Milano
La doppia morale contro Ichino. La sinistra lo critica, ma lo nomina
Per alcuni dipendenti pubblici lo smartworking è stato una vacanza. Bufera su Pietro Ichino
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di Fabio Massa
E così oggi tutti contro Pietro Ichino. Il quale ha detto, senza mezzi termini, che per alcuni dipendenti pubblici lo smartworking è stato una vacanza. Ora, la sinistra anche in Comune di Milano attacca Ichino dicendo che no, non è vero che i dipendenti pubblici hanno fatto vacanza. Ichino, questo sconosciuto. Talmente sconosciuto che però a luglio il Comune di Milano, governato dalla stessa parte politica che lo attacca, lo ha designato nel cda di Afol, praticamente i nuovi centri di collocamento. Il pensiero di Ichino è forse un poco ruvido. Ma è certo che lo smartworking sta causando un ulteriore divario tra il settore pubblico e il settore privato. Nel settore privato, anche nelle grandissime multinazionali che applicano il contratto collettivo con tutti gli incentivi, i bonus e le protezioni previste, lo smartworking ha determinato il passaggio da un sistema di valutazione delle prestazioni a ore (si entra e si passa il badge, si esce e si passa il badge) a una valutazione e impostazione del lavoro "a pratica". Cioè, per dirla male, a obiettivi. E' un passaggio stretto, sul quale i sindacati stanno riflettendo, e sarà opportuno che valutino bene il da farsi. Perché lavorare a obiettivi si trasformerà rapidissimamente nel lavoro a cottimo. Quindi, attenzione. Tutto questo però non è valso per il settore pubblico. Nessuno si è sognato di chiedere un tot di pratiche giornaliere. Specialmente in quei lavori dove "non ci sono pratiche". Pensiamo ai tribunali: invece di smaltire le cause più rapide, e più semplici, con la teleconferenza, hanno deciso di non fare niente, in moltissimi casi, se non per le direttissime. E non stiamo parlando della periferia d'Italia, ma della civilissima Milano. E' normale? Secondo me, no. E non importa che la "colpa" sia stata degli avvocati che non volevano: l'effetto è che la gigantesca macchina della giustizia si è messa in ferie. Idem per le scuole. Alcuni insegnanti si sono dannati l'anima per riuscire a fare la didattica a distanza, per adattarsi a una situazione nuova. Altri, decisamente no. Ed è di oggi, proprio nel giorno dell'intervista di Ichino a Libero, la notizia che ci sono state 41 rinunce al primo giorno di costituzione delle commissioni per gli esami di maturità. Tradotto: 41 persone su 558 commissioni d'esame hanno detto che loro non ne faranno parte. Scrive il Corriere: "Sono stati precettati insegnanti, anche senza requisiti che negli anni scorsi erano necessari, e sono stati caldamente invitati a partecipare anche professori universitari. E le commissioni alla fine erano al completo. Intanto negli uffici del Provveditorato non si è perso tempo e i rinunciatari di ieri sono già stati tutti sostituiti". Rinunciatari? Rinunciatari al lavoro? Ma siamo impazziti? Perché mai hanno rinunciato? Per carità, in caso di problemi di salute nulla quaestio, ma davvero questa ondata di rinunce sono tutte motivate? O - per dirla fuori dai denti - c'è qualcuno che se ne è andato al paesello, che sia a nord o a sud, e non vuole rientrare? E in questo caso, giacché questo è parte del loro lavoro, perché non si possono prendere provvedimenti? Attenzione perché quanto dice Ichino fa il paio con Ricolfi, che secondo me l'ha detta pure meglio: dalla società signorile di massa stiamo passando alla società parassita di massa. A un sistema di caste e mandarini. Manco a dirlo, il settore privato è vicino ai paria.