Milano, se i clochard sono meno cool dei migranti
In attesa che la manovra del popolo entri in vigore e la povertà sia effettivamente abolita (aspettiamo con ansia), ieri sera, a Milano in piazza Santo Stefano, per il diciannovesimo anno consecutivo c’è stata la “Notte dei senza dimora”: i cittadini sono stati invitati da diverse associazioni del settore (Terre di Mezzo, Mia – Milano in Azione, Arca, Croce Rossa Italiana, l’elenco è molto lungo) a passare una serata in strada, mangiando e dormendo all’aperto, per capire davvero cosa vuol dire vivere “come un barbone”.
La manifestazione è caduta in un periodo in cui si è finalmente parlato del numero abnorme di poveri e senza tetto che ci sono in città, in modo particolare in centro. Tra uno Starbucks e un fastfood, tra uno Yes Milano e una wine-week, la zona del Duomo, di San Babila e di tutte le vie limitrofe – a cominciare da Corso Vittorio Emanuele – dopo le undici di sera diventa un hotel a cielo aperto, dove trovano riparo centinaia di persone.
La notizia ha suscitato molta sorpresa per l’ossimoro tra il glamour diurno delle vetrine e l’invasione notturna dei senzatetto: eppure si tratta di una situazione che, come sanno i volontari va avanti da anni, e imperterrita continua a peggiorare, nel totale disinteresse dell’opinione pubblica che poi si stupisce quando sfoglia un giornale davanti a una tazzona di caffè americano da immortalare su Instagram.
Milano, che ama sentirsi una città perfetta dove tutto funziona alla grande e odia interrogarsi sulle sue contraddizioni, dovrebbe perlomeno ringraziare – a una a una – le persone che ieri sera, e ogni giorno della settimana, a titolo completamente gratuito, si danno da fare portando cibo, medicine o anche solo semplice supporto morale a persone che, per varie ragioni, sono precipitate dentro la fossa dell’emarginazione sociale, senza più riuscire a riprendersi. Se è vero che uno dei parametri per giudicare il livello di civiltà di un Paese è lo stato delle carceri, è vero anche che il livello di civiltà di una metropoli lo si deduce dal modo in cui tratta chi è rimasto indietro: e se Milano può considerarsi umana è grazie a queste persone.Tuttavia, tra una gara di poesie per artisti che vivono in strada, una pasta alla norma meglio di quella che si mangia nella metà dei ristoranti del centro e un concerto di musica dal vivo, era impossibile non notare, ieri sera, l’esiguo numero di cittadini presenti in piazza, soprattutto se confrontato con manifestazioni analoghe promosse e raccontate sui giornali come rivolte, specificatamente, “ai migranti”.
Questo ha dato alla serata un retrogusto amaro, per almeno due motivi. Intanto, perché una simile distinzione non ha senso: tra i senza dimora ci sono italiani e stranieri di tutte la nazionalità, come si vedeva ieri osservando la composizione dei tavoli.
Ma soprattutto, perché la cosa peggiore che si possa fare è creare una guerra tra poveri in un momento politico ed economico come questo. Solidarietà e accoglienza sono valori universali, che andrebbero praticati e prescindere con chiunque, non solo grazie al richiamo di “etichette” che rendono la solidarietà più “mediatica”. Altrimenti si perde credibilità, si rischia di fare la figura di quelli che si appassionano a una causa soprattutto per acquistare capitale politico su un tema notiziabile, perfetto per polemizzare con lo sciagurato attuale Ministro dell’Interno. E che allo stesso tempo, ogni giorno, chiudono gli occhi davanti a un’emergenza visibile a chiunque, dopo cena, decida di farsi una passeggiata in centro.
(Foto di Ronda Carità e Solidarietà - da Facebook)
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