero che andrà un po’ nella lotta per la difesa delle foche, un po’ nelle tasche dello stesso capellone in infradito che di trovarsi un lavoro proprio non vuole sentirne parlare.
 
Declini - a fatica, perché questo mette in piedi un repertorio di barze e scherzetti che fanno rimpiangere l’ultimo Gino Bramieri, quello ormai costretto su un letto d’ospedale - ed ecco che, poco più avanti sbuca una ragazza con la faccia seria-seria che con tono marziale ti avvicina e ti fa “lo sai che nel mondo ci sono bambini che soffrono?”.
 
“Si” vorresti dirle. “E tu lo sai quanto soffro io in questo preciso istante?”, ma non fai in tempo che quella attacca con numeri, dati, cifre, anche qui a caccia della firma e dell’obolo con cui la ragazza con la faccia seria-seria campa. 
 
Un nuovo dribbling laborioso, perché anche questa come il suo collega capellone non ha voglia di mollare il colpo ed è il turno di un tipo tondeggiante, simile a Pinco di Panco e Pinco - quelli di Alice - che ti da la mano dicendo “Ciao. Qual è il tuo libro preferito?”. A questo punto, il Jack Nicholson che è in te ti esce da tutte le parti, ma siccome siamo persone civili rifiutiamo per l’ennesima volta e andiamo avanti. 
 
La passeggiata è andata a farsi benedire, è quasi più rilassante starsene in ufficio, e guardandoti intorno, in mezzo a quel suk di negozi di vestiti e trucchi, è impossibile non pensare ai cinema, ai teatri, alle Messaggerie Musicali e alla pasticceria con le vetrine di marzapane, insomma, a quello che era Corso Vittorio Emanuele una volta e allo schifo che è diventato.
 
E’ allora che un tizio uscito da un concerto di Gigi Dag ti avvicina indossando una pettorina rosa, e ti fa “sei sensibile al problema della violenza sulle donne?”. 
 
Da qualche parte, ne siamo certi, esistono parecchie dimensioni parallele in cui noi ora siamo ai domiciliari, per aver usato violenze al fan di Gigi Dag che piuttosto che lavorare se ne va in giro a fare domande del genere. In quella in cui viviamo, invece, andiamo avanti senza la forza d’animo necessaria a rispondere, e quando - finalmente giunti in Duomo - un senegalese ci offre il famoso braccialetto multicolore,  stringergli la mano e dargli dei soldi ha un effetto catartico: lui, almeno, un motivo per sbarcare il lunario in quel modo lo ha. Non si capisce invece come mai a tutti gli altri, italiani normodotati e nel pieno controllo delle loro funzioni motorie e cerebrali, sia concesso di svolgere impunemente, di lavoro, quello che è sicuramente il mestiere più antico del mondo, ancora più antico della prostituzione: quello dei rompicoglioni.