I Hate Milano
Paghiamo oggi l’orgoglio di Milano. Le conseguenze del folle fine febbraio
Speriamo che il virus sia l’occasione per tornare a una diversa espressione della milanesità: non quella arrogante e caciarona, ma quella sobria e calvinista
Paghiamo oggi l’orgoglio di Milano. Le conseguenze del folle fine febbraio
"Accoronati", la nuova rubrica di Affaritaliani.it Milano. Di Francesco Francio Mazza
Oggi ci sarebbe da parlare del premier Contecasalino, che dopo essere stato messo sotto dal Consiglio Europeo è riuscito nell’impresa di accusare Salvini – ovvero uno che in questo momento potrebbe essere accusato di tutto – dell’unica cosa per la quale non ha alcuna resposabilità (il Mes è stato approvato dal Governo Monti e non votato dalla Lega, non da Berlusconi con la Lega in maggioranza).
Evidentemente, Contecasalino conosce bene il film “L’ora piu’ buia” - del resto lo hanno passato da poco su Sky - da cui ha tratto le citazioni di Churchill ripetute nei giorni scorsi: quanto alla storia recente del nostro Paese, caliamo un velo pietoso.
Ma la vera notizia di oggi, per chi abita Milano, è un’altra, e purtroppo non è delle migliori.
Il Corriere della Sera ha finalmente certificato quello che dai dati emerge da una vita, ovvero che Milano in questo momento è un’anomalia rispetto al resto del Nord Italia (a sua volta un’anomalia rispetto all’Italia, a sua volta un’anomalia rispetto al resto del mondo).
E stavolta non lo è perchè qualche testata l’ha eletta città migliore del globo terracqueo o perchè si è aggiudicata anche la Fiera del Taralluccio al Finocchio dopo essersi aggiudicata tutto quello che si poteva aggiudicare.
Stavolta lo è perchè rispetto alle altre città del Nord, i decessi segnano un aumento mostruoso: +63%.
Ce la potremmo prendere col destino cinico e baro oppure invocare una divina legge del contrappasso: e invece, le responsabilità di questa ecatombe sono assai precise, perchè come scrive il Corriere “la stragrande maggioranza dei contagi che ha portato alla devastazione (sic!) di così tanti morti è avvenuta a fine febbraio”.
Caspita, fine febbraio. E cosa accadde a Milano a fine febbraio?
Purtroppo i nodi sono venuti al pettine. I danni del #milanoriparte, lo sciagurato movimento d’opinione che passerà alla Storia di questa città come una delle sue pagine più nefaste, sono ora resi evidenti dalla freddezza spietatta delle cifre statistiche.
Ovviamente, siamo certi che i protagonisti di quel movimento faranno finta di nulla, affrettandosi a parlare d’altro già da domani mattina.
Difficilmente arriveranno lettere di scuse da parte del Preside del liceo Volta, in quella fine di febbraio eletto a furor di media eroe della Resistenza ai populisti per aver scritto agli studenti una lettera in cui irrideva guappescamente a quel naturale e salvifico sentimento di paura che quei giorni di incertezza facevano sorgere nelle persone di buon senso.
Speriamo che i ragazzi abbiano avuto più senso di responsabilità di lui.
Di certo non arriveranno assunzioni di responsabilità da Alessandro Catellan, il conduttore TV che dopo una vita dedicata al cazzeggio si era improvvisato esperto di epidemiologia grazie a un paio di interviste, invitando la gente a uscire per l’aperitivo insieme al Sindaco quando gli ospedali lombardi erano già in condizioni d’emergenza.
Ora è tornato al cazzeggio, peraltro con brutti risultati d’ascolto, e pazienza se magari qualcuno gli ha dato retta e ora sta vivendo momenti difficili.
Ovviamente non arriveranno scuse da Luciano Fontana, il direttore del Corriere che proprio alla fine del febbraio scriveva il memorabile editoriale “La normalità da riconquistare”, vero manifesto di un follia collettiva le cui macerie devono servire da monito a tutta la città.
Quanto al Sindaco, lo lasciamo volentieri ai suoi “esperti di comunicazione”.
Diranno che la sciagura era impossibile da prevedere: e invece basta leggere le interviste al personale medico per capire che già dall’ultima settimana di febbraio gli ospedali erano sotto pressione. Bastava approfondire, informarsi, chiamare le corsie dei pronto soccorso o degli ospedali. Bastava la logica: se il virus è lo stesso di Wuhan e a Wuhan ha avuto quegli effetti, perchè da noi dovrebbe essere diverso.
Discorsi che possono essere applicati ovunque, che però a Milano assumono una valenza diversa, perchè in nessun altro posto d’Italia (e probabilmente della Terra) si èassistita a una tale pervicacia nel negare a tutti i costi che quanto stava accadendo fosse grave, gravissimo.
C’è da sperare allora che la tragedia sia l’occasione di un grande e collettivo bagno di umiltà.
Con lo stesso spirito della peggiore Juventus di Luciano Moggi, Milano era convinta che la rinuncia non facesse parte del suo vocabolario.
Che l’attesa, il dubbio e, ancora una volta, la paura, fossero concetti da sfigati, più adatti ad Avellino che a una metropoli “sempre al top”, come dicono i giusti dell’aperitivo in Tortona.
Si sentivano e leggevano discorsi assurdi, in quei giorni: sembrava che Milano dovesse a tutti i costi “reagire”, non si sa contro cosa e non si sa perchè. Si è riusciti nel miracolo di trasformare un’emergenza sanitaria eccezionale, di cui nessuno aveva mai sentito parlare prima di allora, in un fatto di “orgoglio cittadino”: peccato che l’orgoglio, come scriveva Pope, sia “l’immancabile vizio degli stupidi” e non avremmo potuto averne dimostrazione migliore.
Speriamo allora che, come la pioggia che monda di D’Annunzio, il virus sia l’occasione per tornare a una diversa espressione della milanesità: non quella sbruffona, arrogante e caciarona che ha imperato negli ultimi anni, ma quella critica, sobria, calvinista e risoluta che permise alla città di rinascere negli anni del Dopoguerra e del dopo Tangentopoli, e di diventare grande negli anni ’60.
Altrimenti, il sacrificio di quel +63% sarà reso vano.
P.S. A proposito del vaneggiato “Secolo della Citta’” e di chi veramente credeva in un modello di sviluppo del genere: il fatto che l’economia mondiale stia venendo salvata solo ed esclusivamente dall’intevento degli Stati Nazionali dovrebbe essere abbastanza per spazzare via, una volta per tutte, certi discorsi privi di ogni valenza storica, economica, politica e culturale.