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Il Decreto "Salva Casa" e il sistema delle oblazioni: possibili profili di illegittimità costituzionale?

Il Decreto "Salva Casa" e il sistema delle oblazioni: possibili profili di illegittimità costituzionale?

Con l’ormai noto Decreto Legge n. 69/2024 (c.d. “Salva Casa”), convertito con la Legge n. 105 del 24 luglio 2024, il legislatore è intervenuto introducendo importanti modifiche al D.P.R. n. 380/2001 “TUE” (Testo Unico Edilizia), con riferimento alle quali molto si è detto e molto si è scritto nel corso dell’estate. Tali modifiche hanno, infatti, riguardato: il nuovo regime del cambio delle destinazioni d’uso, i nuovi limiti delle tolleranze costruttive, la modifica della disciplina dello stato legittimo degli immobili e quella dell’accertamento di conformità o “sanatoria edilizia”.

Modifiche all'accertamento di conformità: nuove categorie di abuso

In particolare, tanto “clamore” hanno suscitato proprio le modifiche apportate alla disciplina dell’accertamento di conformità (o “sanatoria edilizia”). Infatti, già in sede di D.L. n. 69/2024, dunque prima della sua conversione in Legge avvenuta a luglio, era stata introdotta una significativa novità sul punto. Difatti, se prima di tale modifica per richiedere il permesso di costruire in sanatoria o presentare la segnalazione certificata in sanatoria, era necessario rispettare sempre il requisito della c.d. “doppia conformità” alle regole urbanistiche ed edilizie (ossia l’intervento realizzato in assenza di permesso/segnalazione certificata poteva essere sanato soltanto se risultava conforme a dette regole sia al momento della sua realizzazione, sia al momento della richiesta della sanatoria), adesso il legislatore ha distinto due macro-categorie di abusi ai fini dell’accertamento di conformità, distinguendo in particolare fra interventi eseguiti in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire o segnalazione certificata di inizio attività “alternativa al permesso di costruire” e quelli eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire e in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività c.d. “semplice”, prevedendo soltanto per i primi il rispetto del requisito di tale principio.

Il ritorno del principio di doppia conformità e criticità nella disciplina delle oblazioni

Non risulta, tuttavia, corretto sostenere ad avviso di chi vi scrive che sia stato superato detto principio all’interno del nostro ordinamento. Infatti, sul punto, prima della conversione del Decreto in Legge, è intervenuta la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 125 del 15 luglio 2024, affermando “che tale intervento non ha inteso superare il requisito della cosiddetta ‘doppia conformità’, ma ne ha circoscritto l’ambito di applicazione agli abusi edilizi di ‘maggiore gravità’”, riconoscendo pertanto come tale principio mantenga tuttora la sua centralità in materia edilizia. Il legislatore, sotto questo aspetto, ha pertanto inteso semplicemente circoscrivere la sua applicazione ai casi di “maggiore” gravità dell’abuso, tuttavia non sono mancate alcune criticità, in fase di adozione del decreto, che hanno reso necessario da parte dello stesso legislatore un intervento ad hoc in sede di legge di conversione. Si tratta, in particolare, della disciplina delle “oblazioni”, ossia delle somme da pagare per il rilascio del titolo edilizio in sanatoria o in sede di presentazione della segnalazione certificata in sanatoria, nella fattispecie in particolare degli interventi realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire o in assenza o totale difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività. Infatti, in sede di adozione del D.L. n. 69/2024, la prima formulazione del “nuovo” art. 36 bis del “TUE”, per quanto concerne le somme da pagare a titolo di oblazione, al comma 5, non prevedeva alcuna differenziazione rispetto al tipo di abuso realizzato, assimilando, pertanto, situazioni diverse alla medesima disciplina.

Modifica al calcolo delle oblazioni: interventi parziali e interventi senza segnalazione

Per risolvere tale problematica, si è resa necessaria, come anticipato, da parte del legislatore adottare in sede di conversione del Decreto, avvenuta con la L. n. 105 del 24 luglio u.s., la seguente modifica al comma 5 del “nuovo” art. 36 bis “TUE”: nel caso di interventi realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire e nel caso di variazioni essenziali, l’importo da pagare è commisurato o al doppio del contributo di costruzione (se intervento “oneroso”, cioè che determina il pagamento di detto contributo) o in misura pari al contributo di costruzione (se intervento “gratuito”, cioè che non determina il pagamento di detto contributo), incrementato del 20%. Se, però, l’intervento risulta conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda, non si applica tale incremento del 20%. Nel caso di interventi realizzati in assenza della segnalazione certificata di inizio attività o in difformità da essa, l’importo da pagare è pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile valutato dai competenti uffici dell’Agenzia delle entrate, in una misura non inferiore a 1.032 euro e non superiore a 10.328 euro. Se, però, l’intervento risulta conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda, l’importo da pagare è pari a una somma non inferiore a 516 euro e non superiore a 5.164 euro.

L'intervento del legislatore: uniformità e coerenza della Disciplina

Il legislatore è, quindi, intervenuto in sede di legge di conversione, per evitare possibili rischi di legittimità costituzionale, correggendo la disciplina delle oblazioni. Si è trattato di un intervento resosi necessario proprio in quanto – sotto il profilo delle somme da pagare a titolo di oblazione – non era ammissibile creare una disparità di trattamento fra cittadini, prevedendo la medesima “sanzione” dinanzi però ad abusi di diversa gravità. Il legislatore, pertanto, si è allineato al principio di “differenziazione” degli abusi anche sotto questo profilo, rendendo coerente ed omogenea l’intera disciplina.


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