I Hate Milano

Sapessi come è strano prendere un taxi a Milano. Il racconto

di I Hate Milano

Dal pagamento con POS negato all'aggressione verbale, il racconto di un viaggio in taxi che non dovrebbe capitare in una città come Milano

Sapessi come è strano prendere un taxi a Milano. Il racconto

Ci piace pensare a Milano come a una città europea, a misura di XXI secolo insomma, e molto spesso ci riusciamo. Poi basta un sabato pomeriggio in centro a poche settimane dal Natale, basta cioè una piccola grattata alla superficie, per scoprire una realtà arcitaliana che di moderno non ha nulla e che rimanda a certe commedie in bianco e nero di mezzo secolo fa.

Lasciamo stare la vergogna delle manifestazioni no-vax, i disagi subiti dai negozianti, la follia di una minoranza lasciata libera di far deragliare treno della ripresa economica. Questo avveniva dall’altra parte della Galleria Vittorio Emanuele in cui mi trovavo sabato 27 novembre, e di questo in tanti hanno già scritto.

Dalla parte della Galleria in cui stavo io – verso piazza della Scala – succedeva un fatto diverso ma rappresentativo, proprio come l’assurda tolleranza verso il popolo no-vax, del malcostume che ci zavorra, ancorandoci a un passato che gli altri, all’estero, si sono scrollati di dosso da un pezzo.

Alle 17:30 prendo un taxi, bianco, del Comune di Milano, con sulla facciata scritto 6969, dunque non un abusivo, e chiedo di essere portato a Lambrate. Arrivato davanti a casa, al momento di pagare i 22,50 euro di corsa, estraggo la tessera per il pagamento tramite POS e la allungo al taxista. Ma il taxista risponde di non avere il terminale, dice che lui accetta solo pagamenti in contanti e che “se avevate il POS dovevate dirlo prima e non vi caricavo”.

È tardi, sono stanco, non ho voglia di discutere con un tizio che, tra l’altro, ha assunto un tono aggressivo ai limiti dell’intimidatorio. Chiedo di essere portato al bancomat più vicino per prelevare. Ma questa cosa del POS il taxista l’ha presa come un affronto personale, ed eccolo gridare – si, gridare - che lui è li a lavorare, “non come voi (sul taxi c’è anche la mia compagna) che siete in giro a fare un cazzo”. A quel punto vorrei far notare al signore tante cose, ma non ce n’è bisogno, perchè la mia compagna ha già fatto presente al gentleman che pagare con il POS è un diritto del cliente e che certe offese fuori luogo farebbe meglio a tenerle per se.

Ed è allora che il taxista del Comune di Milano estrae il terminale POS – dunque presente a bordo, guarda un po’! – aggiungendo testuale: “pagate e levatevi dai coglioni senno’ è peggio per voi”.

A questo punto mi è chiaro che dalla commedia all’italiana siamo trascesi nel grottesco, e soprattutto nel penale. Essere minacciato da un taxista perchè chiedo di pagare con il POS, direi di no. Così scendo dal taxi, fotografo la targa e la licenza, e dico alla mia compagna – molto più combattiva di me – di entrare in casa e mettere in salvo le borse dei regali; si, perchè il taxista nel frattempo è sceso e si è messo a vomitare insulti, con un atteggiamento stradaiolo che mi fanno chiedere cosa facesse questo signore nella vita prima di ottenere la licenza per guidare i taxi di Milano.

Per sua sfortuna, essendo (anche) un fighter di MMA, per spaventarmi ci vuole altro che un maschio alfetta: ignorando le sue provocazioni finalizzate ad ottenere uno scontro fisico, mi avvicino comunque con la carta POS per effettuare il pagamento. Dopo altri improperi l’uomo mi permette di pagare, e nel consegnarmi la ricevuta, il poverino, ha cura di strappare il pezzo di carta con i suoi riferimenti, pensando così di rendersi irrintracciabile.

A quel punto mi avvicino a casa, ma il taxista proprio non ne vuole sapere: mi segue fino al cancello, continuando a provocarmi (“hai paura? Torna indietro…” e altra roba da bullo di periferia), tutte cose a cui reagisco chiamando il 113 seduta stante.

Non è finita: mentre sono in attesa al centralino, l’uomo arriva proprio al cancello di casa mia, si aggrappa, e  mi minaccia di nuovo, dicendo che se chiamo la polizia “saranno cazzi miei” e che “ci rivedremo sicuramente”. Forse pensa di spaventarmi dato che sa dove abito ma di nuovo, per spaventarmi ci vuole altro, dunque resto al telefono con la polizia segnalando la targa, per poi segnalare l’accaduto al 6969, al Comune di Milano e prossimamente al Commissariato di Polizia con regolare denuncia.

Si sa quello che si dice in questi casi: è un singolo, non tutti sono così, e ci mancherebbe pure. Prendo una decina di taxi a settimana e certo un tizio del genere non mi era mai capitato.

Ma aldila del caso particolare (anche se mi chiedo che controlli preventivi si facciano su chi chiede la licenza per guidare un taxi, essendo che il taxista è il mestiere più stressante di tutti data la situazione del traffico) il problema generale riguarda il proprio il pagamento tramite carta.

Senza arrivare alle minacce fisiche di cui il signore dovrà rendere conto, tutti - al ristorante, nei negozi, su un taxi - siamo abituati a sentire scuse (“ho la macchina rotta, non avrebbe il contante…”), consigli non richiesti (“non possiamo fare col contante, si fa prima...”), smorfie, levate di occhi al cielo, eccetera. Un atteggiamento che, nel 2021, non esiste in nessuna altra città di livello internazionale. Per restare ai taxi, in molte città si paga in automatico, con la carta, sul display posto davanti al sedile del parcheggiare: il fatto che il pagamento tramite carta rappresenti un fastidio, un impiccio, un incomodo, è un anacronismo tutto italiano, che non trova nessuna altra giustificazione che nella volontà del commerciante di evadere le tasse: le stesse tasse che servono a finanziare la sanità e le terapie intensive, per esempio.

Ma come per il caso dei no vax, chissenefrega degli altri: l’importante è la cresta su 22,50 euro sputati, il tornaconto personale anche se microscopico, la sudicia furbizia elevata a virtù cardinale.

Il giorno che saremo capaci di togliersi di dosso questa zavorra, allora entreremo davvero in quel futuro in cui gli altri sono già entrati da un pezzo.