Milano
Il “caso” Verzoletto: la pittura del Maestro di Trivero
Il Biellese Alberico Verzoletto ha attraverso da solitario protagonista cinquanta anni di arte italiana: la ribellione inattuale di un autentico Maestro
Il “caso” Verzoletto: la pittura del Maestro di Trivero
di Gian Piero Rabuffi
Il sistema contemporaneo dell’arte ci ha abituati a logiche di fruizione sempre più simili a logiche di consumo. Enti di promozione culturale, artisti, curatori, galleristi, critici: tutti i soggetti che vi operano a vario titolo hanno ormai da tempo accettato e interiorizzato una verità che si è imposta del resto nei fatti, senza chiedere il permesso a nessuno: l’arte (anche l’arte, persino l’arte) è essenzialmente mercato. E dalle sue leggi non può prescindere. Leggi, oggi che l’attuale post-capitalismo tecnologico si è auto-incoronato unica ideologia possibile, che poggiano in particolare su un dogma: quello dell’accelerazione continua. Tutto deve essere consumato nel più breve tempo possibile. Anche la parabola della singola esperienza artistica ha un ciclo vitale ormai completamente stravolto. E quell’autentico riconoscimento del proprio valore che giunge dalla lenta e graduale convergenza di un giudizio critico e storico solo al termine del proprio cursus appare oggi come un processo improponibile, inadatto ai nostri giorni. Artisti emergenti sono condotti alla massima esposizione nel più breve tempo possibile, le loro chance si giocano nell’arco della stagione in cui il loro nome è promosso ovunque: se reggono l’urto, le loro quotazioni potrebbero conoscere ulteriori crescite esponenziali. Chi non supera la prova, cadrà nell’oblio, rimpiazzato dalla next big thing. Zygmunt Bauman parlava del resto già ormai venti anni fa del “consumo dell’arte”. Non consunzione fisica o smaterializzazione o logica dell’usa e getta, ma una più profonda, inarrestabile perdita di interesse, una crescente incapacità di generare coinvolgimento, o di mantenere a lungo le emozioni ed i piaceri suscitati.
Qualsiasi idea ci si possa lecitamente fare di tali scenari, è suggestivo e gratificante poter testimoniare anche di storie che vanno in senso opposto. In direzione ostinata e contraria, come cantava il cantautore genovese. Quella di Alberico Verzoletto è la parabola di una ribellione inattuale. Ed un elogio alla lentezza, in anni in cui questa è relegata ai margini come fosse un lusso per anime candide. A suo modo, un piccolo grande caso per il sistema artistico italiano. Che solo recentemente sta (ri)scoprendo la forza di una voce autentica, disvelando la lezione di un percorso affrontato nel solco della verità e senza concedere sconti, in primo luogo verso se stesso. Il “Gigante di Trivero” - come era noto - ci ha nel frattempo lasciato nel 2010, ma la sua eredità culturale ed umana è al centro di un crescente interesse, che si è già concretizzato nel volgere di pochi anni nella pubblicazione di ben tre volumi dedicati alla sua ricca produzione e nell’istituzione di un fondamentale archivio generale delle sue opere.
Fiori, 1999
Girasoli, 1988
Inverno a Curino, 1990
La barca rossa, 1987
Uomo e Natura: un’epica delle piccole cose
Di Verzoletto, nato nel 1935 nel Biellese, colpisce innanzitutto la coerenza. Fedele alle sue radici di uomo, alla sua visione di artista. Ai luoghi cui resterà legato per sempre, celebrandone le innumerevoli sfumature, i moti della stagione, i palpiti di luce, il lento mutare delle cose che scandisce le tappe di eterni ritorni. Pittore locale ma non nel senso deteriore del termine che spesso si è soliti associare a questa definizione: non per necessità, rinuncia o cedimento. Ma perché nelle valli e tra i colli attorno a Trivero, nei boschi e lungo i corsi d’acqua della Valsessera, Verzoletto ha riconosciuto una verità a lui simile. Ed allo stesso ne ha colto i segni di un destino universale. Non ha avuto bisogno di cercare altrove: i motivi che il suo spirito acuto e indagatore ricercava erano già tutti lì. Pittore del paesaggio: percorrendo i campi del vercellese con animo umile, occhio vergine, cuore aperto, l’artista ha saputo catturare tutta la stupita poesia del primo raggio di sole che inonda d’oro una risaia, il movimento arcuato e sinuoso di un giovane fusto d’albero. Come? Non fermandosi mai al dato sensibile, ma passandolo al setaccio, mettendolo in risonanza con le corde del proprio spirito. Trasfigurando, smontando e ricostruendo. Creatore di piccoli mondi che mantengono intatto tutto il senso di familiarità che sanno evocare, ma pervasi da una energia demiurgica vivificante. L’immagine diventa prima immaginario e poi immaginifico, il racconto si fa fiabesco. Quasi mitologico. Ma è un’epica delle piccole cose, di mura in pietra abbarbicate alla collina, di figure che risalgono il sentiero in lontananza. E l’Uomo che incivilisce la Natura, ma che alfine dai suoi ritmi tanto più grandi, saggi ed inesorabili si lascia assoggettare ed avvolgere.
La piena del Sessera, 1988
Marinella - Paesaggio nella riviera apuana, 1991
Paesaggio con neve, 1984
Paesaggio toscano, 1991
Il castagno e la coscienza della terra
Il simbolo più emblematico di tale simbiosi, il crocevia dei motivi di ispirazione dell’arte di Verzoletto è il castagno. L’arbo, l’albero per definizione. Per secoli autentico Albero del pane per queste valli, il suo frutto spesso unico nutrimento nei lunghi e inclementi mesi invernali. E fonte inesauribile di vita, da cui ricavare anche legname, farina, miele. Poi, l’inurbamento e lo spopolamento di queste terre. L’abbandono dei castagni che ha esposto i declivi a sempre più frequenti e pericolosi fenomeni di erosione. Ma ad essere erosa è stata anche una cultura.
Valsessera, 1986
Valsessera, 1996
Nel suo dipingere, ostinato ed affettuoso, a più riprese i castagni delle sue terre, Verzoletto fa testimonianza e diventa coscienza. Non con la petulanza dell’attivista, ma con il carisma di un mistico. Intimamente connesso con i luoghi che racconta e di cui si fa portavoce. Nel gesto, nella parola espressa su tela.
Cinquanta anni di indagine al cuore della realtà
Giunti a questo punto, non stupisce ed anzi appare perfettamente naturale, spendendo qualche riga sul caratteristico linguaggio espressivo dell’artista, che Verzoletto, in un percorso che ha attraversato mezzo secolo, abbia sempre mantenuto una posizione singolare, di lucida indipendenza, rispetto alle tendenze, ai gusti dominanti, alle mode. Ha riconosciuto in un certo tipo di espressionismo la chiave a lui più congeniale per il dipanarsi del suo dialogo con i paesaggi a lui cari. L’osservazione della natura come dato di partenza e l’ascolto della propria interiorità come stella polare dell’atto creativo, che si traduce in una gioiosa esuberanza cromatica, in un ispessimento delle linee, in una semplificazione delle forme. All’interno di questa cornice di riferimento, l’arte di Verzoletto non è tuttavia mai stata statica, mai si è vincolata rigidamente ad un modo di esprimersi. E così, se le opere giovanili sono attraversate da una esuberanza che consente di accostarle a quelle di certi fauves francesi, il gruppo di Le Havre costituito da Friesz e Dufy su tutti, negli anni della maturità Verzoletto scopre ed esalta una propria vena più contemplativa, malinconica e gentile. Proprio come un castagno, per l’artista il trascorrere del tempo ed il volgere delle stagioni costituiscono un mutamento lento ma costante e profondo.
Paese, 1990
Paese assolato, 1990
Sarzana - Paesaggio con cipressi, 1991
Ed ecco che dunque l’avvicinarsi del nuovo millennio ha portato alle sue tele delle tonalità e una veemenza nuove. Per molti versi inaspettate: sono proprio le opere dell’ultimo Verzoletto quelle più tumultuose, infuocate, sconvolte. Di evidenza plastica quasi tridimensionale. E del resto, è bene menzionarlo, l’artista nasce a tutti gli effetti come scultore. In particolare, intagliatore del legno, tecnica che rappresenta il suo primo banco di prova artistico. Ed al legno, così come alla terracotta ed alla china – territori espressivi altri rispetto al principale interesse per la pittura ma non per questo secondari – l’artista pare voler affidare tornandovi a più riprese nel corso degli anni l’espressione più libera della propria fantasia, tra divertissement e immagini di sostanzialità quasi ultraterrena. Con le quali, specie nei disegni, Verzoletto arriva non a caso sino a lambire i confini del non figurativo. Esito estremo e paradosso suggestivo per un pittore così profondamente immerso nella propria realtà. E che costituisce un ulteriore indizio della profondità della ricerca intrapresa dall’artista al cuore delle cose. Se, come noto, ciò che è essenziale è invisibile agli occhi, riuscire per un pittore a rappresentarlo diviene la sfida più grande ed il traguardo più alto.
Sera a via Bolche, 1989