Il professore Alberto Mingardi: "Berlusconi un collante tra popolo-èlite" - Affaritaliani.it

Milano

Il professore Alberto Mingardi: "Berlusconi un collante tra popolo-èlite"

di Nicolò Rubeis

Il professore associato di storia del pensiero politico alla Iulm, in un'intervista ad Affaritaliani.it Milano, analizza l'Italia del Cavaliere

Il professore Alberto Mingardi: "Berlusconi un collante tra popolo-èlite"

"Dentro al Duomo un pezzo di élite, fuori un pezzo di popolo. Silvio Berlusconi era il collante tra questi due mondi". Alberto Mingardi, direttore generale dell'Istituto Bruno Leoni e professore associato di storia del pensiero politico alla Iulm, in un'intervista ad Affaritaliani.it Milano analizza l'Italia del Cavaliere. Dal Berlusconi politico al geniale imprenditore, fino al rapporto con la giustizia e al futuro del centrodestra. 

Mingardi, tra 70 anni gli storici come ricorderanno Berlusconi? 

Berlusconi è stato importante sia come imprenditore sia come uomo politico. Lo storico ricorderà l'uno e l'altro. Anche se il percorso politico è stato accidentato, e molte delle sue promesse sono rimaste tali, rimane il premier più longevo d'Italia, in un Paese dove i presidenti del Consiglio tendono a non esserlo. La fondazione dal nulla di un partito è stato un autentico miracolo, qualcosa che non si era mai visto dal punto di vista organizzativo. Ma la cosa che secondo me più incuriosirà gli storici è quello che si è visto mercoledì. 

Ci spieghi meglio. 

Ai funerali c'erano personaggi della politica, dell'impresa, dello spettacolo e dello sport. Mondi che raramente convivono nell'avere come punto di riferimento un'unica persona. Berlusconi è stato un self made man autentico, altra cosa che non si vede spesso in questo Paese. Sfidò il monopolio pubblico in tv sul terreno della concorrenza e portò cambiamenti anche nei costumi e nei linguaggi. La sua casa cinematografica fece arrivare in Italia il Signore degli Anelli. Al netto del sua centralità nella vita politica, più ci allontaniamo nel tempo più la sua storia apparirà come epocale. 

Anni di inchieste e di processi, ma una sola condanna. Come affronteranno questo aspetto gli storici? 

Questo è un tema che riguarda la complessa situazione della magistratura, rispetto alla quale il caso di Berlusconi, seppur allineato a tanti altri, è paradossale ed eclatante. Il giudizio degli storici del futuro dipenderà anche dalla capacità dei politici del presente di riformare la magistratura. Sarà difficile non porsi il problema di come funzionasse l'equilibrio dei poteri in Italia. 

In Berlusconi si specchiava una parte di Paese?

Era un grande uomo di impresa e un mito per i tifosi del Milan. Una delle poche figure di connessione tra un popolo autentico e un pezzo dell'establishment italiano, del quale faceva parte per questioni di carriera e ricchezza. Secondo Giovanni Orsina la sua più grande intuizione è stata proporre una politica non ortopedica. Era il primo rappresentate dell'élite convinto che il problema non fosse rifare gli italiani, ma avere istituzioni migliori in grado di realizzare la promessa implicita: 'Se mi votate, potrete diventare ricchi anche voi'.

La sua più grande eredità rimane il centrodestra unito? Lo stesso schema del '94 governa oggi... 

Con pesi molto diversi. Ma il problema del fondatore è quello di assicurarsi una successione. Lui questo tema se lo è posto nel mondo degli affari, scegliendo collaboratori all'altezza. In politica, invece, ha sempre pensato a Forza Italia come un giocatolo di cui mantenere il controllo. La coalizione è rimasta la stessa, ma il fatto di non pensare a come selezionare una sua classe dirigente è stato un limite. 

Anche in vista delle europee, senza Berlusconi la coalizione si scopre troppo a destra? 

Le coalizioni sono strumenti imperfetti ma lasciano all'elettore un certo menù nel quale scegliere. Forse una certa quota del consenso di Giorgia Meloni, alle ultime elezioni, viene anche da coloro che volevano votare per il centrodestra ma erano anche infastiditi da Salvini, percepito come inconcludente, e stufi di Berlusconi, che avevano già votato nei vent'anni precedenti. Meloni ora cammina su una strada che sembra evidente. 

Ossia? 

Per quanto sia orgogliosissima della sua comunità politica e voglia portarla alla stazione successiva, ha anche scelto una via 'moderata' nell'azione di governo. Non le serve tanto un posizionamento moderato quanto qualche aiuto per dialogare con il Ppe, qualche bravo ambasciatore in grado di mettere a punto una coalizione popolari/destra alternativa a quella popolari/socialisti. Però è evidente che ormai Meloni ha solidi rapporti personali con i Weber e le Von der Leyen...

L'idea di partito repubblicano-conservatore può tornare di moda?

La precedente esperienza, quella del Popolo della libertà, non ha portato molto bene. Ma allora c'erano individualità più forti e anche qualche piccolo ma non irrilevante dissidio ideologico. Oggi, paradossalmente, Meloni appare molto più padrona in casa propria di quanto Berlusconi non sia mai stato: anche perché la qualità del ceto politico è ulteriormente peggiorata in questi anni e nessuno pare in grado di tenerle testa. Non c'è, a parti invertite, un Gianfranco Fini in Forza Italia che possa alzare la testa... 

E quindi come finirà?

Bisogna vedere se, ora che non c'è più il fondatore e capo per definizione e vocazione, in Forza Italia si può formare un ceto dirigente più attrezzato. Mi sembra improbabile. Più probabile che Forza Italia venga attratta nell'orbita di Fratelli d'Italia. Allora diventa una questione tattica: se a Meloni conviene mantenere due brand, sapendo anche che gli elettori sono tradizionalisti quando si tratta di simboli sulla scheda elettorale, oppure provare l'avventura del partito unico.








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