Milano

Il costo di un pomodoro senza caporalato. Siete pronti a sostenerlo? Inchiesta

di Francesco Floris per Affaritaliani.it Milano

Dai campi del sud Italia agli scaffali dei nostri supermercati: quanto costa un pomodoro, quanto incidono caporalato ed agromafie

Il costo di un pomodoro senza il caporalato. Siete pronti a sostenerlo? Inchiesta

Duecentomila immigrati da regolarizzare. Temporaneamente. La gran parte fra coloro che lavorano o intendono lavorare in alcuni settori come agricoltura e allevamento. Ecco il succo dei provvedimenti in materia di immigrazione presi del Dl Rilancio. In equilibrio fra chi accusa il governo di sanatoria mascherata e le lacrime della ministra Bellanova in conferenza stampa che parla di lotta al caporalato. Oltre la battaglia delle idee rimane però una domanda inevasa: chi paga per avere nei campi dei lavoratori con diritti e tutele invece che degli “schiavi”? I produttori agricoli? Gli intermediari? La grande distribuzione? O i consumatori finali? I numeri sono inesorabili. La settimana prima che venisse registrato il caso del “paziente 1” a Codogno, il 14 febbraio, viene chiusa la trattativa fra produttori e industriali per il prezzo annuale del pomodoro destinato alla trasformazione nel nord Italia: 87 euro a tonnellata. In aumento di un euro rispetto all'anno precedente. E 136 euro a tonnellata per il biologico. “È impossibile parlare di eticità del prodotto a 87 euro per tonnellata, è un prezzo assurdo anche considerando meccanizzazione e trasporti più fluidi che al nord abbattono parte dei costi” racconta ad Affaritaliani.it Milano un manager di un'importante società del settore che chiede l'anonimato. E spiega come dentro i gruppi industriali sia prassi commissionare, anche alle università, i cosiddetti “conti culturali”: sono analisi che partono proprio dai prezzi di piantine, concimazione, acqua, manodopera, andamento di crescita e di tutti i fattori della produzione. Che portano a determinare il prezzo della materia prima, poi destinata alla trasformazione per realizzare pelati, cubettati, concentrati e via dicendo, rispetto a standard minimi di legalità e etica.

Quello che accade, però, è che se il conto culturale non corrisponde, o non si allinea, ai valori che vengono pagati nella realtà e garantiscono profitti, allora non viene reso pubblico. Oppure se ne commissiona un altro. I conti interni alla sua società parlano di cifre comprese fra i 130 e i 140 euro a tonnellata come prezzi base, poi rivisti fino a 120 euro/tonnellata su commissione. Per intendersi, l'accordo per la campagna 2019 nel centro-sud Italia prevedeva 95 euro alla tonnellata per il pomodoro tondo e 105 euro alla tonnellata per il lungo, con valori già in aumento di circa il 10 per cento sull'anno precedente. E aggiunge: “Non è comunque certo che pagando un prezzo sostenibile allora il lavoro nei campi verrebbe regolarizzato o retribuito correttamente perché la parte agricola potrebbe voler aumentare i propri margini”. La “parte agricola” o quella criminale infiltrata. Eurispes stima il “fatturato” della agromafie in 25 miliardi di euro. Con 27 clan di mafie tradizionalmente intese interessati al fenomeno oltre alle organizzazioni criminali di origine straniera. Il sistema informale domina su quello formale e alcune norme che regolano le migrazioni lo rafforzano. È il grande non detto dell'intera filiera. Che rimane tale anche se da anni si moltiplicano le iniziative per la creazione di piattaforme digitali basate sulla blockchain che garantiscano la completa tracciabilità dei prodotti, dalla raccolta alla lavorazione fino alla consegna del prodotto finito, per coinvolgere e monitorare ogni anello della catena.

“A spese di chi facciamo la spesa?”. Ecco la domanda che poneva precisamente un anno fa – il 17 maggio – Elisa Bacciotti di Oxfam Italia, presentando a Milano alla Casa della Memoria la campagna “Al giusto prezzo” della ong internazionale. Un dossier per conoscere e divulgare cosa c'è dietro il prezzo dei prodotti che compriamo sugli scaffali dei supermercati. Domanda rimasta irrisolta. E che merita – o meriterebbe – un capitolo di approfondimento nei decreti del Governo Conte Bis. Perché dietro allo scontro politico e nell'opinione pubblica e all'ombra dei tecnicismi dei provvedimenti del Dl Rilancio, con cui la maggioranza ha trovato la quadra sulla regolarizzazione temporanea di una parte degli immigrati irregolari presenti in Italia (200mila dicono le prime stime attribuite al Ministero dell'Interno), rimangono quesiti e dati che dalle campagne arrivano dritti dritti in corsia al supermarket. Secondo quanto riporta Oxfam Italia, riprendendo un’indagine condotta dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, emerge come su un campione di 471 imprese agroalimentari nel 67 per cento dei casi il distributore è solito proporre di modificare a proprio vantaggio le condizioni economiche già pattuite in fase di contrattazione. Mentre il 74 per cento dei fornitori intervistati dichiarano di percepire queste richieste come vincolanti. Tanto da accettarle sempre (il 20 per cento) o spesso (il 37 per cento) pur di non subire possibili ritorsioni come il delisting, cioè l’esclusione dalla lista dei fornitori. È un mercato in cui i grandi distributori che vendono a marchio proprio, le private label, dettano legge. E possono imporre ribassi molto onerosi. Eurospin per esempio è finita al centro di un’inchiesta giornalistica, in cui Fabio Ciconte e Stefano Liberti hanno svelato i particolari di un'asta al doppio ribasso. Con cui la società si è assicurata un’importante partita di passata di pomodoro: 20 milioni di bottiglie da 700 grammi spuntate ad un prezzo unitario di 31,5 centesimi di euro. Oltre i singoli casi ci sono poi delle prassi generalizzate che influiscono sul prezzo, come quelle relative alla resa e agli scarti. Che vengono “scalati” alla parte agricola in funzione della “difettosità” del pomodoro.

Gli accordi quadro annuali sul prezzo sono diversi per nord e sud Italia in funzione delle varietà del prodotto, dei sistemi di trasporto e la logistica (al nord vengono scaricati in delle vasche piene d'acqua, il cosiddetto metodo “alla rinfusa”), dei livelli di meccanizzazione o dei sistemi di irrigazione che ovviamente impattano sui costi. Sono trattative che servono a realizzare un minimo di programmazione. Ma comunque vengono derogate da una posizione di forza in base agli andamenti del mercato o alle condizione meteo-climatiche. “Nel rapporto con i propri fornitori – chiude il dirigente – qualche volta si è etici nella previsione del prezzo rispetto a quella che sarà la raccolta. Ma se questa non va come ci si attende i costi vengono scaricati sulla parte agricola”.







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