Milano
Il gruppo “No alla maturità 2020”. I ragazzi: deve far fede la media
L'emergenza Coronavirus ha creato non pochi problemi agli studenti, soprattutto quelli che devono affrontare la maturità quest'anno: "Si guardi alla media voti"
Il gruppo “No alla maturità 2020”. I ragazzi: deve far fede la media
“Siamo cittadini, non solo studenti. Per questo la nostra voce deve avere un valore. L’esame di maturità in queste condizioni non ha senso: che ci valutino secondo la media del triennio, non ci sono elementi per giudicarci altrimenti, adesso”. J. ha diciotto anni e fra una manciata di settimane farà l’esame dei maturità. Come, dove e quando, non s’è capito ancora. J. ha un nome, un cognome, una città, ma quali siano non importa: come fossero in guerra, i maturandi di questo assurdo anno 2020 hanno scelto un nome collettivo di battaglia, perché il fine sia il fine di tutti. Tutti, per adesso, sono 18.500 diciottenni italiani, prossimi al diploma e sospesi - se possibile - più di tutti gli altri. Come se la loro età non fosse abbastanza sospesa già di suo. Le loro istanze e le loro richieste si riuniscono su una pagina Instagram, e poi su Facebook, e poi ovunque ci sia spazio, montando fino a raggiungere le televisioni, e il Parlamento: il loro nome è “No maturità 2k20”, l’interlocutore designato Lucia Azzolina, ministra dell’Istruzione. A raccontarci la mobilitazione mediatica è appunto J., diciottenne lombarda nel direttivo della pagina.
“Abbiamo iniziato alla fine di febbraio, quando qui in Lombardia è partito il lockdown. Ciascuno scriveva con il proprio profilo personale, forse senza un intento preciso: volevamo solo attirare l’attenzione della ministra. Poi ci siamo uniti a una pagina che stava nascendo, unendo i nostri followers: la pagina è diventata attiva verso marzo, e adesso siamo 18.500. Per ogni post tagghiamo la ministra, sia su Instagram che su Facebook, nella speranza che ci legga”.
Risposte?
“Poche e vaghe. Noi abbiamo raccontato storie di ragazzi con difficoltà a seguire, a stare in pari: magari alcuni non hanno la connessione, o hanno un solo pc da dividere con genitori e fratelli, o non hanno materialmente lo spazio per seguire le lezioni. Lezioni che poi sono gestite in maniera arbitraria da scuola a scuola, spesso da docente a docente: c’è chi interroga di domenica, chi dà appuntamento per spiegare il sabato pomeriggio, altri professori che hanno iniziato a usare le piattaforme solo due settimane fa, mentre di contro ce ne erano altri presentissimi dal primo momento. Un caos totale: la gestione ministeriale ci ha lasciati in anarchia. La ministra non ci ascoltava, allora abbiamo cercato l’attenzione dei media in modo che la voce arrivasse a livello nazionale: abbiamo reclutato ragazzi da tutta Italia”.
Risultati?
Siamo riusciti ad avere una live con il giornalista Gianluigi Nuzzi, e ultimamente si è interessata al nostro caso Anna Maria Bernini di Forza Italia (capogruppo azzurra al Senato, ndr.). Abbiamo creato un gruppo Telegram dove facciamo girare le mail che poi inviamo in massa al ministero, tutte con lo stesso testo, ne fanno parte 1.500 ragazzi. Alle nostre mail la risposta ministeriale è sempre ‘Va tutto bene, vi faremo sapere’”.
Però, nell’ottica pentastellata del reddito di cittadinanza avere ottenuto la promozione di cittadinanza. Questo vi incentiva o vi toglie la voglia di studiare?
“Siamo tutti ammessi, sì. Ma non necessariamente tutti promossi, dovremo sostenere un esame, comunque. Ed è questo che noi contestiamo: non si può chiamare esame di stato una prova che si riduce nei fatti ad essere al massimo un esame di classe. A questo punto non ha senso farlo, ed è questa la nostra richiesta: che l’esame venga abolito e che la maturità abbia valore legale in forza della media del triennio”.
Adesso pare vincere l’ipotesi dell’esame in presenza su quella dell’esame in videoconferenza.
“Sì, hanno iniziato da più parti a premere per fare l’esame in presenza. D’altro canto l’esame online, secondo sondaggi che sono usciti, sarebbe da escludere per vari motivi, tra cui l’instabilità della connessione. Mancano solo cinque settimane, è pochissimo tempo, e non abbiamo ancora direttive sicure. Sappiamo solo che ci sarà un orale di 60 minuti, ma sappiamo anche che molte scuole hanno cambiato i consigli interni, e anche le materie da portare all’esame, che all’inizio dovevano essere tutte, poi solo sei, adesso in certi casi nove, ma vale solo per alcune scuole. In certe scuole sono cambiate adesso le materie, a meno di un mese dall’esame: questo destabilizza ulteriormente gli studenti. Le commissioni poi dovevano essere composte da tre commissari interni e tre esterni, ora pare che invece debbano essere tutti interni… Non c’è una legge che unifichi questo esame di Stato, finirà per essere un esame di classe”.
Quanti sono gli studenti in questo limbo, e cosa chiedono?
“I maturandi sono circa 500.000 in Italia. Ma naturalmente la stessa situazione è affrontata in modi diversi nel resto del mondo: quello che noi proponiamo è già stato scelto da altri Paesi in Europa… la ministra Azzolina ha infatti detto che l’Italia sarà uno dei pochi Paesi a scegliere un’altra via”.
Appellarsi all’emergenza non è una strategia?
“No: la Costituzione è stata calpestata già più volte, in questi mesi. L’articolo 32, il diritto alla cura, è stato violato quando non tutti hanno avuto accesso ai respiratori. L’articolo 16 quando è stato sospeso il diritto a circolare su territorio nazionale. E l’articolo 33 e 34 quando è stato dato per scontato che tutti da casa potessero avere gli stessi mezzi per seguire le lezioni, e quando è stata data ai professori la discrezionalità su come tenerle: è inevitabile che il programma in tanti casi sia stato seguito a singhiozzo, molti sono troppo indietro per poter affrontare l’esame”.
Però, preparata. Avete anche dei professori dalla vostra parte?
“Sì. Sia su Instagram che su Facebook abbiamo raccolto il sostegno di docenti, genitori, psicologi. Anche dei preti. Pensavamo che li avremmo avuti tutti contro, invece alcuni hanno anche firmato la nostra petizione: abbiamo 38.000 firme. Gli adulti si rendono conto che tornare a scuola anche solo per un giorno potrebbe essere un rischio per tutti. Possiamo diffondere il contagio tra di noi, tra i professori, nelle nostre famiglie. Immaginate cosa succederebbe a chi ha un fratello immunodepresso a casa, o un nonno. O ai professori stessi. Senza contare che in questi mesi di emergenza, tra l’ansia e le restrizioni, anche studiare è stato difficile: alcuni di noi, con i genitori ancora al lavoro, si sono presi cura della casa, dei fratelli… Poi ci sono i privatisti, che non capisco perché siano stati spostati a settembre, compromettendo l’ingresso in università”.
Insomma, la situazione è eccezionale: chiedete di fare eccezione.
“Speriamo almeno di arrivare a un compromesso: eliminare la maturità e basarci sui voti che abbiamo. Altrimenti sarà solo un esame falso”.