Milano
Il paesaggio come realtà, impressione e simbolo: la mostra al Castello di Novara
Da Migliara a Pellizza da Volpedo: a Novara un ricco excursus tra i più grandi paesaggisti italiani tra Settecento ed inizio Novecento
Il paesaggio come realtà, impressione e simbolo: la mostra al Castello di Novara
Con quanti sguardi si può osservare un dipinto? Tra le tante chiavi di lettura possibili, la mostra "Realtà Impressione Simbolo. Da Migliara a Pellizza da Volpedo" organizzata da Mets e visitabile al Castello di Novara sino al 6 aprile è anche il racconto dell'ingresso di Milano e del nord Italia nella contemporaneità.
La proposta di percorso rigorosamente cronologico della curatrice Elisabetta Chiodini e del comitato scientifico composto da Virginia Bertone, Elena Lissoni, Fernando Mazzocca consente infatti una (almeno) duplice esperienza. Da un lato il visitatore può infatti apprezzare l'evoluzione dal punto di vista del linguaggio artistico di un tema, quello del paesaggio, dalla grande tradizione lombarda di inizio Ottocento alle visioni simboliste dei primi del Novecento, attraversando le cruciali fasi del dialogo con la Francia, dell'irrompere dell'Impressionismo, del grande naturalismo di fine Ottocento.
Il paesaggio e l'"eccezione" simbolista
Tappe scandite dall'operato di maestri assoluti del genere, da Marco Gozzi e Giovanni Migliara a Filippo Carcano, passando per Mosé Bianchi, Emilio Gola, Emilio Longoni, Carlo Fornara. Sino a nomi come Giovanni Segantini, Angelo Morbelli, Giuseppe Pellizza. Non semplici paesaggisti ma che nel paesaggio trovarono alcuni dei motivi di massima ispirazione per la loro arte. E partendo proprio dal fondo, ovvero dall'ultima sezione della mostra, quella dedicata alle opere senza tempo dei simbolisti, sottolineiamo qui la qualità assoluta e la forza evocativa di dipinti come "Mezzogiorno sulle Alpi", di Segantini, "L'aquilone" di Fornara, "Sul fienile" di Pellizza da Volpedo o "L'amore alla fonte della vita", nuovamente Segantini.
Opere "eccezionali" nel contesto dell'esposizione novarese nella misura in cui del tutto particolare è l'approccio simbolista al paesaggio. Centrale non per ciò che è ma per quello di cui è segno, in una rappresentazione trascendentale della realtà che dischiude ad altri orizzonti al di là del visibile. Nelle altre sezioni, viceversa, il paesaggio (naturale o urbano) è protagonista in quanto tale, hic et nunc. Assieme alle figure ed ai personaggi che lo popolano.
Dal tardo neoclassicismo di Gozzi al trionfo del naturalismo lombardo
Ed è qui che torniamo dunque alla nostra premessa iniziale. Ed alla possibilità di farci accompagnare dai dipinti della mostra anche in un racconto dell'emersione di una nuova società, i cui tratti sarebbero poi divenuti fondativi sino ai nostri giorni. Nelle scene in parte tardo neoclassiche di Gozzi, di Massimo D'Azeglio, di Migliara e di Giuseppe Bisi domina ancora l'aneddoto. Le figure umane sono semplici comparse nel più ampio e ambizioso allestimento paesaggistico, perlopiù in contesti agresti. Così è anche con la successiva apertura al romanticismo d'Oltralpe, come testimoniano Angelo Beccaria, Antonio Fontanesi o Ernesto Rayper. E con il suggestivo emergere di suggestioni impressioniste, grazie a Filippo Carcano, o Eugenio Gignous.
E' con la stagione corrispondente al trionfo del naturalismo lombardo di fine Ottocento che tuttavia qualcosa sembra mutare a livello più profondo. Lo si coglie nella vivacità colma di espressività dei "Giochi di bimbi" di Lorenzo Delleani. O nella figura di donna elegantemente vestita ed assorta nella lettura sulla riva di un lago di "Leggendo Praga", di Paolo Sala. Ed ancora nell'operosità vibrante delle lavandaie in "Sulla Strona", di Achille Befani Formis. La figura umana diviene materia viva che si staglia sul paesaggio. Non elemento decorativo ma piena e specifica individualità. L'interesse non è più per una generica figura umana o per un altrettanto vago concetto di popolo. Ma si sposta verso le persone. Persone vere, di cui possiamo cominciare a intuire, ritratti su tela, pensieri, sentimenti ed emozioni. E' la nascita della società per come la conosciamo noi oggi. Composta da cittadini. Perlopiù borghesi. Il cui sguardo sul mondo viene accolto e fatto proprio dagli artisti stessi.
I paesaggi urbani e Milano
La sezione della mostra novarese che maggiormente racconta questo cambio di passo è quella dedicata ai paesaggi urbani. E nella fattispecie milanesi. Scorci come quello di "Milano di notte", opera di Mosè Bianchi, o lo straordinario "Il Naviglio a ponte San Marco", di Segantini, non restituiscono solo una idea di città che riusciamo a riconoscere come nostra e attuale. Sono le persone che la popolano e la vivono con le quali finalmente ci pare di poterci identificare. Nonostante siano passati ormai quasi centocinquanta anni. L'irruzione di un nuovo insieme di valori che ridefiniscono individuo, società e socialità trova puntuali riflessi anche nelle scelte che presiedono ai soggetti ed ai temi della pittura del tempo. E' la mondanità frivola ma gioiosa di Leonardo Bazzaro in "Passa la funicolare" o "Civettuole".
L'alta montagna come ultima frontiera del visibile
Immagini in grado di cogliere uno spirito che - mutatis mutandis - chiunque potrebbe oggi catturare in modo non molto dissimile con il proprio smartphone, facendo foto ai propri gruppi di amici durante una gita fuori città. I concetti di tempo libero e turismo sono nuovi costrutti sociali che hanno ricadute anche più profonde che si riverberano in pittura.
Se altri artisti in quegli stessi anni a cavallo tra i due secoli avrebbero investigato la nozione di esotico attingendo alle ritrovate meraviglie africane come Picasso o spingendosi ai confini del mondo come Gauguin, per alcuni pittori del Nord Italia è stata l'alta montagna a costituire l'ultima frontiera dello stupore e di ciò che è rappresentabile. Paesaggi alpini estremi e sempre più remoti, per indicare ad un pubblico sempre più interessato e sensibile il confine dell'esplorabile. Vi è traccia di questo nel pic-nic in altura di "Lago del Mucrone", di Lorenzo Delleani. Ed ancora di più in dipinti in cui la figura umana non trova neanche spazio perché protagonisti sono paesaggi incontaminati e selvaggi come ne "Il ghiacciaio di Cambrena", di Carcano. Od ancora di più in "Alba in alta montagna" di Longoni. Un panorama talmente rarefatto e sublimato da divenire onirico, una atmosfera spirituale. E siamo di fatto alla chiusura del cerchio che ci riconduce sui sentieri simbolisti che abbiamo già solcato. Ovvero alla rappresentazione di una visione talmente estrema da non essere più semplicemente percepibile come un semplice paesaggio.