Milano

In difesa di due curve e di un tifo sano con un calcio sanissimo: quello di Milano

di Fabio Massa

Il tifo milanese non è malato, nonostante l'inchiesta che scuote le curve gettando ombre di violenza e malavita sui club della città

In difesa di due curve e di un tifo sano con un calcio sanissimo: quello di Milano

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Il calcio è malato? No. Milano è malata, non il calcio e non i tifosi di calcio. Oggi dire questa cosa pare un controsenso, nel momento in cui l'inchiesta che ha travolto le due curve di Milan e Inter sembra dipingere un mondo dominato dalla malavita, dalla violenza. La verità è che il calcio milanese non è mai stato così sano, a livello di tifo. Sono finiti i tempi in cui si pensava di fare uno stadio più piccolo perché il Meazza era sempre vuoto. Sono finiti i tempi in cui quasi c'era da regalarli, i biglietti, perché il freddo, perché la pioggia, perché la squadra brocca, perché perché. Sono finiti i tempi in cui vinceva tutto la Juventus e Milano rimaneva un po' a bocca asciutta, e invece forse senza grandi campioni, ci sono anche i risultati (basta guardare il computo degli scudetti). Sono finiti i tempi in cui è meglio starsene a casa a guardare Sky (forse perché Dazn fa schifo) che ha pure i replay invece che andare a prendere freddo a San Siro. E sono finiti pure i tempi in cui le curve erano quattro scalmanati.

Un tifo appassionato e sano, oltre l'inchiesta

Oggi sono migliaia di persone accomunate dal tifo, non dalla violenza, non dai motorini gettati dal secondo anello. Sì, l'inchiesta scoperchia uno schifo difficilmente digeribile. No, il calcio milanese non è malato e le curve non sono malate. Se anche fossero 50 (e non 20, come gli indagati) le persone coinvolte, rispetto alle oltre 5mila che frequentano abitualmente le curve stiamo parlando dello 0,4 per cento. Forse c'è da ridimensionare la cosa, senza levare la gravità di fatti che attengono alla permeabilità dei club, alla mancanza di regole nella gestione dell'impianto e degli addentellati esterni all'impianto. Ma su questo c'è da condannare chi non ha controllato e vigilato, non chi ha saltato urlando o piangendo o esultando per i risultati della propria squadra.







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