Milano

Immuni alla verità: il lato oscuro del mito della smart city

Federico Ughi

Con il libro "Immuni alla verità" la giornalista Nicoletta Prandi demistifica molti miti della contemporaneità: "Milano smart city, è quello che vogliamo?"

Immuni alla verità: il lato oscuro del mito della smart city

"La politica, così come l'abbiamo conosciuta in settant'anni di storia repubblicana è al tramonto? Senza dubbio ha iniziato a esserlo mano a mano che il ricorso all'IA ha iniziato a diffondersi a macchia d'olio, celebrato con corone d'alloro". E' questa una delle tesi chiave di "Immuni alla verità - Quello che (non) dobbiamo sapere sul potere digitale", libro di Nicoletta Prandi edito da Guerini e associati. Un saggio con il quale la giornalista affronta alcuni dei principali dogmi e miti della contemporaneità per demistificare l'euforico storytelling che spesso li accompagna, suggerendo letture e posizioni più caute e consapevoli.

Tra Big Pharma, data security, futuro delle professioni e transumanismo, una parte del volume è dedicato naturalmente anche al tema delle smart cities. Il "destino manifesto" che sembra attendere tutte le grandi città più evolute come Milano, un futuro al quale tendono con convinzione da almeno un decennio gli amministratori di ogni schieramento politico. Ma che presenta non poche incognite e possibili effetti collaterali da tenere debitamente in considerazione. Per evitare scenari ben familiari a chiunque si sia imbattuto in romanzi, film o serie che raccontano di società distopiche e dittature rette da intelligenze artificiali.

Nel tuo libro evidenzi una correlazione tra l'ascesa delle smart cities ed il tramonto della politica: perchè risulta così seducente per i politici delegare le scelte amministrative ai gestori dei dati?
Sono innegabili le possibilità offerte in questi ultimi venti anni a chi ha responsabilità di pubblica amministrazione. Intelligenza artificiale e nuove tecnologie sono di grande aiuto. Le città si sono espanse in modo ciclopico ed è cresciuta la connessione dei cittadini. Sono innumerevoli gli aspetti ed i fronti che si gestiscono meglio con la tecnologia. C'è un potere seducente nell'innovare lo spazio pubblico verso il quale chiunque è interessato. Ma la delega del processo decisionale è una forma di soluzionismo tecnologico e porta a rischi come la datafication. Si taglia fuori il pensiero umano e si filtra la realtà attraverso i dati. E' interessantissimo su questo il dibattito sulla data justice. Lo abbiamo visto in questi mesi sul tema dei vaccini e del Green pass. E' il tema della sorveglianza attiva e passiva, che coinvolge molti altri ambiti oltre a quello sanitario, come mobilità, scuola, energia, sicurezza.

Sono in particolare tre gli ambiti di rischio che individui in una smart city "deregolamentata": lo strapotere del mercato, l'omologazione dei cittadini ad una condizione che definisci di "leasing perpetuo", la zonizzazione, ovvero l'emarginazione di chi non può o non vuole condividere le regole del gioco.
E' importante evidenziare quelli che sono i fronti di vulnerabilità. Per quanto riguarda il mercato, basta pensare allo sharing. Ci sono pochissimi soggetti che ne detengono il monopolio a livello mondiale. Spingere la città verso questo modello significa anche aumentarne la dipendenza economica e finanziaria verso questi soggetti privati. Che potranno contare sul vantaggio acquisito di avere sempre meno competitor. Per quanto riguarda i temi dell'omologazione e della zonizzazione, c'è un dato di fatto da cui partire: a Milano come altrove è in corso un naturale ricambio generazionale, con sempre più cittadini nativi digitali portati ad aprirsi con maggiore disinvoltura alla pervasività delle tecnologie, mentre le generazioni analogiche scompaiono. Ma una amministrazione deve decidere se vuole, con spirito ambrosiano, costruire una città per i milanesi oppure una città tecnologica tout-court. Le cose non capitano da un giorno all'altro. Già oggi le multe che possono essere pagate esclusivamente tramite Qrcode mettono in difficoltà molti anziani che si recano dal tabaccaio senza sapere come fare. Come spiega Giuliano Pisapia nell'intervista all'interno del libro, la tecnologia non deve portare Milano adessere un "ghetto per benestanti". E' necessario tutelare politicamente chi non vuole vivere nel flusso automatizzato della smart city. Democrazia e inclusività non possono essere semplici slogan delle amministrazioni. Vorrei che fosse la città ad esprimersi su questi temi

Nel tuo libro citi esperienze radicali e innovative come i Civic Data Trust di Toronto o le Innovation Zones in Nevada, dove in pratica l'amministrazione pubblica affida pezzi di territorio alle big company perchè li coltivino secondo il proprio modello di sviluppo. Quanto sarebbe esportabile a Milano questo schema?
La risposta a questa domanda me l'ha fornita il rettore del Politecnico Giovanni Azzone, il quale ha detto che bisogna immaginarsi la cultura come un cuscinetto contro le derive. Detto in altri termini, ogni cultura ha il proprio modello di società che non è replicabile altrove in modo automatico. Ad esempio in Oriente sappiamo che per il cittadino la comunità viene sempre prima del singolo, mentre in Occidente abbiamo una visione differente.

Hai menzionato Pisapia. Nella tua intervista, pur evocando un classico distopico come 1984, l'ex sindaco di Milano esprime un cauto ottimismo affermando: "Non facciamoci ingabbiare. Serve per questo un’esplosione di gioiosa creatività politica che i giovani possono esprimere". Condividi?
I nativi digitali hanno una sensibilità che altre generazioni non hanno. Me ne accorgo quotidianamente svolgendo il mio lavoro di giornalista: solo con i giovani riesco a confrontarmi su certi temi. A differenza di chi è maggiormente ingabbiato da schemi ed ideologie di partito, sanno leggere il mondo attuale con lenti nuove. Ma c'è un tema importantissimo che non deve essere essere sottovalutato e di cui si parla poco.

Quale?
E' quello, decisivo, della sostenibilità digitale. Il Pnrr ha tra le sue linee guida la transizione digitale e l'innovazione tecnologica, ma non c'è una riga sulla sostenibilità digitale. Eppure è evidente come la transizione digitale provocherà un vero e proprio esodo lavorativo. Ed è importante, come ha rilevato l'osservatorio Ethos della Luiss, che ci si occupi del tema perchè si rendano le aziende responsabili del destino dei lavoratori. Se è vero che al singolo utente poco importa che a portargli la pizza a domicilio sarà un rider o un drone, serve sviluppare a livello sociale nuove responsabilità e un nuovo consumerismo. Le aziende si devono sentire coinvolte, prestando attenzione all'etica sociale. Non serve un approccio distruttivo, ma svegliare le coscienze, per chiedersi cosa vogliamo fare del nostro futuro.







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