Milano venduta alle multinazionali. Appello per la nostra città
Ecco come vendere pezzi di città e uccidere millenni di storia. Piccolo vademecum per aspiranti vandali. Un appello ai giovani politici: salvate Milano
Così è successo.
Piazza Liberty è chiusa da mesi, e ora appare come la vedete nella foto, un cantiere inaccessibile che tale resterà per i prossimi mesi. Si è conclusa così, con la piazza interamente inagibile, la vicenda relativa alla costruzione del nuovo Apple Store nei locali dell’ex cinema Apollo, di cui ci eravamo occupati lo scorso autunno.
Come si vede nella foto, quando i lavori saranno terminati, l’intera superficie della piazza sarà trasformata: al suo posto ci sarà una grossa scalinata che condurrà al negozio – con tanti saluti a chi allora venne a dirci che l’intervento sarebbe stato poco invasivo.
Vale la pena analizzare la “comunicazione” messa in piedi da Apple per l’occasione. Sembra quasi che la stessa azienda americana si sia resa conto che di quanto l’intervento sia invasivo e con una excusatio non petita metta le mani avanti, provando a giustificarsi.
Nelle immagini che decorano le pareti dei lavori in corso, ci spiegano, per rassicurarci, che la piazza sarà “sempre aperta”. Ringraziamo Apple per la magnanimità, facendole però notare che quella piazza esisteva da secoli ed era sempre stata “sempre aperta”.
E quando ci parlano di “moderno anfiteatro dove rilassarsi e incontrare gli amici”, ci permettiamo di dire che quella è esattamente la definizione di piazza, e che di nuovo, la piazza c’era già, era un gioiello di architettura ed era anche stata ristrutturata da poco a spese di tutta la cittadinanza– visto che fino a pochi anni fa c’era un parcheggio.
Quanto alla definizione “moderno anfiteatro”, capiamo lo sforzo paraculo di usare una parola appartenente alla tradizione greco-latina per meglio farla digerire, ma noi continuiamo a vedere solo una semplice scala, di difficile agibilità per le persone più anziane, che andrà a sostituire un luogo storico del centro di Milano e della sua Storia millenaria.
Come già l’altra volta, sappiamo che a questo punto del pezzo saranno già entrati in funzione i polpastrelli di quella polizia politica in servizio permanente effettivo che si scaglia contro chi, ad ogni latitudine, provi anche solo per un istante a criticare Milano con l’unico obiettivo di farne il suo bene.
A tutti costoro – spesso milanesi solo d’adozione, e nemmeno da tanti anni – vorremmo, da milanesi di nascita e per giunta da diverse generazioni – far notare quanto segue.
Capiamo quanto voi l’importanza, per Milano, di avere un Apple Store e di averlo in centro. E infatti eravamo tifosissimi di Apple nell’asta per aggiudicarsi i locali in Galleria una volta occupati da Mc Donalds, per scongiurare il rischio che la galleria diventasse un ghetto per turisti ricchi a caccia di fashion. Apple in cambio di Mc Donalds ci appariva uno scambio fantastico, tipo quello Coco in cambio di Pirlo che il Milan riuscì a mettere in piedi con la sciagurata Inter nell’ormai lontano 2002.
Peccato che quell’asta Apple l’abbia persa. E solo in quel momento decise che, tra tutti i negozi e le location di Milano, l’unico modo possibile per costruire il suo negozio era sventrare una piazza intera.
Liberandovi per un attimo gli occhi dal fumo ideologico, capite la decisiva differenza?
Una decisione così importante, un cambiamento così radicale di uno dei pezzi fondamentali della nostra città, e che per giunta riguarda il centro storico, venne deciso dopo, come una seconda scelta. Davvero non c’erano altri negozi tra la Galleria, il Duomo e le immediate vicinanze adatti a tale scopo?
Davvero i locali del cinema Apollo così com’è non andavano bene, e bisognava ribaltare l’intera piazza?
Fatichiamo a crederlo. Così come fatichiamo a renderci conto che a Milano (dove per ottenere l’agibilità di un solaio ci vogliono anni di burocrazia e carte bollate) sia successo davvero una fatto del genere, ovvero che a una multinazionale, dopo aver perso un’asta per ottenere dei locali commerciali, sia stato concesso – come scelta di ripiego - di pagare per comprarsi un pezzo di città e modificarlo per sempre secondo le proprie esigenze.
Pensata a cosa potrebbe accadere ora se questa stessa logica permessa ad Apple sarà applicata da altri. Ogni qual volta un proprietario di negozio sarà insoddisfatto della planimetria dei propri locali, potrà tranquillamente – previo pagamento – modificare lo spazio urbano circostante, con ruspe, marciapiedi chiusi e tutto quello che ne concerne.
E se un domani Google vorrà aprire un suo negozio, potrà legittimamente reclamare un’altra piazza, tipo piazza San Fedele, e modificarla secondo le proprie esigenze. E che dire di Facebook? Perché non concedergli, in futuro, di radere al suolo piazza Santo Stefano e costruire li il proprio Quartier Generale italiano?
In breve, potremmo vedere ogni piazza, ogni strada, ogni luogo storico svenduto al miglior offerente privato e stravolto a suo piacimento.
Certo, gli espertoni di marketing in maniche di camicia in tal caso applaudirebbero, parlando di “città che si apre al futuro”, “finalmente l’innovazione” e altre fregnacce... ma tutti i milanesi di nascita, e con un minimo di sale in zucca, sarebbero costretti ad assistere in silenzio alla definitiva scomparsa della Storia e dell’Identità della loro città, una città che nel corso dei secoli ha sempre guardato negli occhi le altre metropoli del Mondo e che ora invece viene (s)venduta in cambio di soldi, sfruttata alla maniera di una prostituta.
Milano, quarta città d’arte d’Italia, la città che ha ispirato il creatore di Starbucks e che quando Steve Jobs puzzava, andandosene in giro a piedi scalzi tra villette di San Francisco più tristi di quelle in Brianza, era già un centro economico e finanziario mondiale; certo, i suoi cittadini forse non hanno (ancora) fondato start-up di livello mondiale, ma in passato hanno costruito con le loro mani il Duomo, hanno ri-costruito la città a tempo di record dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, hanno dato origine, da soli e contro un governo che ha cercato di ostacolarli in tutti i modi possibili, la conurbazione che per ricchezza prodotta è ai vertici europei e mondiali.
Che oggi quella stessa città e quegli stessi cittadini debbano genuflettersi davanti a questa o quella multinazionale, offrendo insostituibili pezzi della loro storia in cambio di pochi spiccioli e di qualche decina di posti di lavoro da commesso o da barista è a intollerabile a chi, con fierezza, si definisce milanese.
E’ per questo che noi ci rivolgiamo ad alcuni giovani (più o meno) politici di campo opposto e di esperienza diversa, accumunati però dall’essere cresciuti a Milano: Pietro Bussolati e Pierfrancesco Maran del PD, Pietro Tatarella di Forza Italia, Lorenzo Lipparini dei Radicali; e chiediamo che cosa pensano, nel vedere la città dei nostri e dei loro nonni sventrata e trasformata in questo modo, non per costruire servizi o infrastrutture utili ai cittadini (come la metropolitana), non per effetto di un’idea o di un piano urbanistico e nemmeno per far fronte a una richiesta espressa da un gruppo più o numeroso di persone: ma semplicemente per accomodare il volere di una multinazionale.
L’Apple Store è un negozio: che i negozi stiano negli spazi a loro dedicati. Chiudere per anni e modificare per sempre una piazza, una porzione di Centro Storico per costruirci un negozio è per noi - e sarà per sempre - un atto contro Milano, contro la sua Storia e contro i suoi cittadini.