I Hate Milano

di Mister Milano

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I Hate Milano
Speravo de morì prima. Ovvero quella passione che Milano non ha (più)
"Speravo de morì prima": lo striscione per Francesco Totti all'Olimpico

"Speravo de morì prima". E' l'indimenticabile striscione che compare a un certo punto all'Olimpico durante l'addio di Francesco Totti, sintesi perfetta del sentimento d'amore incondizionato che lega Totti ai romani e viceversa. L'amore, si sa, è sacrificio: il sacrificio di Totti che andandosene poteva vincere Palloni d'Oro e Champions  ma ci ha rinunciato per amore; e il sacrificio dei tifosi, che di Totti hanno accettato tutto, l'immenso genio ma anche le tante, tantissime sregolatezze.

Avrebbero potuto lasciarsi prima e sulla carta ci avrebbero guadagnato entrambi, nel senso che avrebbero vinto di più. Ma sarebbero diventati, semplicemente, dei vincenti, e di vincenti ce ne sono stati e ce ne saranno tanti. Hanno scelto di rimanere insieme, di affrontare insieme un destino da perdenti e proprio quelle sconfitte li hanno resi unici. Del Piero e la Juventus, Zanetti e l'Inter, Maldini e il Milan: senza niente togliere a questi fuoriclasse e alle squadre che li hanno espressi, nessuno di loro può reggere il confronto con il rapporto panteistico tra Totti e la Roma.

Ma quello striscione è indimenticabile perché dimostra come la simbiosi unica tra Totti e la Roma trascenda i confini del calcio, per condensare in una sola frase un'intera categoria dello spirito: quella rappresentata dai "romani de Roma", un modo di essere e di pensare altrettanto unico, basato sulla disillusione ironica davanti alle assurdita’ dell’esistenza, il cinismo rassegnato e nello stesso tempo inquieto, la consapevolezza che la vita è una cosa troppo seria per poterne parlare seriamente. Ci sono i rifiuti, il traffico, gli scioperi, il degrado, la corruzione, mafia capitale e tutto quello che leggete ogni giorno sui giornali: ma non ci toglierete mai - sembra dire lo striscione - la nostra identità. Non ci farete mai smettere di essere orgogliosi per quello che siamo.

Questa manifestazione di orgoglio, di identità romana prima che romanista, a vederla da Milano fa abbastanza effetto.  Quando si parla di Milano – solo ed esclusivamente bene, anche se la Boccassini dice che a Milano “la corruzione e’ ovunque” - si citano le possibilità di lavoro, l'efficienza dei trasporti, la funzionalità dei servizi: si parla insomma dei vantaggi che Milano procura a chi la vive.

Quello che però sembra pian piano perdersi nel nulla è il senso di identità, quei valori tipici di sobrietà quasi calvinista, di rigore dignitoso che da sempre avevano caratterizzato Milano e i suoi abitanti. A forza di sentirsi fare i complimenti, è come se Milano si fosse montata la testa, e quei valori li avesse persi lungo il corso del Naviglio, affogati nella volgarità dei tic linguistici importati dall'inglese, nell'autocompiacimento di riti e di comportamenti stereotipati, nel saper parlare sempre e solo di soldi, come se l'intera esperienza umana si esaurisse nella compilazione del 7 e 40.

Se i milanesi di una volta sentissero cose tipo "andiamo al Samsung District a fare un ape in un nuovo localino top" scatenerebbero 5 nuove Giornate di Milano per cacciare gli invasori. Eppure ora gli invasori sono ovunque, e  di quella Milano che vive nei ricordi di chi c'era a volte non sembra essere rimasto nulla. E così, senza memoria e quindi senza difese, Milano cambia faccia fino a diventare irriconoscibile: dietro ai nuovi, spettacolari grattacieli ci sono i negozi storici che chiudono, il centro che si trasforma in ghetto di lusso, i ristoranti di una volta sostituiti da sushi all-you-can eat spesso più letali del cianuro, le multinazionali straniere che si comprano pezzo dopo pezzo la città, trasformandola a proprio piacimento, senza che i cittadini abbiano voce in capitolo.

In tutto questo, alcuni (e sottolineiamo “alcuni”) fanno "i soldi": ma a che prezzo? Cosa rimarrà di noi in futuro?  Abbiamo le weeks, il fashion, le night-out, il design, il car-pool, il bike-sharing, il city pride. Da un punto di vista economico, per ora abbiamo vinto. Ma quell'orgoglio disinteressato, quel senso di identità e di vicinanza, quella passione unica che la Roma sconfitta, nell’istante dell’addio del suo simbolo, ha mostrato ieri al mondo intero... beh, quella cosa lì, noi a Milano non ce l'abbiamo più. Chissà, in futuro, quali saranno le conseguenze. 

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