Milano
Il modello De Albertis e la sfida di Milano: il pungolo “collettivo” a Sala
La parabola del compianto presidente della Triennale, la cui nomina fu uno snodo decisivo dell'Amministrazione Pisapia, può insegnare molto a chi governa oggi
di Ambrogio Simonetta (vedi nota in fondo)
In occasione della recente scomparsa di Claudio de Albertis la generale e condivisa commozione di amici e parenti è stata tale da far passare necessariamente in secondo piano la grande perdita che la nostra città dovrà sopportare per l’assenza di uno dei protagonisti più importanti della rinascita civica della nostra Milano.
De Albertis è stato uno degli interpreti emblematici della svolta impressa con l’amministrazione Pisapia nel 2011 nella nostra città. Liberale di cultura, politicamente uomo di centro destra tanto da essere seriamente considerato come possibile candidato di quello stesso schieramento prima di Stefano Parisi (per il quale ha poi votato), non ebbe esitazioni a collaborare con l’amministrazione “arancione” con quella lealtà istituzionale e personale che distingue il servitore civico da un capo fazione.
La sua nomina a Presidente della Triennale fu, in buona parte suo malgrado, uno degli snodi fondamentali in quello che era il ritorno della sinistra riformista al governo di Milano dopo oltre venticinque anni.
Si era nei primi mesi di amministrazione ed all’interno della Giunta si confrontavano di fatto due diverse concezioni politiche, quella “arancione” incarnata dagli assessori non legati ai partiti e quella all’epoca con forte tratto “revanchista” di una parte del Pd che faceva capo all’ assessore Boeri, che intendeva far valere i diritti dell’azionista di maggioranza e che considerava al tempo Giuliano Pisapia un accidente della storia cittadina ed una parentesi da chiudere politicamente il prima possibile.
Lo scontro che iniziò allora e che si concluse mesi dopo con l’uscita di Boeri dalla Giunta era totalmente politico, in pratica il seguito di quello che si era consumato con le primarie dell’anno precedente.
La nomina del presidente era ed è di spettanza del Cda, all’interno del quale la candidatura di Claudio venne avanzata ad opera dei membri espressione della Camera di Commercio, ma al Comune ed al sindaco spetta una sorta di condivisione politica con il ministero della cultura che costituisce di fatto un indispensabile gradimento. In molti erano convinti che fra i membri del Cda in carica Claudio de Albertis avesse le necessarie caratteristiche di capacità manageriale, indipendenza professionale e politica necessaria per pilotare la Triennale nel mandato che l’avrebbe vista essere, fra l’altro, protagonista importante di Expo 2015.
All’interno della Giunta furono gli assessori De Cesaris e D’Alfonso i più decisi sostenitori della candidatura de Albertis, convinti di dover impedire che l’istituzione Triennale tornasse ad essere oggetto del contendere di una delle infinite ed esiziali dispute fra architetti e membri di una “corporazione intellettuale” che, confondendo il confronto culturale e professionale con l’esercizio della (propria) professione e la gestione ed amministrazione di un Ente, l’avevano portata più volte nel corso della sua storia al dissesto ed alla paralisi operativa. Si contrapponeva, del tutto legittimamente, una tendenza contraria, guidata proprio dall’architetto Boeri, che invocava una “discontinuità”, parola magica che intendeva promuovere la nomina di un membro del gruppo degli autonominati “migliori” per definizione. Il vizio antico della sinistra autoreferenziale, quella che senza merito e senza aver sostenuto battaglie politiche aveva guidato alla sconfitta la sinistra milanese per venti anni in nome del vecchio detto “sconfitta sia, basta che sia mia” , tornava a manifestarsi: de Albertis è il capo dei “costruttori” , dei palazzinari, il “posto” spetta ad “uno dei nostri” .
La storia di questi anni di Triennale ci dice che chi allora sostenne de Albertis ha avuto ragione, ma soprattutto che l’idea di un governo della città che si basa sulla condivisione dei valori e non sul compromesso sui valori o sulla contrapposizione prevaricatrice degli uni sugli altri, è la strada giusta, una sorta di precondizione per la riaffermazione della buona politica.
Nell’anno che verrà, Milano sarà chiamata a confermare quanto fatto nel passato ma soprattutto a proporre il metodo di convergenza civica come modello per l’intero Paese. Sarà essenziale innanzitutto non cedere a spinte regressive provenienti da quella stessa parte politico-culturale, che è tutt’altro che scomparsa: lo abbiamo visto con le polemiche sulla candidatura Sala (“non è di sinistra”, salvo poi scoprire che è l’unico a saper vincere a sinistra in questi tempi ed accomodarsi velocemente ad occupare ogni sgabello disponibile), rischiamo di rivederlo, ancora con architetti protagonisti, sulla vicenda degli Scali ferroviari, lo vedremo in tante partite politiche che sono aperte a tutti i livelli.
Claudio de Albertis potrà aiutarci con la forza del suo esempio, uguale a quello di tanti altri milanesi del passato, del presente e, ne siamo sicuri, del futuro.
•Ambrogio Simonetta è un nome collettivo che firma scritti, indicazioni ed anche polemiche dei municipalisti milanesi convinti che quel che Milano pensa oggi, l’Italia penserà domani, come diceva Salvemini. L’acronimo fra il vescovo Ambrogio ed il laico Cicco Simonetta simboleggia la sintesi fra le migliori antiche radici politiche, amministrative e culturali sulle quali si fonda la tradizione di buon governo e di buona politica cui si ispirano.