I Hate Milano
Manchester by Milano
Da Charlie Hebdo a Manchester: terrorismo, il metro della nostra sconfitta è la nostra indifferenza. Non c'è nessuna guerra, l'abbiamo già persa. I Hate Milano
Quando c'è stato l'attentato di Charlie Hebdo pensavo si fosse arrivati al limite. Ricordo, la mattina seguente, il silenzio insolito del bar e l’ondata emotiva che proseguì per tutto il resto della settimana. A Milano faceva un freddo terribile, era gennaio, c’era un senso di minaccia incombente che produceva eccitazione nervosa, come se di lì a poco tutto sarebbe cambiato.
Quando ci fu il secondo attentato di Parigi al Bataclan, o le bombe a Bruxelles, guardai la diretta tv fino a notte inoltrata e di nuovo, la mattina dopo, al bar notai il silenzio; ma già dal giorno dopo smisi di interessarmi ai dettagli sulle vittime, sull'eroismo di alcuni, sui retroscena circa la provenienza degli attentatori.
L’altro ieri notte invece non riuscivo a dormire e a un certo punto ho letto la notizia di Manchester sul sito del New York Times. Ho registrato la cosa come si fa con una bolletta che arriva più salata del solito. Poi ho visto un video su Van Basten, ho letto un articolo sulla campagna acquisti del Milan cinese e mi sono addormentato.
La mattina seguente sono andato di nuovo nel solito bar. Stavolta c’era rumore, tutti pensavamo agli affari nostri. Sono andato in centro per un impegno di lavoro e di Manchester me ne sono dimenticato fino a mezzogiorno, quando nel vociare della pausa pranzo ho distrattamente guardato lo smartphone.
La misura con cui si determina la vittoria del terrorismo non è quella della vittoria politica, né quella della paura, le fregnacce tipo “vi costringeremo a vivere nel terrore”. Il metro con cui si misura la loro vittoria è la nostra de-umanizzazione, la de-sensibilizzazione totale a cui ci hanno costretto e che ci fa rimanere impassibili davanti a una strage di bambini usciti una sera per divertirsi, con l'eccitazione di fare qualcosa da adulti, da raccontare il giorno dopo a scuola.
Hai voglia a dire che la miglior risposta che possiamo offrire è far finta di niente: una simile affermazione non è una risposta, solo un’ammissione di resa, una scusa furba per giustificare l’indifferenza, il cordoglio sempre più breve, la nostra resa incondizionata davanti alla forza fisica più forte dell’Universo: quella dell’abitudine. Non si tratta di una dimensione inedita dell’esistenza: è il modo in cui l’umanità ha sempre vissuto fino al XIX secolo, lo stesso con cui, da sempre, vivono le persone in Iraq, Palestina, Israele e via dicendo.
Non c'è nessuna guerra in corso. La guerra è già finita da un pezzo. Era una guerra dichiarata nel 1789, una guerra illuminista combattuta senza armi e senza violenza che si proponeva di cambiare per sempre l'essere umano. Ha prodotto i due conflitti più sanguinosi della Storia, poi qualche decennio di pace costati un prezzo salatissimo ma invisibile.
Dal 2001, però, è stata lentamente ma inesorabilmente archiviata e ora, attentato dopo attentato, lutto dopo lutto, status di Facebook dopo status di Facebook ne stiamo prendendo atto. Succeda pure "quello che deve succedere", basta che ci lasciate finire il nostro bravo spritz in santa pace, definitivamente sconfitti.